La mia vita ad impatto zero

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Intervista a Paola Maugeri, il volto femminile della musica in tv.

di Enrico Grazioli

Si può essere ecologisti, anzi a impatto zero, pure nella grande metropoli milanese? Sì, e lei lo è per colpa di Catania. Paola Maugeri, la prima e probabilmente più famosa vee-jay d’Italia, è stata plasmata e segnata dalla città in cui è cresciuta: la ama, ma negli anni Ottanta quella Catania era difficile, violenta, collusa e con i sacchi dello sporco perennemente incendiati. Fosse cresciuta, per esempio, a Ginevra o Berlino sarebbe stato diverso.
Da Mtv all’ambientalismo, dalle interviste ai grandi della musica internazionale al libro “La mia vita a impatto zero” (Mondadori, 2012, 16 euro) il passo non è stato lungo, perché lei è partita dalla Sicilia già vegana e con un impegno ecologista. A Milano è diventata il volto femminile della musica in tv, ma qua è diventata anche scrittrice e ha raccontato la sua vita all’insegna delle tre “r”: ridurre, riusare, riciclare, cui si potrebbe aggiungere la “r” di riparare.
Vivere a impatto zero, o quasi, non è sempre facile, ma possibile per tutti. Quella della Maugeri è una sfida, lanciata a tutta Milano e nel libro ci sono consigli e ricette per riuscirci. Sono andato alla sua presentazione al TUO di Desenzano del Garda (BS) e ho cercato di capirne lo sfondo.

Prima del libro hai fatto crescere una generazione in televisione a suon di musica, come hai iniziato e come è nata la passione per una tv che all’epoca era ben diversa da quella di oggi?
La passione per la televisione è nata grazie ai grandi musicisti che potevo veder su “Doc”, un programma che faceva tanti anni fa Renzo Arbore, e guardandolo io sognavo di fare un mio programma di musica o di intervistare questi grandi musicisti. Ci sono riuscita e sono molto contenta. La televisione era diversa, negli ultimi dieci anni è cambiato tutto. Quando io facevo programmi di musica, ce ne erano altri cinque: io facevo Night Express su Italia1, poi c’era Taratata, Superclassifica Show e i programmi di Red Ronnie, ogni canale aveva il suo programma di musica.

Da tempo però il tuo nome è legato alla Decrescita, come è stato il tuo approccio. Da Catania la cosa è stato spontanea?
Ci sono arrivata da una sorta di indignazione per lo spreco. Sono grandi passioni, si cresce e così fai i primi bilanci: capisci a un certo punto che così non puoi continuare, ci servirebbero cinque pianeti Terra per le risorse e cinque pianeti Terra per i rifiuti. Il fatto è che il pianeta Terra è uno solo e quindi dobbiamo capire di viverlo in un modo diverso.

La tua presa di coscienza ti porta a quello che hanno sempre fatto i nostri nonni…
Possiamo dire alle persone tornare indietro, ma è un brutto termine. Le si spaventa. È tornare a un approccio diverso, come dice un detto buddista il leone prima di fare un grande balzo in avanti fa un grande passo indietro, proprio per prendere la rincorsa. Noi dobbiamo fermarci e comprendere meglio quello che stiamo facendo.

L’idea del libro come è nata?
Grazie a un editor illuminato che è Beppe Cottafavi che mi ha detto “Ma tu devi scrivere un libro, se lo scrivi come parli andrà benissimo”. Grazie! Il mio primo libro parla delle mie interviste più importanti e di me, però è poi nato un desiderio di condividere la mia esperienza di vita con gli altri.

Facendo un passo indietro, la tua intervista preferita quale è stata?
Ne ho fatte più di mille. Potrei dire Beastie Boys, Lorie Anderson, Aeromisth, U2, Coldplay, i Verve di Richard Ashcroft…

Cambia tanto se uno ti ha visto in tv con la musica e poi ti vede raccontare queste certe ricche di un grande senso di umanità, di una presa di coscienza. Come ti accoglie la gente?
L’accoglienza è sempre meravigliosa. Succede dappertutto, sono molto felice. Le persone che vengono alle mie presentazioni, neanche sanno chi sono. Le signore in prima fila non è che hanno seguito gli Iron Maiden e hanno visto la mia intervista, magari hanno visto il programma che ho fatto con Alex Zanardi dove è andato in onda il documentario sulla mia vita a impatto zero, magari lo hanno sentito da un’amica. È vero che i più giovani vengono incuriositi perché hanno visto l’intervista sui Muse. Poi c’è sempre il giovane che mi chiede come sono i Depeche Mode dal vivo.

Dividere famiglia, libri e televisione è possibile?
È abbastanza faticoso. Dico spesso che dopo sarebbe bello fermarci al bar a bere qualcosa, ma devo andare a mettere a letto mio figlio. È la vita di tutte le persone che lavorano.

Lei ai giovani e alle donne in prima fila ha raccontato cosa vuol dire crescere in una città che brucia i rifiuti, cosa vuol dire spiegare ai propri figli la stagionalità di frutta e verdura (“I bambini sono convinti che le fragole si mangino a gennaio”), riuscire a non comprare i plasticosi e brutti Gormiti, comprare da chi ha prodotti di stagione senza che abbiano percorso centinaia di chilometri, che i vestiti non durano una stagione, che si può vivere consumando meno, il necessario vs il superfluo. La sua è una scelta radicale, perché si può anche ricavare un frigorifero nell’intercapedine di un muro o portare il figlio in gita sul camion della spazzatura per mostrargli il ciclo dello smaltimento della differenziata. E, infine, come non si può stimare una che dice: “Voglio dire alle ragazze che temono di rovinare il seno facendo figli: le tette servono a quello”.

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