Viviamo sopra un tesoro e non lo capiamo

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Viviamo sopra una miniera d’oro e non ce ne rendiamo conto. Si fa tanto parlare – giustamente – di misure atte a rilanciare l’asfittica economia del nostro Bel Paese, senza però renderci conto che non ci serve fare investimenti faraonici, né mandare avanti le tanto decantate “grandi opere” che alla fine producono un po’ di posti di lavoro per periodi limitati ed a costi altissimi per lo Stato, per non parlare dell’impatto ambientale e paesaggistico che comportano tutte le nuove colate di acciaio e cemento. Non ci servirebbe costruire nulla di nuovo, ma semplicemente riscoprire e imparare ad utilizzare meglio il grandissimo ed unico tesoro che abbiamo.

Tesoro? E dove sarebbe? Forse abbiamo del petrolio e non lo sapevamo, oppure del gas o del carbone sotto le viscere della nostra penisola di cui ignoravamo l’esistenza, oppure miliardi di euro che qualcuno si era imboscato e sono venuti fuori solo ora?

Niente di tutto questo.

Il tesoro che abbiamo in mano è semplicemente il mostruoso patrimonio storico, artistico e culturale che ricopre letteralmente tutta l’Italia. Certo, forse l’affermazione secondo cui il 70% del patrimonio artistico/culturale mondiale si trovi in Italia è forse esagerata, ma ciò non toglie che essa sia comunque ricchissima da questo punto di vista, specie se teniamo conto che la sua superficie di circa 300mila chilometri quadrati non la pone certo fra le nazioni più estese sulla terra. Ospitiamo una concentrazione di opere d’arte che nessuno di noi riesce ad immaginare, senza nemmeno dover scomodare colossi tipo Roma o Pompei. Lo stivale italico è pieno di piccoli e piccolissimi comuni con le loro antiche chiese o fortezze con le loro antiche mura. Volendoci scherzare sopra si potrebbe dire che in Italia non puoi scavare mai sotto terra che trovi qualche storico coccio che ti costringe a fermare i lavori (quando vengono fermati, perché chissà quante volte invece si sarà fatto finta di niente)

I turisti stranieri amano il nostro Paese, poiché amano la combinazione di paesaggi, architetture, clima, cucina e cultura varia che forse nessun altro può offrire. E noi a loro cosa diamo talvolta in cambio? Musei che aprono in orari d’ufficio e stanno chiusi proprio nei week end, mezzi pubblici costosi ed inefficienti, cappuccini a 5 euro l’uno o pernottamenti a prezzi da Grand Hotel, informazioni fumose e scoordinate, fiere del turismo (o simili) all’estero dove, invece di presentarci compatti come Italia e presentare le nostre ricchezze, il tutto viene delegato a iniziative scollegate programmate da singoli enti od organizzazioni. Invece di un unico esercito con una sola divisa, tanti piccoli battaglioni tutti con le loro bandiere.

Rivalutare il nostro patrimonio, senza buttare al vento milioni di Euro in operazioni a pioggia o in costruzioni di infrastrutture inutilmente grandi, che inevitabilmente finiscono per non essere finite (scusate il gioco di parole), o se va bene diventano tante nuove cattedrali nel deserto, se non comportano sfregi paesaggistici di cui siamo purtroppo pieni. E’ sufficiente rimettere a posto quello che abbiamo e renderlo meglio fruibile, con buone indicazioni, orari di apertura decenti e prezzi onesti. E soprattutto una coordinazione dall’alto, fatta in cooperazione da esperti e da addetti ai lavori, perché l’apporto di coloro che vivono di turismo e nel turismo deve essere affiancato chiaramente da chi se ne intende di grandi numeri.
Rivalutare il nostro patrimonio, senza inutili opere faraoniche ma semplicemente mettendo a posto quello che abbiamo, darebbe davvero all’Italia uno slancio ed una ricchezza vera che gli altri nemmeno potrebbero sognarsi di notte. Si creerebbero tanti posti di lavoro utili e a lungo termine, equamente distribuiti da nord a sud. Altro che inutili colate di cemento!

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Nato nel 1969 a Pesaro, nel 1988 mi sono diplomato come Perito Turistico e nel ’93 ho completato un corso di Operatore di Marketing per PMI. Dopo quarant’anni vissuti sulla riviera romagnola a Cattolica, mi sono sposato e trasferito nelle Marche a Fermignano, vicino ad Urbino. Entrato molto presto nel mondo del lavoro (più per necessità che per scelta), ho avuto modo di notare con dispiacere che alla medesima domanda, ovvero: “Cosa serve per vivere?” una volta avremmo risposto “Un tetto, cibo ,acqua e la salute”, mentre ora semplicemente “Servono i soldi”. Questa triste constatazione mi ha fatto capire di essere decrescentista già prima di aver conosciuto il termine.

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