Pensiero unico di opposizione e di governo

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“Non c’è alternativa”, ammoniva severamente Margaret Thatcher negli anni Ottanta, intendendo che le politiche economiche neoliberiste non erano semplici proposte bensì imposizioni ineluttabili, alla stessa stregua di una legge naturale, a cui dovevano adeguarsi tutte le formazioni politiche indipendentemente dai loro valori di riferimento.

Mutatis mutandis, più di trent’anni dopo, Roberto Siconolfi, commentando l’esito del ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi su Megachip, condanna aspramente chi non se l’è sentita di sposare quella che viene presentata come la sola alternativa di opposizione al pensiero unico neoliberale incarnato da Emmanuel Macron, ossia il populismo sostenuto dalla leader del Front National Marine Le Pen:

In sintesi, per il tipo di soggetti descritti prima, sostenere una forza come il Front National è come contravvenire a un dogma religioso. Le giustificazioni date da coloro che hanno sostenuto Macron al ballottaggio sono che, se anche egli fa gli interessi “puri” delle élite economiche, è sempre meglio della Le Pen. Oppure che essendo il FN un movimento “fascista” o di estrema destra è impossibile appoggiarlo. O ancora, che bisognava sostenere Macron, perché la Le Pen avrebbe attuato una serie di politiche xenofobe e razziste. Tutte queste motivazioni sembrano proprio quelle di chi, in realtà sta già iniziando a vivere un forte conflitto di coscienza, ma che deve ancora trovare dei forti motivi a non cambiare. Motivi che poi, andando a vedere bene non sussistono, in quanto, il FN ha sì la sua connotazione di tipo nazionalista, ma non è colpa sua se è diventato il polo di aggregazione di malcontenti popolari di ogni tipo. Il FN avrà sicuramente delle pulsioni xenofobe, ma ben più lo è l’apparato di potere dietro Macron che provoca alla base le contraddizioni tra popoli autoctoni e immigrati. Dei meccanismi simili a sensi di colpa, poi, assalgono quella parte del mondo comunista che ha progressivamente compreso che la vera alternativa non è più tra destra e sinistra ma tra oligarchie finanziarie e popoli. In nome di questa nuova lotta di classe movimenti politici come quello radunato intorno a Marine Le Pen rispondono bene alle aspettative…

Più in generale, negli ultimi tempi, si è creata nel mondo occidentale una sorta di paura di massa nei confronti di quei movimenti che vengono definiti populisti. Una paura indotta però – dalle élite finanziarie ai popoli – in quanto questi non avrebbero di che temere da un sano movimento che catalizzi, seppur in forma diversificata, la loro ribellione. Per fortuna questa “paura” non fa presa su tutti e stanno iniziando a rompere con questo clima in molti. Questi ultimi, però, sono messi al bando – più che dalle élite stesse – proprio da coloro che vivono la paura per il movimento populista. A ciò è concatenano un altro fenomeno di tipo psicologico, una sorta di “Sindrome di Stoccolma”. Essa si gioca tra il tiranno – le élite finanziarie e il mainstream – e i popoli sottomessi. Questa sindrome prevede il fatto che il tiranneggiato non si possa concepire esso stesso come artefice del proprio riscatto. E che debba quindi demandare al tiranno la propria salvezza addirittura adorandolo e attaccando tutti coloro che, invece, con le proprie forze si ribellano rompendo la gabbia.  

Ovviamente, si può discutere a lungo sulla reale ‘pavidità’ di gente ‘colpevole’ di non saper dare un bel colpo di spugna a quisquilie quali il nazionalismo e la xenofobia. Tuttavia, mi interessa molto di più in questa sede ragionare sui presupposti impliciti delle argomentazioni di Siconolfi, maturando qualche riflessione critica sulla narrazione alla base di essi.

  • “le oligarchie finanziarie dominano il mondo contro i popoli oppressi”. Ma da quando? Perché? Prima non dominavano o in misura minore? Che cosa le rende tanto influenti?
  • “popoli oppressi”. Tutti insieme in un unico calderone, dal Sud al Nord del mondo? Un congolese che lavora in una miniera di coltan è “oppresso” al pari di un piccolo imprenditore europeo? Un lavoratore precario di un call center lo è quanto un avvocato o un notaio? Dovrebbero tutti immaginarsi alleati solidali contro i finanzieri predatori? Non c’è qualcuno tra i presunti oppressi che ne opprime a sua volta qualcun altro? La finanza penalizza indiscriminatamente tutto e tutti oppure qualcuno è connivente con lei?
  • “l’immigrazione è sfruttata contro i lavoratori autoctoni”. L’immigrazione è sicuramente sfruttata come bacino di manodopera a basso costo, e non da oggi. Ma perché esistono degli immigrati? Quale cause profonde li spingono a migrare? Oppure è tutto un fenomeno creato dalle ONG finanziate da Soros?

Vorrei momentaneamente concentrarmi su quest’ultimo punto – l’emigrazione – dando la parola a qualcuno ritenuto da molti un politico prezzolato al soldo dell’oligarchia finanziaria (per la cronaca, il giudizio del sottoscritto non è tanto migliore), ossia l’attuale ministro degli interni Minniti, che in un’intervista a Repubblica ha dichiarato:

“Nel 2016, le nazionalità dei migranti erano principalmente irachena, siriana e somala. Oggi quei gruppi etnici non sono più presenti nei flussi e quindi c’è poco da ricollocare. Oggi, le prime tre etnie di migranti provengono da Nigeria, Bangladesh e Guinea. Quindi, ad esempio, è necessario che l’Europa aggiorni i suoi profili etnici per il ricollocamento. Ed è necessario che tutti comprendano la portata globale del fenomeno. Perché è evidente che chi, per 10 mila dollari, parte dal Bangladesh, raggiunge in aereo il Cairo o Istanbul e di lì viene preso dai carovanieri per essere condotto prima nel sud del Sahara e poi, a Sabrata e di lì sulle nostre coste con barconi, non sta sfuggendo a una guerra. È chiaro che, legittimamente, cerca opportunità di vita migliori e si affida all’unica industria sopravvissuta in Libia. Quella dei trafficanti di uomini. Ora, il mio dovere democratico, sottolineo, democratico è chiudere quell’industria, toglierle agibilità lungo la rotta sahriana e punti di appoggio in Libia”.

Molto interessante la dialettica di Minniti: chi migra per migliorare le proprie condizioni di vita agisce “legittimamente”, ma il mio compito è impedirglielo a ogni costo. Indica poi in Nigeria, Bangladesh e Guinea i principali paesi oggetto di emigrazione, senza chiedersi il perché di tale fenomeno (decidendo quindi di non agire sulle cause), un comportamento che lo accomuna decisamente agli odiati contestatori populisti. Cerchiamo di capirlo noi.

Come chiunque può constatare facilmente  con una piccola ricerca su Internet, i tre paesi in questione dagli anni Settanta a oggi sono stati caratterizzati da due fenomeni:

– una crescita demografica sostenuta, tale da far quasi raddoppiare la popolazione;

– un forte interesse, per differenti ragioni, da parte delle aziende multinazionali (estrazioni petrolifere e minerarie in Africa e delocalizzazione produttiva nel paese asiatico), con dinamiche che molto spesso interferiscono pesantemente sulla vita delle popolazioni locali (la recente denuncia del popolo nigeriano degli Ikebiri contro l’ENI è solo la punta di un iceberg);

A queste due situazioni si è aggiunto il peggioramento delle condizioni ambientali del pianeta, con gli l’acuirsi del global warming che ha causato gravi ripercussioni in tutti e tre gli stati.

Ovviamente non si tratta di un’analisi profondissima, ma almeno ha un merito totalmente estraneo al pensiero unico di opposizione e di governo: non si limita a constatare la presenza di determinati fenomeni ma cerca di comprenderne l’esistenza al di là di banali sillogismi complottistici (del tipo: “tizio sfrutta il tal fenomeno -> allora il fenomeno è stato inventato ad arte da tizio”). Ho tentato per gioco (quindi semplificando moltissimo le questioni) a osservare alcune problematiche attuali sotto la lente dei due pensieri oggi dominanti – neoliberismo e populismo – per poi esaminarle attraverso quello che ho chiamato pensiero sistemico (con chiaro riferimento a I limiti dello sviluppo e a tutte quelle disamine ricercanti connessioni nel tempo e nello spazio), dove si prova a distaccare i fatti dalle opinioni sforzandosi di comprendere la complessità (non a caso, anche se si tratta solo di un gioco, la sua colonna è più verbosa delle altre due). Nessuna verità assoluta – meno che mai ‘unica’ – ma almeno un antidoto alle narrazioni semplicistiche, da qualunque parte provengano.

A chi fosse interessato a riflessioni meno ‘giocose’ e più accurate, per quanto riguarda questo sito consiglio (tra gli altri) la lettura dei seguenti articoli:

Armando Boccone, Gli anni settanta del XX secolo

Manuel Castelletti, Verso il collasso

Igor Giussani, 1973, l’inizio del tracollo

Igor Giussani, IEA WEO 2016: certificazione della decrescita?

Fonte immagine in evidenza: rielaborazione personale immagini Wikipedia di Emmanuel Macron e Marine Le Pen.

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

2 Commenti

  1. Bell’articolo Igor!
    Mi permetto di dire che quando nella terza colonna dici “Il sistema mondo è formato da una rete gerarchizzata di nazioni..” avrei accennato al colonialismo europeo dei secoli fra il XVII e il XIX come causa della specifica rete gerarchizzata di nazioni che si è storicamente data.
    Ciao
    Armando

    • Ciao Armando,
      ovviamente hai ragione, è uscito un nuovo libro di Jason Moore che ha ampliato la concezione del sistema-mondo trasformandola in ecologia-mondo, e per il capitalismo prende proprio spunto dalle dinamiche dell’arco temporale che hai segnalato. Se depurate da un po’ troppo di sovrastruttura marxista mi sembra ottime intuizioni.

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