Alla ricerca della felicità con Kant

kant ..il mondo contemporaneo ha bisogno, nel campo morale, di una rivoluzione,come quella che, nel campo della conoscenza, fu la rivoluzione kantiana realizzata nella “Critica della ragion pura”.

..un bel giorno questo pensatore si accorge che al di là di quella che è la realtà esterna il problema della conoscenza non sta tanto nella realtà stessa quanto nella possibilità che l’uomo ha di venire in contatto con essa, nel modo insomma in cui noi la “INCONTRIAMO”….se la realtà fosse composta di cerchiolini e noi riuscissimo a percepire solo quadratini  il processo di conoscenza diventerebbe una questione molto complicata!!

Insomma conoscenza come incontro tra un soggetto e un oggetto.

Come la conoscenza, anche la ricerca della felicità è un incontro tra un soggetto e un oggetto, tra ciò che desideriamo  e ciò che offre la realtà. L’uomo, in quanto essere naturale ha bisogno di soddisfare i bisogni essenziali (cibo, acqua, riparo dalle intemperie); in quanto essere sociale ha bisogno di far parte di una comunità dove può esercitare ed esprimere la sua personalità, sentirsi amato ed amare. Tutto ciò che viene oltre nasce da condizionamenti culturali che giusti o sbagliati che siano sono condizionamenti! Il problema è che la nostra società dei consumi ha creato un individuo umano delirante che abbagliato dai modelli scintillanti proposti dai media (calciatori, attori, cantanti ecc) si sente costantemente infelice perchè brama in continuazione una vita ben al di là delle sue possibilità.

Noi dobbiamo intervenire sulla soggettività e dire a questi “uomini” che la felicità  non sta tanto nei beni materiali che si posseggono ma nel limitare il bisogno che abbiamo costantemente di averne di nuovi e nel coltivare di più i rapporti umani e il proprio benessere psico fisico. La felicità o l’infelicità nascono dentro di noi: il desiderio di possedere un certo tipo di casa, una bella macchina, il cellulare di ultima generazione, la possibilità di viaggiare su tutto il pianeta senza limiti sono bisogni indotti dal martellamento incessante perpetuato dai media e dalla pubblicità che lavora per la società capitalistica che fa del “consumo sfrenato” il caposaldo della sua attività. Oggi un ragazzo di vent’anni non si sente felice e appagato se non può passare almeno un week-end a Londra ogni sei mesi; egli è disposto a tutto anche a rinunciare alla sua libertà pur di avere i soldi per soddisfare questi desideri che non sono necessariamente legati al benessere psico fisico dell’individuo. La vita di un ragazzo è bella quando si ha tempo libero da passare con gli amici, con la fidanzata, fare sport, curare il proprio aspetto divertirsi. Per questo io rivedrei tutte le opinioni sulla disoccupazione giovanile che viene considerato attualmente il peggior problema sociale.

L’immagine che circola normalmente del “giovane disoccupato” è quella di un ragazzo che si aggira per la città bramoso di denaro da spendere per acquistare capi d’abbigliamento firmato e cellulari ultramoderni. Ma il giovane disoccupato può essere un giovane che ha ben altro da fare che stare rinchiuso in un tetro capannone dalla mattina alla sera, o seduto in uno squallido call-center a rispondere per ore sempre alle stesse domande.

Al giovane disoccupato e al disoccupato in generale io dico: Vivi tranquillo la tua vita, divertiti e si felice perchè evidentemente al momento la società non ha bisogno di te!

Non è possibile parlare continuamente di CRISI! La crisi non c’è! Un sistema che si può permettere di mantenere la metà dei suoi giovani inattivi e che ha il problema di smaltire i rifiuti prodotti e limitare il consumo esagerato di materie prime NON E’ UN SISTEMA IN CRISI ma un sistema fiorente mal gestito in cui aumentare le persone che producono non farebbe altro che aggravare i problemi.

Non c’è il lavoro? Bene! Vuol dire che nessuno ha bisogno di me! Nella vita c’è molto da fare…non solo lavorare e consumare. La mancanza di lavoro deve dare al giovane la possibilità di recuperare se stesso e pensare la propria vita in un altra dimensione basata su altri valori che non siano quelli del delirio consumistico auspicato dalla società del profitto: LAVORO, CONSUMO, MI INDEBITO, LAVORO, CONSUMO, ECC.

Concludo con una osservazione: il lavoro è e deve essere il contributo che l’individuo, in quanto membro di una comunità, da per il benessere suo e degli altri membri della stessa. Se non c’è lavoro vuol dire che la comunità non ha bisogno dell’opera di quelle persone. Creare lavoro è irrazionale e innaturale. La guerra è un ottima occasione per creare posti di lavoro!

Di Diego Imbriani

...sento che il modo migliore per spendere la mia vita è quello di fare qualcosa di buono per i miei simili...e al momento la cosa migliore è quella di risvegliarli dal torpore intellettuale in cui sono stati ridott dalla societa consumistica capitalistica....

15 commenti

  1. Scusa Diego,
    ma avresti dovuto fare una piccola aggiunta. Secondo me avresti dovuto dire non solamente che non bisogna produrre di più perché quello che produciamo è anche troppo (anzi si tratta di produrre meno) ma anche che bisogna ripartire il lavoro e la ricchezza prodotta.
    Ultimamente in Italia è stata fatta la proposta di ridurre gli stipendi ai grandi manager pubblici e non mi sembra che non ci siano stati problemi. Figurarsi se qualcuno, per esempio, proponesse di ridurre di qualche decina di euro al mese gli stipendi dei dipendenti pubblici che abbiano stipendi superiori a € 2.000 euro netti al mesi.
    E’ bene che i giovani ricerchino la felicità ma bisogna soddisfare i bisogni fondamentali. Per fare questo bisogna avere un reddito. I giovani disoccupati riescono ad andare avanti solamente grazie alla “elemosina” che ricevono dai genitori. Questa non è una buona situazione.
    Cordiali saluti
    Armando

    1. ..caro Armando io credo fermamente che la strada maestra per avviare la decrescita è la riduzione dell’orario di lavoro che se anche comportasse la riduzione dello stipendio costringerebbe le persone a rivedere i propri stili di vita e i propri consumi.

  2. Buongiorno Diego, ho letto con interesse il tuo articolo perché sono una giovane laureanda che si sta affacciando per la prima volta al mondo del lavoro, al mondo del lavoro da laureata…perché per mantenermi finora ho svolto diversi tipi di lavori. Il tuo pensiero, lo trovo un pò riduttivo del problema. A me lavorare per quello che ho studiato (economia dell’ambiente) piacerebbe tantissimo e non solo perché piace a me ma credo anche che possa essere utile a tutti…inoltre mi piacerebbe poter con le mie conoscenze acquisite poter “restituire” a tutti i soldi che ho ricevuto come borsa di studio per studiare.. La decrescita è un tema che mi sta a cuore, cerco nella mia quotidianità continuamente di cambiare abitudini, di dare un nuovo significato anche alle piccole cose..ma pensare che il mondo non ha bagno di me è come arrendersi..è trovare una scorciatoia al problema. Infine credo che per comunicare decrescita o nuovi valori bisogna essere capaci di dire cose forti ma allo stesso tempo ricondurre il discorso vicino a cose che la gente è disposta ad ascoltare,ovvero non troppo lontane dal loro stile di vita..altrimenti si rischia di parlare da soli. Ecco perché ho delle perplessità rispetto al discorso “il lavoro non c’è e quindi vuole dire che la societa’ non vi vuole”. In Italia il lavoro ha un valore molto forte,pochissimi sono disposti a rivedere questo valore..per cui associare la decrescita a questa visione,mi sembra controproducente.

    1. …cara Valentina comprendo i tuoi dubbi ma non a caso ho parlato di Kant per mettere in luce le strutture mentali che COSTRUISCONO i dati della conoscenza. Capisco che elogiare l’INOCCUPAZIONE in un mondo che si è nutrito per più di due secoli dell’ideologia del profitto inevitabilmente associata ai valori del lavoro per tutti e del benessere come consumo di beni materiali può risultare scioccante. Ma è il concetto di DECRESCITA in se che è scioccante per la nostra società ed è per questo che cosi difficilmente riesce a penetrare nelle menti delle persone. La triade CRESCITA, LAVORO, CONSUMO fa parte del nostro modo di pensare, radicata nella profondità della nostra mente talmente in profondità da oscurare il nostro istinto di conservazione visto le tendenze autodistruttive che riscontriamo nei comportamenti sociali e individuali. Dobbiamo abituarci a pensare che la decrescita prevede tutto ciò che è contrario alla società odierna. Adesso abbiamo l’uomo al servizio dell’economia; noi vogliamo l’economia al servizio dell’uomo (come del resto è giusto che sia).

      1. Grazie di cuore per questo intervento Diego, è la prima volta che questo giovane disoccupato legge (o sente) qualcosa di minimamente logico e sensato sul fenomeno della disoccupazione giovanile anziché le solite puttanate (passami il francesismo) di una generazione che dopo essersi fumata il Novecento ed averci lasciato in eredità la più totale devastazione ambientale e morale, pretende anche di insegnarci come vivere il Duemila.
        Senza tirare in ballo i massimi sistemi, è sufficiente la matematica di terza elementare per realizzare che laddove il progresso tecnologico e la popolazione umana aumentano contemporaneamente, i posti di lavoro a disposizione, matematicamente, diminuiscono.
        Non c’è lavoro per tutti, lo dice il sussidiario di terza elementare.
        Ciononostante (e nonostante esista pure la tecnologia per smettere di lavorare tutti, a partire da domattina) chi non lavora non può comprarsi i generi di prima necessità, che equivale a dire che si è costretti a lavorare. Se mettiamo da parte il sussidiario di terza e impugnamo il vocabolario di prima elementare, alla voce Schiavitù troveremo una bella sorpresa.
        Un argomento che affronto da quando avevo quattro anni, e credimi non sono certo un genio precoce. Eppure la stragrande maggioranza pensa ancora che se centinaia di generazioni di politici di tutto il mondo non ci sono mai arrivate sia per semplice dabbenaggine, quando anche in questo caso la matematica elementare suggerisce trattarsi di un progetto di schiavitù portato avanti consapevolmente e metodicamente, in quanto è matematicamente impossibile che ci abbiano governato sempre e solamente degli idioti.
        Tutto questo mi porta alla conclusione che la società avrebbe bisogno di me, eccome se ne avrebbe, fosse anche solo per un aiuto con le ripetizioni della scuola dei bimbi =)
        Sono io, invece, che di questa società non ho alcun bisogno, perché chi la dirige è chiaramente malintenzionato e chi sottostà ancora a questo giochino delle sedie (quello delle feste dei bimbi. Quel gioco crudele in cui a ogni turno un bimbo deve necessariamente restare col culo per terra… ti dice niente?) è chiaramente pazzo, corrotto o spesso e volentieri anche entrambe le cose.
        Ti saluto con una bella chicca: di recente la psichiatria ha dimostrato che il profilo maggiormente idoneo alla carriera lavorativa è quello del Narcisista Patologico altrimenti detto Predatore Psicopatico.
        Un caso?

        1. …ciao Dark è vero che queste riflessioni su lavoro e società sono ovvie e frutto di semplice buonsenso ma se provi a parlarne con qualcuno ti prendono per pazzo…anche tra i “decrescenti” le posizioni non sono molto chiare…è vero che la decrescita deve essere FELICE ma è anche vero che bisogna chiarire una volta per tutte che la filosofia della decrescita implica un cambiamento radicale di prospettiva per cui IL LAVORO e l’ATTIVITA’ ECONOMICA in generale diventino attività al servizio dell’uomo. Questo può spaventare le persone ma se non comprendiamo ciò torneremo a fare i soliti discorsi.

  3. Ciao, sono in parte d’accordo e in parte no… Nel senso che condivido pienamente il discorso di base e in particolare la critica alla subordinazione dell’uomo all’economia (Max Weber docet), ci ho appena fatto un lavoro di approfondimento per l’università. Ad ogni modo la disoccupazione secondo me è un problema gravissimo, e non per fanatismo del lavoro ma perchè è dovuta ad una modalità disastrosa in cui è gestito il mercato del lavoro. Abbiamo da una parte persone che non vivono più perchè devono trascorrere 14 ore al giorno al lavoro (magari pure sottopagati) e altri che non hanno la possibilità di rendersi autonomi o costruire un qualsiasi progetto concreto perchè di lavoro proprio non ne hanno. Per questo mi piace la strada della riduzione obbligatoria dell’orario di lavoro, in modo che di lavoro ce ne sia un po’ per tutti. Altrimenti come mangio io? Come posso pensare di andare a vivere per conto mio? Come posso uscire con i miei amici o pagarmi le lezioni di canto (insomma le cose che mi rendono felice)? a meno chè qualcuno non si faccia carico volontariamente di me! e magari fare il lavoro per cui ho studiato e con il quale credo di poter interagire con la realtà contribuirà anche alla mia felicità…In questo senso non credo che sia da tollerare la disoccupazione… ma sono pienamente d’accordo che in merito al discorso del lavoro (su cui stiamo assumendo il modello cinese non stemperato dal marxismo) un cambio di retorica sia necessario

    1. ..ciao Giulia quello che mi ferisce è vedere uomini, donne, bambini soffrire a causa delle trame economiche di multinazionali che triturano tutto in nome dell’aumento di profitto. Il lavoro e la mancanza di esso che porta la miseria sono l’arma che usano per tenerci schiavi. Noi occidentali abbiamo la fortuna di poter sopravvivere anche senza lavorare (magari grazie ai genitori ai nonni ecc)…in altre zone del mondo se non lavori muori di fame. Io capisco il tuo desiderio di affermarti nella vita, di farti una posizione; il fatto è che per te che aspiri a una occupazione gratificante, adeguata alla tua formazione scolastica e ben retribuita vi sono centinaia di persone che sono costrette a fare un lavoro faticoso, mal retribuito ecc ecc.

      1. Nel mio caso specifico la professione sarebbe quella dell’insegnante di lettere negli istituti professionali, giusto per provare a far scattare un po’ di voglia di cambiare il mondo ai giovani piuttosto che mostrare loro l’unica strada dell’ “o ti affermi o muori” quindi è un tipo di lavoro faticoso, malvisto e malpagato.. E, ripeto, condivido in pieno la tua considerazione sul lavoro come “religione” e forma di schiavitù, conosco tanti giovani che si ammazzano di lavoro.. Però allo stesso tempo capisco che uno a 25 anni abbia voglia di sgravare i genitori e poter portare avanti dei progetti, non necessariamente lavorativi, ma di vita. Ma se non hai alcun tipo di prospettiva economica come fai? Il nodo, secondo me, sta nel fatto che il lavoro dovrebbe tornare ad essere uno strumento per vivere e non il fine dell’esistenza. Fatto salvo per certi mestieri, secondo me, che un po’ di “sano amore” in più lo richiedono (intendo quelli a contatto con le persone: medici ed educatori in primis…)

        1. ..bisognerebbe tendere verso una condizione umana in cui il lavoro non è una attività distinta dal vivere quotidiano…una distinzione che noi consideriamo ovvia ma che c’è solo da quando c’è il lavoro salariato. Certo, in una società così parcellizzata questo è una utopia ma di fatto è la condizione naturale dell’uomo. Più tempo togliamo al lavoro dipendente più tempo restituiamo all’uomo come essere umano.
          Tu non puoi ricordarlo ma io ho ancora in mente la reazione dei lavoratori italiani alla proposta delle 35 ore messa in campo da Bertinotti….un coro di proteste!! e allora LAVORATE SCHIAVI!! Quando avverrà che l’uomo smetterà di fuggire dalla libertà e diventerà veramente UOMO?!

          1. «… Molti dei problemi sono legati ai grossi poteri economico-finanziari ed è cosa nota.
            Tali poteri economico-finanziari, qualsiasi ed ovunque essi siano, hanno anch’essi la “voglia” (dal ver-bo “volere”) di fare ciò che li rende … “felici”.
            Ciò ha le note conseguenze di accumulazione di denaro (capitale) e di potere non solo finanziario ma anche economico e politico → vedi odierna realtà, non quella di Immanuel Kant che non si allontanò mai dalla nativa Königsberg.
            Ma, tornando a costoro che «… hanno anch’essi la “voglia” (dal verbo “volere”) di fare ciò che li rende … “felici” …», ci si ponga la domanda:
            «Quali strumenti usano per “render-“si” felici”?»
            Non è solo il lavoro sempre più schiavizzante e basta, ma come noto, le forme di schiavitù si sono estese, grazie agli sviluppi tecnologici (anche altrettanti “strumenti” in mano a “costoro”!) alla vita “fuo-ri” del lavoro, nelle tecniche di schiavizzazione del cosiddetto “tempo libero”.
            I mass-media e tutti gli altri mezzi di “distrazione” sinora divenuti possibili, hanno portato altrettanti “posti di lavoro” che, – purtroppo –, ancora non sono stati ben focalizzati. In tali posti di lavoro, che permettono di guadagnare e di comprare il pane (e tante cose di più …) sono occupati altri esseri umani, che tramite il “loro” lavoro, desiderano avere la possibilità di togliersi «… anch’essi la “voglia” (dal verbo “volere”) di fare ciò che li rende … “felici” …», in nome della propria “libertà” individuale e della cosiddetta “autodeterminazione” (andarle a cercare e poi trovare, per vedere dove e se esistono davvero!). Al proposito ricordo il famoso verso di Catone Uticense:
            «Libertà va cercando, come sa chi per lei vita rifiuta.» ( Dante Alighieri, Divina Commedia. Purgatorio. Canto I) …

            Il “mondo del lavoro” non è un qualcosa di omogeneo, ma è costituito di strati e livelli “eterogenei” che, in gran parte, gli strumenti di “costoro”, con sagace psicologia, hanno saputo far sviluppare in maniera tale che “gli schiavi” si trovino nei diversi livelli di eterogeneità, cioè di “diversità” tra di loro, fino a far sorgere gruppi di “schiavi diversificati” che, appunto per il proprio interesse personale, volti sempre a voler «…fare ciò che li rende … “felici” …», inconsapevolmente, per questo loro “stato di diversità” diventano intellettualmente, cioè nella propria “coscienza” di sé e delle condizioni della pro-pria vita, “nemici” tra di loro; e, soprattutto, lo diventano, – per logica conseguenza –, in senso politico.
            Dove c’è diversità di interessi, c’è diversità di “vedute”, di punti di vista. …
            […]
            I poteri economico-finanziari posseggono “omogeneità” nelle “finalità” dei proprii interessi (es.: gruppo Bilderberg), non così i singoli individui che, per questo, molto difficilmente possono venir radunati sot-to uno stesso vessillo. …»
            (Citazione dal mio manoscritto: Francesco Presenti, “Quo vadis, Homuncule?»

          2. Una protesta seria, per quel che mi riguarda, ci vorrebbe anche adesso. Gli unici contratti per trovare lavoro sono basati su un letterale sfruttamento, con tirocini e stage inutili e sottopagati. E guai a chi parla di sfruttamento. Ma come protestare in modo efficace e possibilmente risparmiandosi il morto?

  4. Per finire, una piccola aggiunta:

    «… Un “atteggiamento morale” ha i suoi termini di paragone e non esiste di per sé.
    E i grossi poteri economico-finanziari non hanno “morale” nella propria ottica, ma solo gli interessi come termini di paragone per la propria “morale”.
    Da ciò la grave disoccupazione giovanile – detestabilissima – ma difficilmente risolvibile nel riquadro dei rapporti esistenti attualmente tra gli interessi dei grossi poteri economico-finanziari ed il mostro di schiavitù che essi stessi hanno generato. …»
    (Citazione dal mio manoscritto: Francesco Presenti, “Quo vadis, Homuncule?”)

    1. …Che poi, anche la disoccupazione crea un sacco di posti di lavoro, c’è gente che per “reinserire” disoccupati si cucca finanziamenti a 5 zeri, poi fa girare a vuoto i malcapitati con corsi finti, stage di pochi mesi e non reinserisce nessuno. Così l’anno seguente ha la scusa per cuccarsi un altro finanziamento… chi pensa che i centri per l’impiego & compagnia cantante avrebbero interesse a risolvere la disoccupazione deve rifare le elementari =) nella società odierna i soggetti disagiati e/o emarginati sono una risorsa INDISPENSABILE.

  5. ..quello stupendo essere che è l’individuo umano schiacciato e umiliato da MISERABILI INTERESSI ECONOMICI…CHE RABBIA!!!!

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