Alle prossime elezioni voterò per il Partito della Decrescita Felice

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Manca poco ormai. Domenica 24 e lunedì 25 febbraio si terranno finalmente le elezioni politiche per eleggere i nuovi rappresentanti degli italiani nel Parlamento. Tra leggi elettorali “porcata”, partiti di “tecnici” e vecchi nomi che si ripresentano in vecchie coalizioni ci saranno anche alcune interessanti novità, come il fatto che c’è chi ha deciso di adottare – almeno in parte – idee incentrate sui temi della decrescita. Stiamo quindi parlando di Rivoluzione Civile del magistrato Antonio Ingroia (sostenuta da Italia dei Valori, Movimento Arancione, Verdi e Federazione della Sinistra), Sinistra Ecologia e Libertà del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (nella coalizione con il PD) e del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo (senza dubbio la più grande novità). Lasciando ai lettori di DFSN la sacrosanta decisione sull’andare o meno a votare alle prossime elezioni, vorrei mettere per iscritto quale potrebbe essere un ipotetico programma politico incentrato sulla decrescita felice (mentre quella che stiamo vivendo ora è alquanto infelice).

Nell’ultimo articolo che ho scritto su DFSN (http://www.decrescita.com/news/?p=3988) ho manifestando tutto il mio scetticismo riguardo all’eventualità di un cambiamento dall’alto, proveniente dalla politica (soprattutto da questa politica!), perché non credo all’imposizione con la forza del “modello più giusto” (devono prima cambiare i valori a livello individuale) e perché anche negli altri paesi la politca è molto più sensibile agli interessi delle lobby economiche che a quelli della maggioranza dei propri cittadini (a parte le frivole promesse da campagna elettorale che stiamo tristemente assistendo in questi giorni). Ma ipotizziamo pure che mi sia sbagliato e che gli italiani abbiano capito che questo modello socio-economico è profondamente sbagliato e che è giunta l’ora di scegliere per la felicità (perché l’ipotetico Partito per la Decrescita Felice sarebbe il primo partito a rendere così esplicito il termine “felicità”). Ma cosa troverebbero nel programma politico del PDF gli italiani?

L’asse portante del PDF sarebbe la critica al PIL (Prodotto Interno Lordo) come fine ultimo delle decisioni governative, perché il PIL è un indicatore statistico che considera solamente le transazioni monetarie, cioè misura solamente la quantità (e non la qualità) della produzione economia, non tenendo conto dei danni prodotti da essa (danni alla salute e alla psicologia dell’uomo, distruzione dell’ambiente, criminalità, eccetera). Dovrebbe passare il messaggio che un aumento del PIL di un paese non corrisponde certo ad un aumento della felicità dei propri cittadini (come disse Bob Kennedy nel celebre discorso sul PIL del 18 marzo 1968 all’Università del Kansas “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”). Quindi il PDF vorrebbe far cadere la dittatura del PIL. L’altro grave problema è rappresentato dal fatto che in un’economia di mercato come la nostra esiste un enorme distorsione, rappresentata dal fatto che i costi di molte produzioni vengono impunemente scaricati sulla collettività, cioè su tutti noi, così che chi è responsabile di questa continua distruzione della ricchezza umana, ambientale e sociale continui ad avere l’incentivo a perpetuare la propria attività, ahimè così distruttiva. Questi costi in economia sono detti esternalità negative e sono rappresentate dai costi che tutti noi sosteniamo per curare tumori e altre malattie legate all’inquinamento, per i fenomeni atmosferici estremi (siccità, inondazioni, aumento del livello dei mari) dovuti ai cambiamenti climatici in corso, per lo smaltimento dei rifiuti, per le malattie legate allo stile di vita moderno, per il traffico e gli incidenti stradali, per la perdita di biodiversità o per la contaminazione delle falde acquifere (ma l’elenco non finisce certo qui). Tutto questo deve finire, pena un futuro sempre più difficile. Ho provato a riassumere il programma politico del PDF in nove punti.

  1. Investire l’aumento della produttività nella riduzione dell’orario di lavoro e nell’azzeramento della disoccupazione. Tassazione degli straordinari di lavoro, 30 ore lavorative a settimana i provvedimenti da mettere in atto.
  2. Contabilizzazione di tutte le esternalità negative. Introduzione della carbon tax (i costi attuali e le stime dei costi futuri legati ai cambiamenti climatici devono essere addebitati ai produttori di gas serra). Imputazione diretta a ogni produzione altamente inquinante (ad esempio inceneritori o grandi imprese inquinanti come l’Ilva di Taranto) dei costi sanitari sostenuti dalla collettività a causa di quella produzione (basta obbligare i produttori ad assicurarsi contro ogni possibile danno provocato dalla loro attività). Addebitare i costi di smaltimento dei rifiuti alle aziende produttrici incentivando però le aziende che adottano un modelli di produzione “rifiuti zero” (ad esempio affittando semplicemente la bottiglia di vetro al consumatore, così che una volta resa la bottiglia questa verrà lavata e riempita di nuovo del contenuto e sarà pronta ad essere nuovamente affittata).
  3. Ri-localizzare le attività produttive che devono essere legate al territorio (dalle banche alla produzione di beni e servizi che deve avvenire sul territorio). Introduzione dell’IVA proporzionale alla distanza percorsa dalle merce in vendita (ad esempio aliquota a scaglioni dell’1% da 0 a 100 km, del 10% da 101 km a 200 km, del 15% da 201 km a 400 km, del 30% da 401 km a 1.000 km, del 50% oltre i 1.001 km; per evitare distorsioni basterebbe permettere alle imprese che acquistano semi-lavorati o materie prime di scaricare solamente fino al 15% dell’IVA a credito di ogni transazione). Introduzione di dazi doganali per i prodotti importati extra-UE che non rispettino le normative ambientali e di rispetto del lavoro italiane. Fiscalità progressiva per le aziende (in base alle dimensioni), incentivi al micro-credito e abolizione di tutti gli oneri burocratici per le aziende più piccole.
  4. Investire sull’efficienza energetica (ad esempio incentivi alla coibentazione degli edifici privati e pubblici più energivori). Incentivi all’auto-produzione di energia elettrica dei piccoli impianti (ad esempio co-generazione, mini-idroelettrico, mini-eolico o piccoli impianti fotovoltaici).
  5. Investire sul patrimonio artistico-culturale, su quello ambientale (reale monitoraggio degli attuali parchi e riserve, soprattutto marini) e sul recupero dei centri storici cittadini che devono essere chiusi al traffico. Disincentivare la costruzione di nuovi edifici a fronte di incentivi al recupero degli edifici e delle aree dismessi. Bonifica dei siti inquinati e riconversione al turismo “sostenibile” locale che rispolveri le produzioni eno-gastronomiche locali o l’antico sapere artigiano.
  6. Costruzione di un sistema di trasporto pubblico efficiente e abbattimento del prezzo dei trasporti pubblici per i lavoratori. Incentivi fiscali alla condivisione dell’auto per andare al lavoro. Incentivi fiscali all’utilizzo di mezzi alternativi per andare al lavoro (a piedi o in bici) e costruzione di un’efficiente rete di piste ciclabili e pedonali nazionale.
  7. Uscita dalla Nato e ripensamento della spesa militare. L’Italia potrebbe seguire l’esempio della Costa Rica che ha rinunciato ad avere un proprio esercito o comunque potrebbe mantenere un esercito per le sole ed eventuali esigenze di difesa (come del resto sancisce in modo piuttosto chiaro l’art. 11 della nostra Costituzione).
  8. Incentivare la piccola proprietà contadina e il biologico. L’Italia dovrebbe  essere il primo paese al mondo che decide di investire interamente nell’agricoltura di domani, ovvero quella biologica (l’agricoltura industriale moderna è fortemente dipendente dal petrolio, che serve per produrre fertilizzanti chimici – ne occorrono tre tonnellate per produrne una –, pesticidi, erbicidi, funghicidi e ovviamente per il carburante). Fine delle sovvenzioni statali alla produzione di carne (“la PAC sulla carne” che porta l’Italia a dipendere fortemente dalle importazioni di mais o soia spesso OGM proveniente da altri continenti). Incentivare l’incontro tra contadini e abitanti della città (i mercati di prodotti freschi e a km zero devono essere facilitati e non ostruiti dall’eccesso di burocrazia). Obbligo della dicitura OGM anche per i prodotti derivati (carne, uova e latticini devono indicare se quegli animali hanno o meno mangiato mangimi OGM).
  9. Favorire e incentivare l’autoproduzione di beni e servizi, il riutilizzo e la riparazione. Incentivare le aziende a produrre prodotti che siano facilmente riparabili. Reintrodurre i cosiddetti commons, ovvero i vecchi terreni ad uso civico (boschi, prati e aree demaniali) liberamente disponibili a chi volesse far legna, coltivarsi l’orto o raccogliere prodotti spontanei.

 

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Laureato in Economia, ho avuto diverse esperienze lavorative (tra cui Ambasciata d'Italia a Buenos Aires, Monte dei Paschi, Freeandpartners, Nestle). "Verso la fine dell'economia - apice e collasso del consumismo" è il mio nuovo libro, edito da Fuoco-Edizioni. http://economiafinita.com

10 Commenti

  1. Per la cronaca un partito della decrescita esisterebbe, o almeno è stato abbozzato (http://www.partitoperladecrescita.it/paginahome.htm; visto il sito in gran parte incompleto, probabilmente l’idea è abortita).
    Sul programma esposto da Manuel niente da dire, si tratta proprio del tipo di programma politico per la decrescita di cui parlavo nel mio ultimo articolo, penso che chiunque di noi lo voterebbe all’istante. Tranne forse per il punto 9, si tratta di un programma che potrebbe proporre un partito ecologista abbastanza radicale, non è troppo diverso da quello di Europa Ecologie di Cohn-Bendit (che però non vuole saperne di decrescita). Una politica del genere innesterebbe sicuramente le basi per una svolta sociale in favore della decrescita.

  2. Non sapevo esistesse il partito per la decrescita -grazie Igor!
    Come mai non ti ritrovi molto nel punto 9?
    La maggior parte dei lettori poco attenti contesterebbero il fatto che la decrescita la stiamo già vivendo ora e non è certo una buona cosa, per questo dal punto di vista del marketing politico non è auspicabile scegliere di menzionarla esplicitamente – al massimo criticano il PIL come fa Grillo negli ultimi comizi, ma sempre senza menzionare il pericoloso termine.

    • Non è che “non mi ritrovo”, anzi, è che credo faccia parte di quella sfera sociale della decrescita che non può essere demandata a una formazione politica: in pratica favorire l’autonomia del cittadino, trasformare il più possibile il governo in ‘autogoverno’… sarebbe per certi versi il suicidio dello Stato!

  3. Ciao Manuel,

    sul M5S ti sbagli. La decrescita è nominata esplicitamente spesso e volentieri sul blog ed è parte del programma attraverso la proposta di Marco Morosini “meno è meglio”: meno lavoro (20h settimanali), meno materiali (20 tonnellate all’anno pro capite di materiali primari), meno energia (2KW pro capite).

    Un saluto
    Simone

    • Buono a sapersi, però ammetterai Simone che, dopo aver un pezzo di programma scritto da Pallante (penso alla versione che era valida fino alle regionali), è un po’ strano che la decrescita non sia una bandiera del M5S, anche perché sarebbe un’ottima risposta alle critiche di non avere una visione globale dei problemi. Evidentemente Grillo e Casaleggio, che sicuramente non ignorano la questione, hanno scelto di non battere questa strada.

      • Ciao Igor.
        Bè però il M5S ha preso pubblicamente le distanze dall’ennesima guerra dell’Occidente (in questo caso al Mali) e dal fatto che il nostro paese è disseminato di basi americane (almeno fossero della Nato e invece no, sono proprio americane!).

    • Ci sono alcuni dettagli di quello che potrebbe essere un programma sulla decrescita ma non viene quasi mai menzionata la parola “decrescita” e soprattutto ora che siamo vicini alle elezioni (ad esempio a Parma qualche giorno). Ma lo capisco, il M5S si è trovato un successo inaspettato (almeno stando ai sondaggi e soprattutto alle piazze ovunque stracolme di persone e considerando che siamo a febbraio è un risultato ancora più grande) ed ora prova a gestire l’elettore medio, che mi pare ancora troppo acerbo sul tema della decrescita, che considera ancora come un fatto negativo. Io seguo il blog di Grillo dall’inizio e devo dire che c’è stato un grande cambiamento perché è diventato più “concreto” (se all’inizio potevamo definirlo un rivoluzionario ora possiamo dire che è un riformista) e va da sè meno utopista (e la decrescita appartiene a questo mondo, a mio avviso). Ma è ovvio che sia così, se mai ci fosse un partito per la decrescita non andrebbe certo oltre al 2%.

  4. Buongiorno a tutti, io mi sono avvicinamento al movimento della decrescita primariamente tramite la fondamentale lettura di Serge Latouche, quindi da una prospettiva francese.
    Tra l’altro Serge Latouche é il coniatore del termine, quindi un pó il padre del movimento, sicuramente una lettura fondamentale come quella di Ivan Illich, Castoriadis e altri.
    Non ho avuto modo di leggere Pallante e altri autori italiani e mi complimento con te Manuel, che, cosí giovane, hai giá pubblicato un libro in materia (che paura…) e scrivi articoli, come questo, molto interessanti e direi necessari.
    Quello che peró mi sento di aggiungere é che, conoscendo personalmente l’avanzatissimo movimento francese, (sono stato sia nell’estate 2012 che l’estate appena passata aux festives de la décroissance), la loro marcia in piú sta nella critica aspra ed esplicita al capitalismo e alla sua fonte che lo ingloba: il produttivismo.
    L’essere antiproduttivisti é uno dei corollari essenziali del discorso decrescentista francese.
    é l’industrialismo stesso che viene chiamato in causa e spietatamente dichiarato colpevole; qui si é molto di sinistra, ma allo stesso tempo si va molto oltre, ti faccio un esempio chiaro e che si riconnette al discorso essenziale di un programma politico della decrescita che é la cosa di cui mi preme di piú parlare. Nel programma politico del MOC (mouvemente des objecteurs de croissance) oltre a molte di quelle misure che si possono ritrovare nel programma che qui stili (ancora complimenti) ci sono delle cose in piú che si rifanno al discorso di cui sopra; per esempio:
    un tetto massimo e minimo di reddito la cui proporzione é di 4 a 1.
    una cosa del genere manometterebbe alla base il principio di accumulazione capitalistica su cui si basa il mondo autodistruttivo della crescita. E aggiungiamo pure, che se passasse una legge del genere in Francia o a livello globale, la fine dell’economia e il collasso del consumismo, per citare il titolo del tuo libro, si porterebbero con se praticamente tutto o quasi, e allora altro che Venerdí o Sabato, o Domenica pomeriggio per quel che vale, neri.
    L’autoproduzione, la caccia e il raccolto resterebbero l’unico mezzo di sopravvivenza.
    Ovviamente tutto ció sarebbe estremamente positivo, l’umanitá, finalmente, comincerebbe a prendere sul serio la possibilitá, se pur lieve, di salvare la vita sul pianeta di qualcosa di piú evoluto che meduse e scarafaggi. Quindi io sono decisamente per l’articolo 9, piú che per tutto il resto.
    Saluti e spero che il mio commento sia costruttivo (ci vedo una punta d’ironia a utilizzare il termine costruttivo in questo contesto, ma tant’é).
    Salvatore

    • Ciao Salvatore! Ti ringrazio per il commento. Sono d’accordo con te, produttivismo e industrialismo non sono affatto compatibili con la vita sul pianeta.

      Ma ho anche la consapevolezza che un programma politico dovrebbe essere quanto meno realistico e quindi prevedere una fase di transizione o comunque obiettivi fattibili nella nostra società perché sono comunque dell’idea che non si può imporre con la forza il proprio modello.

      In Italia a parte qualche tentativo mai partito non esiste un vero e proprio partito della decrescita felice, si potrebbe fondare o per lo meno creare le basi per esso. Nel caso potremmo contare anche sul tuo contributo, vero?

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