Decrescenti e unrealpolitik

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Fa uno strano effetto leggere il rapporto speciale dell’IPCC Global Warming of 1,5°C (sr15; una valida sintesi delle oltre 700 pagine si trova sul sito Climalteranti). In sostanza, per limitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale dell’atmosfera è necessario che le emissioni antropogeniche nette globali di CO2 diminuiscano di circa il 45% rispetto i livelli del 2010 entro il 2030, raggiungendo lo zero intorno al 2050.

 

 

Ragionando nell’ottica un po’ infantile del ‘ve l’avevo detto’, il rapporto segna la rivalsa delle motivazioni della decrescita contro tutti i detrattori. Infatti, con solo dodici anni rimasti per quasi dimezzare le emissioni, non c’è tecnologia salvatrice che tenga, così come non si può utilizzare l’argomento demografico (valido sul lungo periodo) come scusa per non intervenire sui consumi. Ovviamente, c’è ben poco da rallegrarsi della condizione in cui si è andata a ficcare l’umanità; tuttavia, dopo tanti sbeffeggiamenti, sarebbe naturale alzare la testa pretendendo di dire la propria sulla grave situazione incombente, essendone stati in qualche modo profeti.

Purtroppo, almeno per quanto riguarda il panorama italiano della decrescita, in questo momento non scorgo le condizioni per una simile presa di posizione, almeno in forma unitaria. Intendiamoci: esistono soggetti validissimi che portano avanti progetti eccellenti, ma negli ultimi tempi mi sembra decisamente diminuita la capacità del movimento, nel suo complesso, di fungere da agente del cambiamento.

A scanso di equivoci, premetto che non attribuisco alcuna responsabilità al MDF e al suo gruppo dirigente, per il semplice motivo che non hanno alcun potere di indirizzare le varie realtà. Di fatto, ho paura che qualcosa si sia rotto (spero non definitivamente) in corrispondendenza di due date, ossia il 4 marzo e il 1 giugno di quest’anno, le quali sono legate a due eventi ben precisi: le elezioni politiche e l’insediamento del governo a maggioranza M5S e Lega Nord guidato da Giuseppe Conte.

Se c’era qualcosa di buono nella cosiddetta ‘fine delle ideologie’, speravo che fosse l’abbandono dei campanilismi in stile Don Camillo e Peppone e della militanza-militonta dove si indossa l’elmetto staccando apparentemente i fili del cervello. Soprattutto, mi aspettavo che tante persone da me stimate (a torto?) intelligenti e ragionevoli, malgrado le legittime opinioni, non avrebbero mai abdicato alla funzione critica preferendo invece trasformarsi in ingranaggi e cinghie di trasmissione (se non proprio in zerbini) dei partiti. Ero sinceramente convinto che, qualsiasi fosse l’esito delle urne, sarebbe stato sempre possibile uno scambio di opinioni franco e corretto a prescindere dalle croci segnate sulla scheda elettorale, dove le ragioni della decrescita sarebbero state privilegiate alle simpatie politiche, senza mai incrinare il sostrato condiviso dai suoi aderenti.

Purtroppo, dopo l’insediamento dell’attuale esecutivo troppe persone hanno ritenuto di dover anteporre il proprio sostegno o la propria opposizione al governo all’orizzonte ideale della decrescita, trasformandosi o in cani da guardia del governo (notevoli in particolare le acrobazie dialettiche per giustificare l’ammorbidimento della linea dura contro le grandi opere o qualsiasi iniziativa di Matteo Salvini, anche la più becera e idiota) o in fiancheggiatori acritici (e talvolta inconsapevoli) del PD, cioé la formazione che forse più di tutte  si è distinta non solo nel denigrare la decrescita felice, ma anche nel sostenere a spada quel che resta del neoliberismo oramai sempre più marcescente.

Attenzione: non mi sto riferendo a chi, in modo del tutto laico, sostiene o contesta l’operato del governo coerentemente con le idee sempre professate, usando toni anche forti ma senza alcun manicheismo. Ho in mente invece le persone che stanno polemizzando aspramente sull’efficacia o meno del DEF nel favorire la ripresa dei consumi, nel valutare se era preferibile il piano di Calenda o quello di Di Maio per il rilancio dell’ILVA di Taranto, nel ridurre la questione delle migrazioni a chiusura frontiere o accoglienza: tutte questioni dove il problema vero, in ottica decrescente, non dovrebbe essere collocarsi pro o contro chi detiene il potere, bensì destrutturarne la forma mentis smontando i concetti apparentemente neutri e mai messi in discussione di ‘problema’ e ‘soluzione’. Da contestare la società della crescita, si finisce per accapigliarsi sul modo migliore per sostenerla, in puro stile vecchia politica.

E così, mentre ci si scanna tra reddito di cittadinanza, flat tax e immigrazione, l’IPCC tenta di riportarci alla realtà ammonendoci sui dodici anni rimasti per intervenire drasticamente al fine di contenere la minaccia climatica. Forse i decrescenti sono troppo minoritari per incidere concretamente, ma sarebbe davvero triste che, a un riconoscimento ufficiale delle loro preoccupazioni che ne legittima a pieno titolo la filosofia di vita, corrispondesse una disonorevole disfatta morale per essersi girati dall’altra parte, ammaliati dalle sirene delle beghe italiote.

 

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