Resilienza

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 resilienza  Resilienza: un termine fino a qualche tempo fa quasi sconosciuto poiché utilizzato solo in ambiti specialistici (per esempio in ingegneria con il termine resilienza si indica la capacità di un materiale di resistere a sollecitazioni meccaniche improvvise e violente senza rompersi, in campo ecologico si parla di resilienza per indicare la capacità di un ecosistema di riprendere il proprio equilibrio dopo eventi traumatici causati dall’uomo o dopo eventi climatici di una certa gravità). Attualmente però il significato più rilevante può certamente essere considerato quello relativo alla capacità umana di andare avanti e cercare di organizzare la propria vita potendo contare su un sempre minor numero di certezze e punti di riferimento.

  Proviamo a fare due conti: Nel giro di pochi anni le nostre prospettive di vita sono notevolmente cambiate, poiché si presentano sì numerose opportunità, ma anche grosse incertezze se non addirittura rischi. Il divario fra questi due fattori purtroppo è sempre maggiore e stressante, in nome di un fumoso e liquido concetto di libertà di mercato (perdonatemi l’indegno parafrasare il concetto di società liquida di Zygmunt Bauman). Si fa tanto parlare di elasticità del lavoro, del doversi adattare a nuove situazioni e doversi reinventare più volte durante la propria esistenza. A parole sono concetti anche condivisibili, ma andatelo a dire alle bollette di gas, luce, affitti o mutui, che invece sono sempre lì belle fissi e puntuali.

  Il fatto è che l’ondata di benessere economico nel nostro Paese è iniziata a fine anni ’50 raggiungendo picchi fino a fine anni ’70 e stabilizzarsi fino a fine anni ’90 – primi 2000. Sappiamo poi tutti cos’è successo a partire dal dramma dei mutui “subprime”, del fallimento Lehman Brothers ed altre cosucce simili. Per la prima volta dopo cinquant’anni (tanto è durata l’onda del “boom” economico italiano), le generazioni presenti e future hanno prospettive di benessere inferiori a quelle precedenti. I posti di lavoro offerti sono sempre più a tempo determinato e con poche garanzie rispetto a quelli “fissi” (a volte anche troppo tutelati rispetto agli altri, ma qui occorrerebbe aprire uno spinoso capitolo a parte) che dovrebbero essere lo standard mentre invece vanno a calare sensibilmente, e al contempo il sistema creditizio richiede garanzie e credenziali sempre maggiori per poter ottenere prestiti, ignorando il mutamento del quadro sociale, per restare anacronisticamente incollato a modelli purtroppo non più attuali.

  Dobbiamo quindi andare avanti rendendoci conto che i “tempi d’oro” (quelli del boom economico, tanto per intenderci) non torneranno più, considerare la necessità di rivedere tutti i nostri soliti modelli economici non più applicabili e ricalcolare tutti i nostri progetti continuamente e sulla base di garanzie sempre minori, un po’ come un navigatore che deve riscrivere continuamente la rotta a causa di deviazioni o strade interrotte, contando sul fatto che prima o poi si arriverà a destinazione comunque. Resilienza, appunto.

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Nato nel 1969 a Pesaro, nel 1988 mi sono diplomato come Perito Turistico e nel ’93 ho completato un corso di Operatore di Marketing per PMI. Dopo quarant’anni vissuti sulla riviera romagnola a Cattolica, mi sono sposato e trasferito nelle Marche a Fermignano, vicino ad Urbino. Entrato molto presto nel mondo del lavoro (più per necessità che per scelta), ho avuto modo di notare con dispiacere che alla medesima domanda, ovvero: “Cosa serve per vivere?” una volta avremmo risposto “Un tetto, cibo ,acqua e la salute”, mentre ora semplicemente “Servono i soldi”. Questa triste constatazione mi ha fatto capire di essere decrescentista già prima di aver conosciuto il termine.

12 Commenti

  1. ..caro Mirko se vogliamo veramente decrescere concetti come boom economico, credito, lavoro sono idee da superare…eppoi a me la RESILIENZA non piace…è priva di ideali ed è una parola che deriva, ancora una volta, dal mondo economico e industriale.

    • E bravo Diego, dici proprio bene, sono termini che dovremmo lasciarci indietro. Ma fanno parte in ogni caso della nostra storia e serve usarli comunque per fare un quadro della situazione. Per quanto riguarda il fatto che la parola Resilienza non ti piaccia, bé rispetto la tua opinione indubbiamente ma la considero un “male necessario”. Perché deriva dal mondo economico?

      • ..mi dispiace constatare come anche tra coloro che auspicano la decrescita ciò che ha importanza è sempre l’aspetto economico…il termine resilienza è tratto dalla meccanica e usato per descrivere il comportamento economico degli individui….ma decrescere realmente significa rivoluzionare i valori e liberare gli individui dalla schiavitù rispetto alla loro situazione economico-materiale e mettere al primo posto il benessere psico-fisico, le relazioni umane e tutto ciò che può rendere felice un essere speciale come è l’uomo. Decrescere significa togliere importanza alla sfera economica per darla all’essere umano e non solo trovare un altro modo di fare profitto inquinando meno.

        • Diego, ti prego di non voler arrivare a conclusioni affrettate. Se intendi accusarmi di superficialità nell’affrontare l’argomento, a causa magari di mia ignoranza, allora fai pure, ed anzi ti incito a farlo. Ma desiderio far presente che l’intento dell’articolo è solo quello di presentare una situazione, e non incensare l’attuale modello economico in cui viviamo, che ci sta schiacciando. Le mie constatazioni sono frutto di osservazioni derivate dalle esperienze di tutti i giorni, e se leggi la mia scarna biografia sul sito, oppure qualche mio articolo scritto su decrescita.com o sul mio blog personale, vedrai come io ritenga in parole povere che il peso dato al denaro, quindi all’economia di tipo monetaristico ed alla finanza speculativa sia eccessivo.

  2. ..caro Mirko non mi permetterei mai di giudicare le opinioni di nessuno…del resto il termine “resilienza” è molto usato da chi scrive di decrescita e di questo, ovviamente, tu non hai nessuna colpa…ho solo paura che il movimento derivi verso una considerazione dell’uomo a una sola dimensione…quella economica

    • Capisco che tu possa avere dei dubbi, e del resto è normale che ci siano “correnti di pensiero” differenti tra loro, specialmente in movimenti molto trasversali ed ampi come quello “decrescentista”. Ma onestamente, fra i tanti timori che puoi giustamente avere, io mi sentirei di rassicurarti proprio su quello di cui stiamo parlando. Tieni conto inoltre che non possiamo esimerci dal considerare la dimensione economica come rilevante nelle vite di tutti. Però con dei distinguo: anzitutto per sfera economica non intenderei solo quella puramente monetaristica, ma una di più ampio respiro, che tenga conto dei pro e i contro di ogni nostra azione (tipo impatto ambientale ed utilità sociale). Il fatto è che purtroppo l’economia di tipo solo monetaristico non sta prendendo il sopravvento, ma lo ha già fatto. In pratica si valuta tutto in termini solo di denaro, anche ciò che prezzo non dovrebbe avere. In questo ti posso dar ragione effettivamente. Leggi per esempio il commento postato da Gerhard Kuhel, che forse rende meglio l’idea. Io forse sono stato un po’ contorto…

  3. Data la mia formazione per me la resilienza è sempre stata una proprietà degli impasti, legata alla forza della farine, ossia al suo contenuto di glutine. Da poco ho imparato il suo utilizzo nel contesto dell’economia di transizione, dove sta a indicare la capacità di una comunità locale di riadattarsi, di riorganizzarsi, di recuperare nell’ambito del suo territorio, in un rapporto equilibrato con l’ambiente, le risorse necessarie al suo sostentamento, senza dipendere dall’economia globale. In questa accezione a me il termine piace. Che poi ci siano piani ben più importanti di quello economico a cui sottomettere ogni ragionamento economico non significa che non possa essere utile ragionare anche in termini economici, purchè le condizioni di contorno siano correttamente rappresentate a differenza di quanto fanno le teorie economiche che improntano così nefastamente la nostra società.

  4. il concetto di RESILIENZA a livello locale (esempio DES – Distretti di Economia Solidale), può esser visto come la capacità di essere meno vulnerabili in quanto il sistema locale tende ad aumentare la sua indipendenza dagli shock esterni.
    Creare sistemi locali resilienti in campo ambientale economico e sociale può essere la migliore risposta da parte delle comunità locali alla tirannide della globalizzazione (che aumenta profitti e rendite senza aumentare salari e lavoro e senza salvaguardare l’ambiente, incluso la biodiversità). Per inciso, coma sanno bene a Roma dove si sente dire “m’ha rimbalza”, Resilienza etimologicamente deriva dal Latino RE-SILIRE (saltare indietro appunto)

    • Molto interessante l’origine etimologica del termine, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Il concetto di resilienza a quanto pare viene usato in tantissimi campi, e indica sempre (con le dovute varianti dei casi) la capacità di reagire e riadattarsi ad condizioni mutevoli, sia che si tratti di oggetti, sistemi, società o quant’altro.

  5. In siderurgia la prova di resilienza è un test atto a verificare il comportamento dell’acciaio impiegato alle basse temperature.
    Questo test è stato introdotto dopo la tragedia del Titanic.
    Infatti, a zero gradi o, peggio, a temperature anche piu’ basse, l’acciaio diviene fragile e , all’urto, si spezza.
    Per questa ragione l’acciaio destinato ad un utilizzo a basse temperature viene legato con alluminio per l’affinazione del grano.
    Il test consiste nel rompere una provetta, a cui è stato praticato un intaglio a “V” o ad “U”, tramite il pendolo Charpy.
    Ovviamente la resilienza è la capacità del materiale a resistere all’impatto.
    Se vi fosse stata adeguata conoscenza all’epoca, il Titanic, impattato l’iceberg, non avrebbe riportato lo squarcio che gli è stato fatale.
    Col senno di poi………

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