In risposta a Diego Fusaro / DFSN TV

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Video completo dell’intervento di Fusaro su Latouche e decrescita

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

12 Commenti

  1. Parlo da sostenitrice del progetto della decrescita felice.
    Trovo che l’analisi di Fusaro sia stata molto precisa, e che abbia in maniera assolutamente costruttiva degli aspetti poco chiari ai più. Credo aspettasse genuinamente una risposta ai suoi dubbi, magari per cominciare ad appoggiare anche lui le idee di decrescita sostenibile.
    La risposta del Dottor Giussani, al contrario, mi è sembrata molto polemica e poco di “sostanza”, fallendo nel comunicare il vero spirito del movimento (almeno a mio avviso).
    Mi sarebbe piaciuto un confronto più leale e stimolante, anche per sottolineare le possibili applicazioni pratiche di questo progetto.

    • Non credo di essere stato sleale con Fusaro, ho girato il link del video su uno dei suoi profili Facebook, non ho potuto farlo sul suo canale Youtube perché i commenti al video erano disabilitati (e visto il pubblico che va per la maggiore su Youtube non gliene faccio una colpa). Ha ritenuto i miei rilievi non meritevoli di risposta e in pieno diritto ha evitato qualsiasi replica.
      Per il resto, posso solo dire aver cercato di sferzare un po’ Fusaro, una delle giovani menti più brillanti in Italia e in Europa, a lasciare un po’ l’astrazione e a tornare sulla Terra. Perché lui tende a ridurre il problema della crescita infinita a una questione di hybris, mentre di mezzo c’è l’esistenza stessa del pianeta. Non accettare la decrescita sostenibile significa avallare progetti che, a partire dalla politiche di ‘austerità’, sono destinate a degenerare in forme di fascismo ecologico (un ossimoro, mi rendo conto).
      Facevo anche notare a Fusaro che esistono già diversi gruppi che, a loro modo, portano avanti le idee della decrescita, e che porsi la domanda del ‘soggetto rivoluzionario’ in termini marxiani non ha senso. Tutto qui, non credo di essere stato particolarmente polemico e provocatorio.

      PS: la ringrazio per il ‘dottore’ ma quando scrivo su DFSN preferisco spogliarmi di tutti i titoli, specialmente se di mezzo ci sono personalità come Fusaro che mi possono seppellire al riguardo.

  2. Cari Igor e Silvia,
    sarebbe possibile riportare il discorso a livello… testo ?
    Infatti mi sembra meglio poter leggere ed analizzare le opinioni delle due parti anziche` scorrere un paio di video avanti e indietro per capire cosa vogliono dire.
    Grazie,
    Giulio

  3. Ma si, seguo il video, ma preferisco la sintesi scritta dove si possono leggere e scrivere ipotesi, tesi e dimostrazioni di cio` che si discute.
    Dopo aver guardato il video… ed aver filtrato i virtuosismi fine a se stessi della filosofia accademica e le citazioni dotte che servono solo ad impreziosire un discorso altrimenti gia` chiaro… mi pare che il nocciolo della questione sia:
    “Bella la Decrescita, ma quale sistema di governo e societa` la mettera` in pratica ?”
    Si tratta di un sistema “Top-Down” o di un sistema “Bottom-Up” ?
    Cioe` ci serve un capo condottiero nazionale, un consiglio di saggi internazionale, una dittatura mondiale… oppure basta che ognuno di noi cerchi di massimizzare la produzione locale, la riduzione degli sprechi e la sostenibilita` di qualunque attivita organizzandosi in microsocieta` libere ed autosufficienti ? In entrambi i casi, chi ci convincera` a Decrescere ?
    In altre parole, come mi pare abbiamo gia` accennato in passato, dov’e` il punto d’incontro tra Decrescita e Politica ?

  4. il punto è proprio l’ impossibilità di tale incontro.
    Là dove l’ espressione dell’ attuale civiltà si traduce nel potere del comando e del controllo di essa, come possiamo aspettarci che rappresenti una marginalità?
    I movimenti della eco-sostenibilità sono tutt’ oggi una piccola parte della società; in una società dove conta soprattutto la quantità è impossibile aver peso semplicemente perché non c’è.
    Se la risposta è essenzialmente interiore un modello per tutti è impossibile, o meglio, quando moltissimi saranno in un certo modo il modello comune verrà automaticamente; la piccola comunità è una soluzione, piccola appunto e per quei pochi, qua e là, ma per ” salvare ” tutti la soluzione non è né collettiva né politica.

    • Ultimamente ogni volta che rispondo a questo tipo di commenti (non tanto su DFSN ma altrove) scateno polveroni che degenerano in flame non voluti. Mi auguro di avere più fortuna qui.
      Allora comincio dicendo che dobbiamo intenderci su cosa intendiamo per ‘politica’. Se intendiamo le istituzioni politiche, c’è poco da dire: anche nei paesi sulla carta democratici e liberali tendono a diventare autoreferenziali e a seguire logiche (quella della crescita, ma anche altre più o meno correlate) non compatibili con la salvezza della biosfera.
      Però – e forse qui la colpa è anche di pensatori come Michel Foucault (visto che c’è di mezzo Fusaro lo tiro in ballo!) – siamo troppo abituati a pensare al potere come a un ambito totalmente chiuso a qualsiasi influenza, al mondo come un supercarcere dove viviamo dentro a una specie di Matrix. In realtà hanno uno fottuta paura di tutti i movimenti di cambiamento, lo ha dimostrato lo stesso Renzi che per promuovere la trivellazione dei pozzi ha annunciato la guerra ai ‘comitatini’, come li chiama lui. Contro Occupy Wall Street hanno scomodato i reparti speciali dell’esercito, e la Val di Susa è stata militarizzata per fare appena le esplorazioni del tunnel.
      Insomma, non ho le prove certe, ma questa cosa per cui l’unica soluzione è inidviduale (personalmente credo che le soluzioni ai problemi globali siano solo collettive) mi sembra molto indotta in modo subdolo dall’apparato massmediatico, che ci riducano a sperare solo in questo.

  5. Allora spostiamo il discorso sulla “Politica”, ma quale ?
    La Politica come nel suo significato originale di “Discussione tra Concittadini” sembra una logica necessaria, che si parli di un paese di cento anime o di una metropoli da cento milioni (e ci siamo vicini).
    Ma quando la politica diviene un’istituzione, come dici tu Igor, lasciamo perdere…
    E allora sembra che la logica ci porti a parlare di “micro-politica” ovvero di politica “bottom-up”, cioe` torniamo alle soluzioni individuali da seguire come esempi ed attorno a cui coagulare comunita` autonome ed interagenti senza istituzioni centralizzate e corrotte. Un’altra utopia ?

    • Penso che l’Utopia sia sempre importante, non tanto per realizzarla ma perché serve a misurare il distacco tra l’ideale e il reale, altrimenti il rischio è di accettare la realtà esistente come un fatto di natura immodificabile. Ben venga, se è un’utopia positiva e non una pretesa assurda come l’ideologia della società della crescita.
      Quanto alla dimensione micro-macro, mi sente di poter dire che in gran parte non dipende da noi. Prendi la rivoluzione iraniana del 1978: è nata da una visione molto micro, e per tutta una serie di ragioni è deflagrata in quello che conosciamo e che ha messo in ginocchio un governo sostenuto dalla maggior potenza militare della storia (sono tuttaltro che un fan di Khomeini, ma non si può negare che le cose siano andate così).
      Per tornare a noi, oggi le persone realmente coscienti dei problemi planetari sono poche, ma sono moltissime quelle che si rendono conto che il sistema così com’è non può durare. Non sappiamo come si schiereranno in un eventuale momento della verità, potrebbero farsi abbindolare dai pifferai mortiferi di turno. La cronaca ci dice che attualmente in Italia i ‘comitatini’, come li definisce Renzi, sono una realtà scomoda per il potere istituzionale e le sue logiche. Non saranno capaci di fare discorsi articolati come quelli di Latouche forse, saranno in molti casi più Nimby che veri e propri ecologisti consapevoli, sono più spontanei che pensati, non riempiono le piazze di Roma come il vecchio PCI o la vecchia CGIL. Però ci sono, e spesso non hanno paura di scontrarsi con la polizia o rischiare denunce. Qualcuno di loro, come i No-Tav, sta diventando istituzione a sua volta (perché l’istituzione è qualcosa che viene riconosciuta come tale: non basta dire ‘sono istituzione’, neppure se sei lo Stato).
      Per farla breve Giulio, penso che in questo caso bisogna essere abbastanza pragmatici: più che ragionare sul micro o sul macro, occorre partire dal micro ragionando come se da un momento all’altro si fosse diventasse macro, come se ti venisse ceduto all’improvviso il testimone. Per questo mi piacciono cose come i contropiani urbanistici e simili… Non è ovviamente qualcosa che si fa per caso o che nasce per caso, richiede tempo e volontà di apprendere, specialmente da chi è già sulla barricata. Non so se ho reso l’idea.

    • Secondo me in parte sì; e penso che certe risonanze comincino a percepirsi…In Emilia Romagna il 22 Luglio scorso è stata approvata la legge regionale 19/14 “…per il sostegno e la promozione dell’economia solidale”…nata a partire dalla spinta delle reti di economia solidale presenti sul territorio emiliano romagnolo. Un altro esempio che sarebbe bello approfondire sono i Gruppi di Acquisto Solidale, per vedere se in qualche modo diffondendosi (e mi pare che comincino a prendere bene piede) stanno anche cambiando le abitudini di consumo. Il problema, forse, è che si è partiti tardi. L’agire individuale rischia di portare a qualche cambiamento serio solo in tempi lunghi, quando diventa “cultura condivisa”…e adesso ci servono cambiamenti urgenti. Forse la soluzione migliore è fare rete il più possibile, riuscendo ad unire le forze con quelle realtà che magari si occupano di aspetti “relativi” (il commercio equo, finanza etica, baratto, riuso, banche del tempo) ma collegati alla filosofia della decrescita e studiare un’azione condivisa sul territorio.

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