Perché parlate di decrescita felice senza conoscerla?

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Mara Carfagna, Stefano Feltri, Sandro Trento. Nell’arco di due giorni sono state almeno tre le persone che hanno attaccato pubblicamente la decrescita felice, senza però essersi presi la briga di approfondire di che si tratta. Ritorno “a una condizione agreste, bucolica”, goduria nell’abbassamento dei salari, pessimismo e tutta una serie di luoghi comuni sono alla base di queste ennesime critiche a proposte che, evidentemente, stanno minando le certezze dell’establishment politico-economico che hanno formato questi esperti. Addirittura “abbassamento delle aspettative e degli stili di vita che richieda di stare meno sul posto di lavoro”, scrive Stefano Feltri (a cui Maurizio Pallante ha già risposto in passato) sul Fatto Quotidiano di oggi.

Ora, se per alcuni evitare di lavorare dalla mattina alla sera non coltivando così altri interessi o i propri affetti è un abbassamento delle aspettative di vita va bene, ci mancherebbe. La si pensa diversamente e su questo non c’è nulla da dire. Ciò che inizia a infastidire, invece, è la supponenza nei discorsi di Mara Carfagna a Servizio Pubblico giovedì sera, ma anche di Stefano Feltri sul Fatto di oggi e di Sandro Trento nel suo post di ieri.

Da quando il M5S ha detto esplicitamente di fare proprio in qualche modo il discorso della decrescita felice, non la si può più ignorare, in Italia. Purtroppo, però, si parla di essa evidentemente senza mai essersi presi la briga di andare a vedere di che si tratta. Feltri, per fortuna, da buon giornalista è andato a verificare, e almeno ha capito che decrescita e recessione non sono la stessa cosa: la recessione è infatti come mangiare meno perché si ha meno cibo; la decrescita è come mangiare meno perché ci si mette a dieta. In entrambi i casi si mangia meno, ma per motivi ben diversi: la recessione ti piomba addosso e ti rovina, la decrescita è una scelta, una presa di coscienza che fai per cercare di vivere meglio.

Certo, a Stefano Feltri sembra incredibile che anche chi non ha studiato economia si permetta di parlare di una materia apparentemente riservata a esperti di banche, debiti e spread, ma si deve rassegnare all’idea che sempre più persone, toccate da vicino dalle proposte di politici, grandi economisti ed ex rettori universitari che ci hanno portato in una situazione (non solo economica, se mi è permesso farlo notare, ma anche sociale, occupazionale ed ambientale) sotto molti aspetti insostenibile, hanno capito che la crescita infinita del Pil e dei consumi non solo non è possibile su un pianeta dalle risorse finite, ma invece che la soluzione dei problemi che abbiamo ne è la causa (come è stato spiegato decine di volte, tempo fa anche su questo blog).

I simpatizzanti della decrescita sono una massa di invasati contro la tecnologia e il progresso? No, per l’ennesima volta: sono persone che chiedono di badare meno ai numeri e più alla qualità di vita. Che chiedono di usare la tecnologia, e usarla di più, se serve, per passare però da un discorso di quantità a un discorso di qualità, ossia non di mero aumento della produttività e del reddito.

Insomma, cari economisti, politici ed esperti contrari a priori alla decrescita felice, guardate per cortesia le proposte politiche ed economiche che non vi siete ancora presi la briga di leggere, e per quanto le riterrete ingenue, idealistiche e riservate a cassandre, inesperti e sognatori, magari capirete una volta per tutte che decrescita non vuol dire tornare al carro e alla candela, ma cambiare un paradigma culturale, quello che vi ostinate a propinarci, che al di là di piacere o meno ha un piccolo problema, rispetto ad alcuni decenni fa: è miseramente fallito.

Andrea Bertaglio

Fonte: Movimento per la Decrescita Felice

4 Commenti

    • La cosa che mi fa piú incazzare non é la loro ignoranza, ma la loro arroganza a dire “la decrescita fa schifo, dobbiamo parlare di crescita sotenibile” che sono sinonimi di un concetto che comunque loro non hanno capito. L’unica che lo ha capito é Laura Puppato che a Treviso ha introdotto il BIL.

  1. Io propongo di cambiare o modificare “terminologia” quando si parla di decrescita felice.
    Voglio dire, la “gente comune”, abituata a pensare all’idea del consumo quale motore del benessere (anzi all’aumento del consumo…) ovviamente tende ad associare la parola decrescita a recessione, non considerando (e non sapendo) che la decrescita non si riferisce alla qualità della vita ma al consumo delle risorse fisiche, in particolar modo di quelle non rinnovabili (anzi, si dovrebbe azzerare o quasi), risorse che per loro natura non possono essere infinite. Non sarebbe il caso di andare al nocciolo della questione e soffermarsi un pò meno sui termini che sono stati coniati e che, tra il grande pubblico, non rendono giustizia all’idea?

  2. Quando parlo di decrescita spesso vengo guardata con simpatico compatimento. Ci hanno inculcato al cuni diktat che ormai sono diventati dogmi, per cui il progresso é inarrestabile, certo bisogna fare qualche cosa, ma la finanza é ineludibile, il mondo é globale, ecc.ecc. Una mentalitá che peró non trovo nei ragazzi, annoiati da un sistema che li relega ad essere dei perdenti se non consumano i vari gadget. Su questa profonda e disperata noia bisogna agire, trasformandola in curiositá per un modello di vita diverso, senza timore dei muri di disprezzo dei giovani, muri molto deboli e pieni di crepe.

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