La rivoluzione dei makers: convivialità o eteronomia? / 4

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2010

TIRANDO LE SOMME

Siamo giunti alla fine del nostro percorso sul movimento dei makers e sulle tecnologie di manifattura desktop, è il momento di tirare le somme e cercare di capire se possono ricoprire un ruolo importante per la causa della decrescita.

I lati negativi di queste tecnologie sono stati ampiamente trattati da Giulio Manzoni nei commenti agli articoli precedenti. E’ totalmente assurdo parlare di ‘artigianato digitale’, perché – permettetemi di riprendere una battuta tra me e Giulio – tra questa modalità moderna di fabbricazione e il vero artigianato intercorre la stessa differenza che c’è tra un assolo di chitarra di Hendrix e una musica campionata con qualche software al computer: la manualità viene completamente svilita, e se la progettualità si salva è purtroppo vero che di arte ne rimane davvero poca. Bisogna quindi collocare tutto nella giusta dimensione.

Il secondo ordine di problema riguarda anche l’informatica e viene spesso sottovalutato  dagli ecologisti stranamente ignari della legge dell’entropia: l’elettricità non è la panacea di tutti i malesseri ambientali, anzi. Motori elettrici, circuiti integrati e tantissime applicazioni elettroniche non possono essere costruite ad esempio senza il ricorso alle cosidette terre rare, materie prime che occupano l’interesse strategico delle principali potenze mondiali, anche perché sono concentrate in Asia e particolarmente in Cina. L’ipotesi di Giulio che l’occupazione dell’Afghanistan sia anche legata alla questione delle terre rare è tuttaltro che campata per aria. Sia detto per inciso, lo sfruttamento intensivo delle terre rare pone seri problemi di ordine ecologico.

Ecco quindi che le tecnologie di manifattura desktop – ma il medesimo discorso andrebbe fatto per l’hardware informatico – possono rappresentare una potenzialità solo se integrate in una logica precisa di autolimitazione, senza trasformarle in un business di massa. Anche perché la materia non si crea da sola, cosa del resto che sembriamo scordarci quando cambiamo la cartuccia o il toner della normale stampante 2D. Già oggi il lavoro è troppo astratto dalla materia, e sicuramente non c’è bisogno di persone che riempano la casa di infiniti oggetti inutili solo perché la stampante 3D sembra dotarle di attributi divini della creazione.

Uno dei progetti più interessanti è rappresentato dalla costituzione di fabbriche comunitarie, una soluzione pensata da Frithjof Bergmann, professore dell’università del Michigan, che ha prospettato una nuova concezione del lavoro, sotto il nome di New Work.

 Le fabbriche comunitarie – che nella sua visione dovrebbero essere dei veri e propri centri culturali, con corsi di formazione, orti comunitari e spazi ricreativi – dovrebbero consentire una nuova forma di sussistenza high-tech. Bergmann immagina una settimana lavorativa dove ogni cittadino dedica due giorni a un normale lavoro retribuito, due giorni è attivo nelle fabbriche comunitarie e i rimanenti è libero di dedicarsi alle attività più congeniali. Ciò porterebbe alle estreme conseguenze la concezione dell’open hardware, e le comunità virtuali sul Web troverebbero finalmente una concretizzazione sul territorio capace di aprirsi a un pubblico che vada ben al di là dei nerd o degli hacker che animano le community on line.

Questa potrebbe essere la direzione da seguire per una tecnologia della decrescita. Una tecnologia conviviale che dovrebbe proporsi come scopo principale di conciliare efficienza e sostenibilità, in particolare per il riutilizzo delle componenti e cercando di sostituire tutti quegli elementi critici come i magneti in terre rare, anche a costo di ridurre le prestazioni complessive. Siamo ancora lontani da un’elaborazione teorica e pratica concreta di una tecnologia della decrescita, tuttavia a vario titolo esistono molti tecnici e pensatori che, spesso ignari dell’esistenza stessa del termine ‘decrescita’, condividono molte delle preoccupazioni dei decrescenti.

Forse noi decrescenti – e in questa critica mi ci metto per primo – tendiamo a essere troppo profeti e poco esploratori. Quest’estate, leggendo Storia dell’utopia di Lewis Mumford, mi sono accorto che tutte le grandi utopie della tradizione occidentale – la Repubblica di Platone, la Città del Sole di Campanella, l’isola di Utopia di Moro e moltissime altre – si basano sull’idea che è impossibile la giustizia senza l’autolimitazione dei desideri, e tutto questo secoli prima delle problematiche ecologiche. Ugualmente oggi nel campo della scienza e della tecnica ci sono persone e progetti che possono e devono attirare la nostra attenzione, anche se spesso antepongono l’autonomia individuale alle preoccupazioni ambientali, come nel caso dei makers, e quindi possono presentare molti punti critici. Nel movimento dei makers bisogna scandagliare parecchio per dividere la paglia dal fieno, un compito gravoso ma che va fatto, pena meritarci critiche anche peggiori del delirio di insulti di queste ultime settimane.

6 Commenti

  1. Leggo con piacere l’ultima puntata sui makers in cui Igor riassume anche i miei commenti. E concordo completamente con l’idea di dividere paglia e fieno. Il problema si sposta quindi nella definizione dei criteri tale divisione. Si potrebbe dire “basta seguire i criteri della decrescita”, che pero` non mi sembrano ancora abbastanza specifici al riguardo…
    Mi piacerebbe un confronto di idee al proposito.
    Alcuni spunti sono gia` impliciti nel dialogo con Igor, qualcosa avevo accennato in una nota recente e di altri aspetti avevo parlato con amici vari e mi ripropongo di scriverli in una nota in cui vorrei cercare di discutere la “bonta`”delle tecnologie anche nell’ambito della decrescita. Infatti io credo che piu` o meno quasi tutte le tecnologie, robot inclusi, possono avere un ruolo positivo nella futura societa` in cui vorremmo vivere senza che si debba snaturare l’uomo o renderlo obsoleto.
    E` il vecchio problema che mette la scienza e tecnologia al di sopra delle discussioni e da` al politico o all’utilizzatore la responsabilita` etica di come le usa… pero` e` anche vero che anche l’inventore della bomba atomica sapeva cio` che faceva e non si puo` scaricare dalla responsabilita` di averla creata. Quindi…
    Come primo principio mi verrebbe da dire:
    “il fare [creare] e` l’attivita` che piu` caratterizza l’essere vivente evoluto, mentre il distruggere [sprecare] e` cio` che caratterizza l’essere non evoluto oppure quello degradato” (e l’uomo odierno e` gia` degradato parecchio, forse irrimediabilmente) ebbene ritengo che il “maker” che dovremmo cercare di essere e` colui che fa e crea limitando ogni possible spreco o distruzione.” Va detto che gli sprechi ci saranno sempre, come insegna la crescita entropica, cosa ben nota ai fondatori della Decrescita e di cui parlero` molto presto piu` diffusamente. Quindi sta a noi limitare tali sprechi il piu` possibile.
    Insomma, l’efficienza creativa e` il principio che dovrebbe guidarci, efficienza che non si misura solamente sul consumo e spreco delle risorse con cui si fa, ma anche e soprattutto nella creazione di cose inutili di cui ci stanchiamo presto ed ammuffiscono negli angoli con un’inefficienza del 100%.
    Mi auguro quindi che questa “conclusione” sulla discussione sui “makers” sia piuttosto l’introduzione di un discorso molto piu` ampio che cerchero` di ravvivare quanto prima con ulteriori note su queste pagine.

  2. … a proposito delle terre rare in Afganistan si puo` leggere l’articolo su Scientific American che avevo letto un paio d’anni fa e mi aveva suggerito il sospetto che gli americani non fossero li per turismo o passatempo.
    Nell’ingenuita` dell’autore a descrivere l’operazione geologico-militare si percepisce la solita arroganza di chi va in giro per il mondo a distruggere per poi sfruttare…
    http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=afghanistans-buried-riches

  3. Ecco Giulio, adesso la palla direi che passa principalmente a persone con competenze come te! Dopo un filone di decrescita neo-ruralista abbastanza solido, ce ne vuole sicuramente anche uno post-industriale altrettanto valido. Io ho fatto quello che ho potuto nei miei limiti… si apre un campo vastissimo, tanto problematico quanto affascinante. Aspetto quindi tuoi ulteriori interventi, felice di aver in qualche modo stimolato la tua attenzione.

    • Ciai Igor, ho letto con interesse il tuo articolo”la rivoluzione dei makers” e vorrei dare un mio piccolo contributo alla discussione. Ti scrivo dal Burkina Faso dove sto insegnando alla gente del posto come costruire cucine, forni ed essiccatori solari. Ho deciso di lasciare l’Italia e di dare la mia professionalita’e le mie competenze a chi ne ha veramente bisogno. Sono appena tornato dslla Costa d’Avorio dove ho aperto un laboratorio e dove stanno comincianda produrre le prime cucine solari costruite unicamente con materiali locali. Il mio obiettivo e’ di dare ad ogni famiglia africana una cucina solare a bassi costo costruita localmente in modo da creare posti di lavoro e risolvere il problema della manutenzione. Sono per le tecnilogie appropriate cioe’per usare materiali e tecnologie reperibili localmente. In occasione dell’ ultimo congresso che si e’ svolto a Venezia l’anno scorso avevo presentato un documento che si puo’ trovare in rete digitando il mio nome e cognome e che si chiama il “il portale dei saperi ” dove suggerisci di mettere in rete gratuitamente le nostre idee, i nostri progetti perche’ la conoscenza sia al servizio di tutta l’ umanita’. Insomma propongo di riappropriarci della nostra vita e di decidere noi cosa produrre, dove, come e per chi. Io personalmente lo sto sto facendo e sono molto felice della mia scelta.Faccio parte del movimento per la decrescita e di Open Source Ecologye cerco nel mio picvolo di cambiare questo mondi che sinceramente fa schiffo. C’e’ uno spreco enorme. Ci sono persone che vivono nel lusso e persone che fanno la fame. Mi piacerebbe che tu legessi il mio documento per sapere il tuo patere. Ti ringrazio. Graziano Naressi

      • Ciao Graziano, penso che l’opera che stai facendo sia la perfetta concretizzazione di concetti astratti come tecnologia ‘conviviale’, ‘intermedia’, ‘adeguata’, ecc… e anche l’unico modo per dare un senso a quella strana espressione che va sotto il nome di ‘sviluppo umano’, e che di solito si immagina riferita a disastri sociali-ambientali attualmente in grande ascesa in Asia, ad esempio, e presentati come modelli virtuosi.
        Ho letto il tuo contributo e l’ho trovato eccellente, specialmente perché mira al connubio fondamentale decrescita-società dei beni comuni. Ha molto in comune con il mio Democrazia radicale, anche lì ho trattato di open source e open hardware, conoscenza condivisa, beni comuni… penso che persone diverse, partendo da esperienze diverse, stiamo mettendo insieme gli stessi tasselli di un mosaico complesso. E questo è un bene.
        A questo punto però, oltre alle buone pratiche necessarie e fondamentali, mi viene da chiedere: realtà organizzate come quelle, ad esempio, delle Reti Economiche Solidali, dei movimenti di difesa del territorio, della conoscenza condivisa, ecc… hanno la capacità e l’intraprendenza di porsi come soggetti costituenti e rappresentativi del corpo sociale, per integrarsi (se non proprio sostituirsi) alle istituzioni incapaci di ovviare al disastro sociale ed ecologico, quando non ne sono le prime responsabili?
        Stai facendo una grandissima cosa in Africa. Tu gli hai portato una tecnica, forse (dico forse perché non voglio parlare con certezza di realtà che ho conosciuto solo sui libri e non direttamente) dall’Africa dovresti importare forme di cooperazione e associazione umana che, soffocate in Occidente da secoli, potrebbero dare un valore istitutivo alle buone pratiche qui da noi.

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