Cui non prodest?

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E’ sempre molto rischioso riflettere sui moventi delle azioni terroristiche perché, per un’analisi assolutamente genuina, occorrerebbe saper ragionare come un terrorista, il quale evidentemente adotta dei criteri di razionalità ben diversi da quelli dettati dal comune buon senso. Bisognerebbe anche considerare se riempirsi di esplosivo e farsi saltare in aria nell’area check-in di un aeroporto o alla stazione di una metropolitana, cinicamente parlando, sia davvero un ‘atto di forza’, dal momento che per molti versi si tratta di un’azione diabolicamente ‘semplice’, assai differente dalla strategia militare mostrata durante l’attacco al Bataclan, ad esempio. A novembre a Parigi sono morte 137 persone mentre per ora il bilancio delle vittime nella capitale belga è simile a quello della strage allo stadio Heysel nella finale di Coppa Campioni Juventus-Liverpool del 1985: provo ribrezzo a scriverlo, ma sicuramente ai terroristi non sfuggono queste macabre contabilità dell’orrore – e non solo a loro, a giudicare dalla reazione sostanzialmente misurata dei mercati borsistici, che sarebbero stati sicuramente in fibrillazione per il taglio o l’aumento di un decimale dei tassi di interesse o eventi simili.

Sicuramente chi realizza questi attentati vuole innescare determinate reazioni. Fatico a immaginare anche il più perverso e fanatico dei terroristi che, dopo aver ucciso una trentina di persone – ma potrebbero anche essere trecento o trentamila, la questione cambia poco – si immagini dei capi di stato europei che, a reti unificate, annuncino una resa incondizionata all’ISIS e l’applicazione immedita nelle loro nazioni della sharia. Ovviamente, ogni attacco terroristico alimenta la retorica del ‘siamo in guerra’, dell’attacco ai ‘nostri valori’ e spinge l’opinione pubblica a sostenere interventi armati in Siria, Libia e altre zone calde da tempo nel mirino degli jihadisti; le forze di polizia e i servizi segreti intensificano le operazioni contro le cellule terroristiche. La faccia feroce dell’Occidente, con tutto quello che ne può conseguire, deve essere messa in conto.

Inequivocabilmente, sul piano politico le azioni dell’ISIS rafforzano lo status dei movimenti della nuova (?) destra, indebolendo fatalmente la posizione delle comunità islamiche in Europa e dei rifugiati. Non ha senso parlare di collusione tra i due fenomeni (estrema destra e jihadismo) e inneggiare al ‘cui prodest?’ perché, molto probabilmente, alla manovalanza disposta a farsi esplodere non importa nulla della situazione politica europea o di un’eventuale ascesa di Trump alla Casa Bianca, essendo invece molto più interessata alle vicende mediorientali e nordafricane. E’ però impossibile che l’ISIS ignori la propria enorme capacità di influenza sulla società occidentale; specialmente se tra i suoi quadri figurano persone come Salah Abdeslam, che nel suo essere criminale ha saputo anteporre la razionalità al fanatismo non solo evitando di farsi esplodere allo Stade de France, ma anche tralasciando qualsiasi comportamento da martire al momento della cattura e anzi gettando le basi per un’impensabile collaborazione con la magistratura belga. E’ quindi ragionevole supporre che la situazione attuale – con tutti i suoi risvolti paradossali – è proprio ciò che le menti dell’ISIS e i loro finanziatori più o meno occulti desiderano creare attraverso bagni di sangue come quelli di Bruxelles e Parigi.

Detto questo, penso che ragionare sugli obiettivi strategici dei terroristi non sia particolarmente importante, almeno non quanto lo sia riflettere sui nostri, ricordandoci che anche le nostre azioni producono reazioni, sicuramente maggiori perché la forza politica, economica e militare dell’Europa è svariate volte più potente di quella di qualsiasi organizzazione criminale.

Fatichiamo a collegare tra loro fatti come l’instabilità politica mondiale e, ad esempio, un fenomeno come il picco del petrolio o il consumo eccessivo di risorse, ma dovremmo sforzarci di farlo. L’impronta ecologica europea equivale a quella di 2,6 pianeti Terra e nel XXI secolo, nel momento in cui cominciamo a toccare con mano i debiti contratti con la natura, forse ciò sta assumendo i contorni di un atto di guerra contro gran parte del mondo – il fatto che i membri dell’ISIS non palesino la minima sensibilità ecologica non cambia di una virgola il problema. Dobbiamo comprendere una volta per sempre che, con una torta più piccola e non più aumentabile (se non a rischio di compromettere definitivamente la biosfera) il perseguimento delle consuete ricette quali la crescita economica rappresenta, volenti o nolenti, un atto fortemente bellicoso e, nel (neanche troppo) lungo periodo, un atto irresponsabile e fondamentalmente suicida.

Personalmente, per aprire una qualche breccia nel clima di odio e risentimento venutosi a creare, non posso che riproporre lo stesso auspicio di qualche giorno fa: invece di prese di posizione pro o contro rifugiati e di prodursi in buoni e cattivi sentimenti sulle guerre e la miseria che sconvolgono gran parte del pianeta, occorre ragionare sulle cause dell’esistenza di profughi, conflitti e povertà, rintracciando soprattutto le proprie responsabilità in merito. Facendolo ci si comporterebbe davvero da ‘occidentali’, abbandonano dogmatismo e fideismo, operando uno strappo concreto da qualsiasi modo di pensare anche solo vagamente affine ai cliché del terrorismo.

Immagine in evidenza: cordoglio della commissione europea per gli attentati di Bruxelles (ANSA)

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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