La trappola della crescita (2)

2
1759

Il presente testo costituisce parte integrante di un saggio in corso di stesura. Le restante parti verranno pubblicate su DFSN mano a mano che verranno completate. Alla luce di sviluppi imprevisti e/o dei vostri commenti, le parti precedentemente pubblicate potranno venire in seguito modificate e migliorate. Potete leggere il capitolo precedente del saggio qui.

Cap. 2. Bancocrazia, istruzioni per l’uso

Questo capitolo e il successivo possono essere considerati di transizione: mentre nel capitolo 1 abbiamo discusso le motivazioni alla base dell’infinito inseguimento della crescita economica da parte dei cosiddetti “poteri forti”, nelle pagine seguenti proveremo a delineare un profilo sommario del sistema bancario-finanziario vigente e dei suoi effetti sull’economia reale. Tutto ciò nella prospettiva di illustrare, nella seconda parte del saggio, alcune proposte di riforma di tale sistema in direzione di una società decrescente.

Mi manterrò il più possibile distante dalle infinite sottigliezze che una trattazione economica più spiccatamente tecnica dovrebbe a questo punto certamente cogliere.

E tuttavia non intendo eludere il problema economico, come se non esistesse affatto o fosse sostanzialmente trascurabile; al contrario, credo che affrontare tale questione sia assolutamente essenziale qualora si voglia rendere credibile la proposta sociale e politica della decrescita.

Gli strumenti giuridici del potere: dai depositi a vista alla riserva frazionaria

Iniziamo da qualcosa con cui ognuno di noi (o quasi) ha a che fare quotidianamente. Gran parte delle persone che stanno leggendo queste righe ha infatti stipulato, prima o dopo nella sua vita, un contratto con una banca in virtù del quale gli è stato conferito il diritto ad accedere in qualsiasi momento al proprio denaro ivi depositato. Può chiamarsi “deposito a vista” o avere altri nomi, tuttavia alla base vi è sempre il medesimo principio giuridico: il denaro depositato deve restare per tutto il tempo a disposizione del depositante. Questo principio è ciò che differenzia il contratto di deposito dal contratto di prestito: con quest’ultimo, infatti, prestatore e prestatario si vincolano a un termine prima del quale il secondo è legittimato a utilizzare a propria discrezione il denaro ricevuto, e il primo ne perde di fatto, seppur temporaneamente, la proprietà; in cambio il prestatore riceve dal prestatario, alla data pattuita, un interesse che lo ricompensa dell’essersi privato per un certo periodo di tempo della somma di denaro prestata. Dunque appare strano che nel caso dei contratti di deposito al prestatore, il quale non rinuncia alla proprietà della somma depositata (alla quale può legittimamente accedere in qualsiasi momento), sia nondimeno corrisposto un interesse dal prestatario (ovvero dalla banca presso cui ha stipulato il contratto).

Comprendere attraverso quali dinamiche e pratiche tale interesse possa essere effettivamente corrisposto rappresenta il primo passo sul sentiero che porta alla visione dei meccanismi che regolano e legittimano lo strapotere delle banche stesse nel nostro sistema economico.

Per capire meglio perché il tradizionale contratto di deposito a vista non dovrebbe in realtà prevedere un interesse corrisposto da parte della banca – ma semmai il contrario -, proviamo a paragonarlo a contratti simili in altri ambiti. I depositari di ogni tipo di merce fungibile (ad esempio il grano o le sementi) sono per legge vincolati a conservare il tantundem [8] depositato senza possibilità di utilizzarlo in alcun modo, e ricevono un interesse da parte dei depositanti della merce in cambio della garanzia che questa sia conservata al sicuro nei depositi. Perciò ad esempio un contadino corrisponde al proprietario del granaio una somma di denaro variabile che costituisce il costo del servizio di deposito. Esso potrebbe essere definito come “prezzo del servizio di salvaguardia dei depositi”.

I banchieri sono in grado di corrispondere un interesse ai depositanti per una semplice ragione: essi non sono vincolati – al contrario di tutti gli altri – all’obbligo di conservare il tantundem. Da molto tempo posseggono infatti una deroga a tale principio generale del diritto, in virtù del quale sono di fatto liberi di spendere (in linea di massima prestare e/o investire) il denaro dei propri clienti a propria discrezione, purché ne conservino una minima parte nei depositi: questa percentuale obbligatoria di deposito, necessaria a soddisfare le richieste di prelievo in contanti dei depositanti, è definita riserva frazionaria.

La riserva frazionaria nacque spontaneamente quando gli antichi banchieri europei si resero conto che solo una minima parte dei loro clienti prelevava effettivamente il proprio oro dai depositi, e che anche chi lo ritirava lo faceva solo di tanto in tanto e non per l’intero ammontare depositato. La maggior parte delle persone si limitava infatti a utilizzare le “note di banco”, fornite dai banchieri come ricevuta di deposito e antesignane delle moderne banco-note, come se si fosse trattato di moneta sonante, nella consapevolezza che qualora lo avessero voluto avrebbero potuto convertirle presso la banca. Sapendo questo, i banchieri iniziarono a prestare non solo il denaro ricevuto sotto forma di prestito (e dunque vincolato a un termine), ma anche parte di quello ricevuto al fine di essere conservato come deposito a vista. Tale comportamento è continuato fino ad oggi, e da allora la percentuale di tantundem non prestata (il cosiddetto tasso di riserva frazionaria) è continuata a diminuire (dal 2011 nella zona euro la riserva obbligatoria corrisponde all’1% del tantundem). Come vedremo a breve, questo comportamento è stato e continua ad essere gravido di conseguenze all’interno dei sistemi economici – oramai la stragrande maggioranza – in cui è consentito.

La dinamica del potere: il moltiplicatore monetario

Ma proviamo ad andare più a fondo e vediamo quali sono le conseguenze dirette del sistema bancario a riserva frazionaria. Occorre innanzitutto illustrare gli effetti moltiplicativi che esso genera sulla moneta presente originariamente nei depositi. Teniamo a mente, in via preliminare, che il processo di moltiplicazione del denaro (noto col termine tecnico di “moltiplicatore monetario”) è nella realtà generato dal sistema interbancario nel suo complesso, e coinvolge un numero enorme di banche. Per illustrare le fasi di tale processo ricorrerò a un esempio semplificato, che tuttavia nella sostanza poco si discosta dalla realtà e ben si presta ai nostri scopi.

Ipotizziamo che in una data società esista una sola banca: la banca Paperon de Paperoni (d’ora in avanti PdP). I clienti di questa banca sono inoltre solo cinque: Marco, Alberto, Fabio, Luigi e Giulia. Nella nostra società immaginaria tutto il denaro, pari a 100 euro, è inizialmente posseduto da Marco, sotto forma di banconote. Un giorno Marco decide di depositare i suoi 100 euro presso la banca PdP, stipulando un contratto di deposito a vista. Se la banca fosse tenuta a rispettare un coefficiente di riserva pari al 100% del tantundem, non potrebbe prestare nemmeno un euro di tale denaro, e Marco sarebbe probabilmente tenuto a versare alla banca un interesse in cambio della consapevolezza di avere i propri soldi al sicuro e sempre a disposizione. Tuttavia la banca del nostro esempio è vincolata al rispetto di un coefficiente di riserva pari a solo il 10% del tantundem, e decide dunque di prestare il restante denaro, pari a 90 euro, ad Alberto, il quale sottoscrive a sua volta un contratto di deposito a vista. A questo punto iniziano i problemi, infatti Marco e Alberto hanno accesso ad un credito totale di 190 euro (i 100 di Marco + i 90 di Alberto), a fronte di un deposito di solo 100 euro nelle casse della banca.

Immaginiamo ora che Alberto decida di comprare da Fabio un lettore MP3 per un valore di 90 euro. Una volta ricevuti i soldi da Alberto, Fabio li deposita presso la banca PdP stipulando anch’egli un contratto di deposito a vista. La banca PdP, vincolata a rispettare il solito coefficiente di riserva del 10%, presta il denaro restante, pari a 81 euro (90/10 * 9) a Luigi, il quale decide di utilizzarlo per acquistare da Giulia delle merci per un valore di 81 euro. Giulia, ricevuto il denaro, decide di depositarlo presso la banca PdP, stipulando un contratto di deposito a vista. E così via.

In tal modo, nell’ipotesi in cui la banca PdP utilizzi tutto il denaro ricevuto – fatto salvo quello necessario a costituire la riserva obbligatoria – per effettuare prestiti, si ha la seguente equazione:

mm = M/H

Dove mm è il moltiplicatore monetario, M è l’offerta di moneta alla fine del processo di moltiplicazione monetaria e H la base monetaria iniziale. Nel nostro esempio M è uguale a 1000 e H è uguale a 100.

In altre parole il moltiplicatore monetario risulta essere uguale all’inverso del coefficiente di riserva obbligatoria. Nel nostro caso, con coefficiente di riserva al 10%, il fattore moltiplicativo sarebbe pari a 10, ovvero si avrebbe un credito totale disponibile presso la popolazione di 1000 euro a fronte di un deposito totale presso la banca di 100 euro. Nella realtà il fattore moltiplicativo è sempre sensibilmente inferiore, a causa della mole di transazioni effettuate in contanti, le quali non alimentano l’effetto moltiplicativo. Ciò significa che se tutti decidessero allo stesso momento di ritirare l’intero ammontare dei propri depositi dalla banca, quest’ultima dovrebbe dichiararsi insolvente, in quanto non solo non possiederebbe il denaro necessario nei propri depositi, ma i 9/10 di quel denaro di fatto non esisterebbero sotto forma di contante. Questa, per altro, è la principale ragione per cui le transazioni in contanti vengono sempre più limitate (in Italia si è giunti all’attuale limite massimo di 1000 euro per transazione): solo una piccola frazione dell’ammontare di denaro circolante in un’economia è denaro reale, la restante parte esiste solo sotto forma di dati nei database delle banche.

Nel nostro esempio abbiamo ipotizzato l’esistenza di una sola banca al fine di mantenere una certa chiarezza espositiva, ma il sistema vigente, costituito da migliaia di banche, funziona, nelle sue linee generali, esattamente allo stesso modo.

Gli attori del potere: banche centrali e sistema bancario

Una considerazione probabilmente a questo punto sorgerà in molti spontanea:

fino a che il mago uilizza bene la sua bacchetta, l’incantesimo può potenzialmente portare benefici a tutti quanti [9], dunque il problema sta nell’abilità dei maghi e nel loro senso etico”.

Questa visione delle cose ha legittimato col tempo i poteri di controllo sempre maggiori conferiti a delle organizzazioni parastatali, le banche centrali, il cui operato, come vedremo, è alla base di molte delle difficoltà finanziarie ed economiche odierne. Storicamente tali istituzioni sono nate al fine di garantire una maggiore stabilità al sistema bancario, da una parte svolgendo funzioni di coordinamento indiretto delle attività bancarie, dall’altra agendo, nei momenti di crisi, quali prestatrici di ultima istanza.

Ma vediamo meglio quali sono gli obiettivi principali di una banca centrale. Essi si possono ridurre, semplificando, essenzialmente a tre [10] (tutti strettamente interrelati):

  1. Controllare il livello di inflazione.
  2. Controllare il costo del denaro (ossia il tasso di interesse applicato dalle banche ai propri clienti) [11].
  3. Compensare le fluttuazioni negative del ciclo economico e sostenere le fluttuazioni positive, ovvero, in parole povere, stimolare la crescita ed evitare la recessione (questo obiettivo comprende indirettamente anche i primi due).

Per raggiungere tali obiettivi le banche centrali possono agire in tre direzioni (cfr. anche nota 3):

a) Operazioni di mercato aperto (ossia compravendita di titoli di stato e assets).

b) Modificazione del tasso di sconto (ossia del tasso di interesse applicato dalla banca centrale ai prestiti verso le banche).

c) Modificazione del tasso di riserva frazionaria obbligatorio.
Ho ordinato le tre vie di azione per frequenza d’uso: mentre le operazioni di mercato aperto costituiscono una pratica quotidiana, il tasso di riserva frazionaria viene modificato molto di rado (e tendenzialmente al ribasso).

In tal modo le banche centrali dovrebbero consentire di mantenere i benefici derivanti dal moltiplicatore monetario (cfr. cap. 3) neutralizzandone o eludendone al tempo stesso gli effetti negativi (in particolare, ma non solo: crisi di liquidità, inflazione incontrollata – quest’ultima connaturata storicamente anche al cosiddetto signoraggio primario un tempo in mano agli stati – e, anche se indirettamente, recessione economica). Come vedremo in seguito, tuttavia, molto, troppo spesso, tale promessa viene alla prova dei fatti smentita.

 

Note:

8. Dall’espressione latina “tantundem eiusdem generis et qualitatis”, ovvero “lo stesso ammontare di generi della stessa qualità”. Nel gergo giuridico indica l’obbligo da parte di una persona a restituire quanto gli sia stato prestato nella medesima quantità, specie e qualità. Per estensione il tantundem è anche la merce totale conservata secondo tale principio.

9. Vedremo nel prossimo capitolo quali sono nel concreto questi potenziali benefici, e gli effetti nefasti che questi portano con sé.

10. Si tratta di obiettivi “ufficiosi”, così suddivisi per esigenze di chiarezza espositiva. Nella realtà gli obiettivi e soprattutto le mansioni operative delle banche centrali sono più complesse; inoltre va sottolineata la presenza di differenze anche significative fra le varie banche centrali in termini di poteri e aree di intervento. In ogni caso, ai fini del nostro discorso, tali questioni sono sufficientemente marginali da poter essere momentaneamente ignorate.

11. Tale costo, in un mercato finanziario libero, verrebbe stabilito automaticamente mediante i meccanismi di domanda e offerta: più persone fossero disposte a prestare il proprio denaro e meno fossero interessate a contrarre un debito, più basso risulterebbe il tasso di interesse corrisposto dalle banche ai propri prestatori e più alto sarebbe quello corrisposto dalle banche ai propri prestatari. E viceversa. Nella realtà le banche centrali intervengono in tale processo di aggiustamento con il fine manifesto di guidare il ciclo economico (in seguito analizzeremo alcuni dei principali effetti indiretti di tale intervento sull’economia reale).

 

CONDIVIDI
Articolo precedenteLa trappola della crescita (1)
Articolo successivoLa felicità nella decrescita
Autore de 'Il Secolo Decisivo: storia futura di un'utopia possibile'. Da anni si interessa di tematiche ambientali, economiche e sociali. In passato ha pubblicato tre paper su temi inerenti alla decrescita: "Degrowth and Sustainable Human Development: in search of a path toward integration" (Paper presentato alla Conferenza Internazionale sulla Decrescita, Venezia 2012), "Sviluppo umano e sostenibilità ambientale: in cerca di una strada verso l’integrazione" (Vincitore della prima edizione del "Giorgio Rota Best Paper Award", Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”, 2013) e "From growth to degrowth to a steady-state economy: a (more) liberal path is possible" (disponibile su ASR e online, 2019). È laureato in Scienze Politiche, in Sociologia e in Linguistica Applicata. Attualmente vive a Barcellona.

2 Commenti

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.