Benedetto XVI, il Papa tradizionalista, ci traghetta nella post-modernità

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Per quale ragione commentare le dimissioni di Papa Benedetto XVI su DFSN? Cosa c’entra con la decrescita? E perché dovrebbe farlo una persona come me, per giunta né cattolico e neppure cristiano?

Mentre si sussegue la ridda delle voci, tra dichiarate infermità di vecchiaia e ipotesi di complotto interno al Vaticano, il direttore di Repubblica Ezio Mauro proclama che “la modernità irrompe in Vaticano”. Mi verrebbe da dire che quella era già penetrata da tempo all’interno della Santa Sede; forse ci troviamo di fronte a una Chiesa post-moderna, che con l’atto di oggi rinuncia sostanzialmente alla sacralità della figura papale, licenziato alla maniera di un CEO sfiduciato dal board di un’impresa multinazionale. Il Papa presentato all’elezione come difensore della tradizione, di temperamento quasi controriformistico, nel messaggio di abdicazione ha espresso convinzioni vitalistiche pagane, più adatte alla bocca di Nietsche che a quelle del Pontefice romano: “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo”. Quasi si fosse scordato del pontificato ‘forte’ del suo precedessore, il cagionevole Giovanni Paolo II.

Pier Paolo Pasolini, un cattolico decisamente eretico, fino alla fine ha creduto nella possibilità della Chiesa come ente morale per arginare l’edonismo consumista, con toni a volte quasi reazionari; e anche quelli come che hanno sempre combattuto le concezioni politiche del cattolicesimo e contestato l’invadenza della Chiesa al di fuori dalle tutela delle anime, non hanno mai potuto esimersi dall’ammirare quel clima di unità e coesione spirituale derivante da una tradizione spesso più millantata che storica, più formale che genuinamente sentita, ma senza dubbio forte e radicata tra i fedeli; una forma di spiritualità resistita nei secoli ai compromessi con il potere, agli scismi, alle rivendicazioni teocratiche, alle guerre di religione, alla cattività avignonese e alla vendita di indulgenze, alle complicità con le dittature, agli scandali finanziari, alla mercificazioni del sacro, ai complotti vaticani come il possibile omicidio di Giovanni Paolo I. E si è sempre dovuto constatare il fallimento culminato nel disastro di tutti i tentativi – ad esempio del giacobinismo e del comunismo sovietico – di ricreare quello stesso sentimento spirituale su basi laiche. Perché, se la Chiesa è stato un faro per i suoi fedeli, a maggior ragione lo è stata di più per molti dei suoi nemici.

Oggi l’ammissione di debolezza di Benedetto XVI, tornato umilmente Joseph Ratzinger, suona come la dichiarazione di colpa di un sistema dove la politica e l’economia hanno da tempo surclassato la teologia, e dove la forza fisica viene rivendicata come  dote fondamentale di comando. L’istituzione più antica dell’Occidente scende dal pulpito, getta la maschera e riconosce di essere coeva al mondo secolarizzato e ‘relativista’ oggetto di secolare condanna. Difficile prevedere gli sviluppi futuri di questa “Chiesa 2.0”, ma una cosa è certa: sarà gravida di conseguenze per tutti, cristiani e non. Da oggi, l’Occidente è entrato ufficialmente nell’era della post-modernità, quella della fine di ogni certezza consolidata.

Fonte foto: Tempi.it

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