Ipotesi sulle cause e gli obiettivi del terrorismo cosiddetto islamico

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Presentazione del lavoro

Col titolo “Ipotesi sulle cause e gli obiettivi del terrorismo cosiddetto islamico” ho denominato un lavoro che ho redatto negli anni 2004-2005.
Una prima stesura (molto ridotta rispetto a quella presente) fu pubblicata nel novembre 2004 sul sito di Aspoitalia (http://www.aspoitalia.it/documenti/boccone/terrorismo.html ).
In seguito ho proseguito il lavoro di ricerca e di analisi del problema, rivedendo anche alcune cose scritte in precedenza, fino a redigere un lavoro consistente. Il lavoro, così concluso, non è stato però pubblicato da nessuna parte, anche se molte sue parti le ho utilizzate per fare altri lavori (per esempio “Magreb e Medio Oriente: situazione e prospettive” pubblicato sul sito di Aspoitalia nel gennaio 2006 e su questo blog nel dicembre 2014 [ http://www.decrescita.com/news/maghreb-e-medio-oriente-situazione-e-prospettive/ ] e “La globalizzazione in Italia e il sottosviluppo del Mezzogiorno” pubblicato sul sito di Aspoitalia [ http://www.aspoitalia.it/index.php/articoli/archivio-articoli-italiano-1/191-la-globalizzazione-in-italia-e-il-sottosviluppo-del-mezzogiorno ])
Al fine di presentare un lavoro più mirato al significato contenuto nel titolo, nella versione che ora viene presentata nel blog di Decrescita Felice Social Network ho tolto alcune parti alla versione originaria (come quelle contenute in quei lavori a cui sopra ho fatto riferimento e una consistente parte dedicata allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile). Per il resto non è stato variato nessun contenuto né sono state fatte aggiunte o tolte delle parti alla stesura originaria terminata alla fine del 2005.
Ma è necessario pubblicare questo lavoro sul blog di Decrescita felice social network? C’è una relazione fra i contenuti presentati in questo lavoro e i valori della decrescita?
Penso che la risposta sia affermativa a tutte e due le domande perché fra i contenuti presenti in questo lavoro molto importante è quello del picco della produzione dei combustibili fossili e la riduzione della loro futura disponibilità (e questo è strettamente collegato alla decrescita) e inoltre perché la proposta della decrescita non può avvenire in astratto ma calarsi nel vivo della realtà che è contemporaneamente e dialetticamente sociale, economica, politica e culturale.
In ogni caso si potrebbero sempre fare delle considerazioni ulteriori sulle realtà esposte, analizzandole in una prospettiva più specificatamente improntata sulla decrescita, come pure si potrebbero fare delle considerazioni sulla validità o meno di questo lavoro, visto che sono passati dieci anni dalla sua stesura.

Introduzione

Questo lavoro vuole essere una analisi delle cause e degli obiettivi del terrorismo cosiddetto islamico e una proposta di soluzione ai problemi che lo hanno determinato.
Il lavoro si basa su alcune ipotesi portanti e strettamente concatenate.
La prima ipotesi, con cui viene iniziato questo lavoro, riguarda le cause che hanno portato allo sviluppo di alcune aree del mondo e al sottosviluppo di altre: vengono viste nel fatto che le aree culturali che hanno acquisito per prima superiori tecnologie produttive (l’Europa e poi il Nord America) hanno impedito che anche altre aree culturali le acquisissero (alcune aree però, come vedremo, non hanno subito questa imposizione).
La seconda ipotesi si chiama “picco di produzione del petrolio e del gas naturale”: ci stiamo avvicinando (ma forse lo stiamo attraversando) al momento in cui si raggiungerà la capacità massima nella produzione del petrolio per passare poi alla fase di discesa della produzione stessa.
La terza ipotesi vede le cause del terrorismo cosiddetto islamico nel concorso dei seguenti fatti:
a) La mancanza di prospettive di sviluppo del Magreb e del Medio Oriente (1) dovuta prima al colonialismo-globalizzazione e dopo (per i motivi che saranno indicati nella trattazione) al fatto di detenere le più grandi riserve di risorse energetiche del mondo: queste aree non sono padroni del loro destino, non sono produttrici delle loro condizioni economiche, sociali, politiche e culturali;
b) La prospettiva del picco di produzione del petrolio;
c) La situazione che si creerà nel dopo-picco e cioè la riduzione della produzione del petrolio e del gas naturale, la prospettiva della loro sostituzione con altre fonti energetiche e la prospettiva quindi dell’esaurimento, per i Paesi produttori, delle risorse finanziarie provenienti dalla vendita del petrolio e del gas naturale;
d) Probabilmente questi anni in corso rappresenteranno l’ultima possibilità per l’area geopolitica e culturale in questione di impostare un sano e locale sviluppo e di essere quindi produttrice delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali.

La quarta ipotesi vede l’obiettivo del terrorismo nella creazione di una frattura fra mondo occidentale da una parte e Magreb e Medio Oriente dall’altra, perché solo in questo modo queste ultime realtà avranno la possibilità di raggiungere un sano e locale sviluppo, di diventare produttrici delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali e non diventare un hopeless continent, un continente senza speranza, come è avvenuto per l’Africa nera.
La quinta ipotesi, molto particolare e specifica, riguarda il rapporto fra religione islamica e terrorismo e ha l’intento di dimostrare che non esiste nessun rapporto sostanziale fra i due fenomeni ma che la religione islamica in questo contesto svolge solamente una funzione totemica. La religione e la cultura islamiche, nella misura in cui vengono messe in contrasto con la religione e la cultura occidentali (si parla di scontro di civiltà) verrebbero utilizzate come istituzioni totemiche, nel senso che le differenze esistenti a livello delle due religioni e culture servirebbero solamente a marcare le differenze delle diverse situazioni socio-economico-politiche e culturali dell’Occidente da una parte e del Magreb e del Medio Oriente dall’altra: condizione preliminare di una coscienza delle differenze fra le due realtà e della necessità di uno sviluppo socio-economico-politico e culturale separato e diverso.

Il Lavoro si articolerà in tre parti.
La prima parte prende le mosse da una lettera di Charles Darwin del 1871 (che farà da filo conduttore di questa prima parte dell’analisi) e analizza le cause che hanno portato alcune aree del mondo ad avere prospettive di sviluppo, ad essere padroni del proprio destino, ad essere produttori delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali e che hanno portato altre aree a condizioni opposte a quelle suddette.
La seconda parte tratta delle cause strutturali e degli obiettivi “culturali” del terrorismo cosiddetto islamico e propone le possibili soluzioni al problema del terrorismo stesso e dello sviluppo nel Magreb e nel Medio Oriente.
Il concetto di ‘pensiero selvaggio’ di Claude Levi-Strauss farà da filo conduttore della terza parte, che affronta il problema del particolare rapporto fra terrorismo e religione islamica.

In fondo al lavoro sono riportate le note bibliografiche.

Contenuto del lavoro

Prima parte

1) Lettera di Charles Darwin del 1871;
2) Le cause della globalizzazione;
3) La globalizzazione nel Magreb e nel Medio Oriente;
4) Gli effetti della globalizzazione;
5) La particolarità del sottosviluppo nel Magreb e nel Medio Oriente;
6) Paesi sviluppati ed economia illegale;
7) Considerazioni conclusive sulla globalizzazione;

Seconda parte

1) Le cause del terrorismo;
2) Gli obiettivi del terrorismo;
3) Una proposta di soluzione;
4) Picco del petrolio e Lega dei Paesi Arabi.

Terza parte

1) La cultura occidentale, l’Islam e il pensiero selvaggio;
2) L’Islam, la scienza primaria e il bricolage;
3) L’Islam e la logica delle istituzioni totemiche;

Prima parte

1) Lettera di Charles Darwin del 1871

Scriveva Charles Darwin nel 1871:” Si è spesso affermato che sono ora presenti tutte le condizioni per la generazione spontanea di un organismo vivente, quali possono essere state presenti nel passato. Ma anche se (e che grosso se!) noi potessimo concepire che in qualche piccolo stagno, in presenza di ogni sorta di sali di ammonio e di fosforo, di luce, calore, elettricità, ecc., si sia venuto a formare un composto proteico, pronto a subire ulteriori più complesse trasformazioni, al giorno d’oggi tale materiale verrebbe immediatamente divorato o assorbito, il che non sarebbe potuto accadere prima che esseri viventi facessero la loro comparsa”
(It is often said that all the condition for the first production of a living organism are now present, which could ever have been present. But if (and oh! what a big if!) we could conceive in some warm little pond, with all sorts of ammonia and phosphoric salts, light, heat, electricity, &c., present, that a proteine compound was chemically formed ready to undergo stillmore complex changes, at the present day such matter would be instantly devoured or absorbed, which would not have been the case before living creatures were formed.” (2)

Prima di addentarci nell’analisi è bene fare una considerazione sul significato della lettera di Charles Darwin e sul suo estendimento al tema di questo lavoro. Lascio parlare Claude Levi-Strauss per raggiungere questo fine: “…ci renderemo conto che fra vita e pensiero non c’è quel radicale divario che il dualismo filosofico del XVII secolo accettava come un dato di fatto. E se ci convinceremo che quanto avviene nella nostra mente non è sostanzialmente né fondamentalmente diverso dai fenomeni basilari della vita stessa, se comprenderemo che non c’è alcuna insuperabile distanza fra l’uomo e tutti gli altri esseri viventi – non solo gli animali, ma anche le piante – diventeremo forse saggi come non credevamo di poter essere.” (3)
Su questo rapporto fra vita e pensiero e soprattutto sul ruolo della coscienza saranno fatte delle considerazioni nel corso di questo lavoro.

2) Le cause della globalizzazione

Nel mondo esistono aree sviluppate ed aree sottosviluppate. Il carattere essenziale delle aree sottosviluppate non è l’inadeguato soddisfacimento dei bisogni umani ma la mancanza di prospettive di sviluppo, il non essere padroni del proprio destino, di non essere produttori della loro condizione economica, sociale, politica e culturale (ogni volta che in questo lavoro si parlerà di sottosviluppo si farà riferimento a questo significato).
Ma perché nel mondo esistono aree sviluppate e aree sottosviluppate? Il motivo è da vedersi nel fatto che le aree con un livello superiore di sviluppo tecnologico – culturale hanno creato, attraverso quel fenomeno chiamato colonialismo, una realtà unitaria, senza confini geografici – culturali – normativi, con altre aree con un livello inferiore di sviluppo tecnologico – culturale, privando queste aree di prospettive di sviluppo. Nella storia è avvenuto esattamente quello che avviene in natura: le aree tecnologico – culturali sviluppate impediscono che altre aree tecnologico – culturali si possano sviluppare così come gli organismi viventi già formati impediscono il formarsi di nuovi organismi viventi. Questa realtà unitaria è stata creata per iniziativa delle aree sviluppate ed è stata creata in vista del loro ulteriore sviluppo: ciò è avvenuto perché siamo in un contesto culturale in cui le varie aggregazioni umane (nazioni, popolazioni, etnie, caste, classi, aziende, clan, famiglie, ecc.) sono centri di interessi contrapposti per cui lo sviluppo di certe realtà avviene a discapito di altre. Diceva il filosofo tedesco G. W. F. Hegel nella sua opera “Fenomenologia dello spirito”, (vado a memoria) che non ci sarà amore fra gli uomini se non dopo che saranno percorsi tutti i gradi del reciproco estraniarsi che si esprimono nelle diverse forme e gradazioni dei rapporti sociali di dominio, se non dopo che ogni gruppo umano avrà messo in campo tutte le sue capacità per distruggere gli altri al fine di conservare se stesso.
Per spiegare come le aree dotate di superiore livello tecnologico – culturale abbiano tolto le prospettive di sviluppo ad altre aree si potrebbe partire da molto lontano cioè dal neolitico, quando con la domesticazione delle piante e poi degli animali (quindi con l’invenzione della coltivazione delle piante e dell’allevamento) si ridusse di circa la metà l’intervallo intergenetico, cioè il periodo che intercorre tra la nascita di un figlio e la nascita del successivo in una stessa donna. Passò da circa quattro anni a poco più di due anni. Nelle popolazioni che praticavano la caccia e la raccolta di vegetali spontanei e che quindi conducevano una vita nomade o semi-nomade, per le donne era difficile negli spostamenti portare un bambino da allattare al seno e il bambino più grande non ancora autosufficiente per cui era necessario che il figlio più grande avesse una certa autosufficienza e che quindi avesse circa quattro anni. Con l’introduzione della coltivazione delle piante e dell’allevamento e quindi con la sedentarizzazione connessa (4) il numero di figli per ogni donna dipese solamente dalla capacità di allevarli e nutrirli. Ciò portò ad un notevole incremento della popolazione e all’aumento della possibilità di incontro-scontro fra diverse popolazioni. E’ bene però fare un notevole passo avanti nel tempo ed arrivare ad uno di quei fatti che più direttamente ha fatto parte di quel processo che ha portato alla creazione di una realtà unitaria e cioè al colonialismo.
Le motivazioni al colonialismo sono state molteplici: possibilità per una nazione-popolazione-etnia di svilupparsi a discapito di altre nazioni-popolazioni-etnie, possibilità di approvvigionarsi di materie prime a basso costo, di manodopera a basso costo, valvola di sfogo per la sovrappopolazione del paese colonizzatore, ecc. In questo modo si è creato a livello mondiale (con delle limitazioni, come è stato già detto) una realtà unitaria, cioè senza confini geografici, culturali e normativi.
Questa realtà che si è creata a livello mondiale ha due caratteri fondamentali che la distinguono dalle realtà mondiali che sono esistite in precedenza:
– ha le stesse norme valide in tutte le sue parti ma queste parti hanno un diverso livello di sviluppo tecnologico – culturale;
– è composta da aree sviluppate (per meglio dire da aree che hanno prospettive di sviluppo, che sono padroni del proprio destino e che sono produttrici delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali) e da aree sottosviluppate (per meglio dire da aree che non hanno prospettive di sviluppo, che non sono padroni del proprio destino e che non sono produttrici delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali).
Ma cosa ha reso possibile il colonialismo e la globalizzazione? Cosa ha reso possibile lo sviluppo di certe aree del mondo e il sottosviluppo di altre? Prima di indicarne le principali cause è necessario fare un discorso metodologico. Nella ricerca di queste cause si potrebbe in teoria andare indietro di millenni (come è stato fatto in precedenza col riferimento al neolitico) oppure addirittura di centinaia di millenni. Si andrà indietro invece fino a cercare quelle cause la cui analisi renderà possibile la soluzione dei problemi attuali che, per quanto riguarda gli obiettivi che questo lavoro si è dato, sono l’eliminazione del terrorismo cosiddetto islamico e la creazione di sano e locale sviluppo nei Paesi del Magreb e del Medio Oriente.

Si esporrà di seguito il complesso intreccio di cause ed effetti che si sono verificate dal 1400 in poi e che hanno portato all’attuale situazione.

1) L’incontro-scontro fra la realtà tecnologico – culturale europea con altre realtà tecnologico – culturali di livello inferiore; per livello tecnologico – culturale si intende il livello di sviluppo delle tecnologie e forze produttive e di sviluppo dei rapporti economici, sociali, giuridici e politici (Marx avrebbe detto struttura e sovrastruttura), in dialettico rapporto fra di essi; i miglioramenti, le innovazioni tecnologiche che portano ad uno sviluppo delle forze produttive e quindi ad un maggiore soddisfacimento dei bisogni umani, spazzano via tutti i rapporti socio – economico – giuridico e politici che impediscono il loro sviluppo e portano alla creazione di nuovi rapporti che siano ad essi adeguati, nel senso che rendono possibile il dispiegamento di tutte le loro potenzialità;
2) una situazione culturale in cui le varie nazioni, popolazioni, etnie, tribù, caste, classi, clan, famiglie ecc. costituiscono dei centri di aggregazione di interessi contrastanti: detto in altri termini, e contestualizzando il discorso, la volontà e la capacità dell’Europa (ed in seguito anche del Nord America) di svilupparsi a danno delle altre realtà;
3) una situazione in cui l’area culturale che raggiunge per prima il possesso di superiori tecnologie produttive utilizza queste stesse condizioni per svilupparsi sempre più, togliendo spazio e possibilità di sviluppo ad altre aree culturali, come una sorta di “gene culturale” che tende a moltiplicarsi all’infinito e di occupare tutte le aree della terra (questo è quanto avviene in natura come dice Charles Darwin nella sua lettera del 1871 e che, come dice Claude Levi-Strauss, è da estendere anche alla storia umana); ciò darà luogo a quel fenomeno chiamato “colonialismo”;
4) la resistenza o meno opposta dalle altre aree tecnologico – culturali all’azione economica e/o militare svolta dall’Europa e dal Nord America;
5) la superiore capacità militare delle nazioni europee e in seguito del nord America, strettamente conseguente alla superiorità tecnologico – culturale, rispetto alle popolazioni che saranno colonizzate;
6) l’imposizione ai Paesi colonizzati, da parte dell’Europa e poi del Nord America, della norma del proprio sviluppo tecnologico-culturale;
7) l’imposizione ai Paesi colonizzati da parte dei Paesi colonizzatori di non produrre certi beni, soprattutto beni strumentali: in questo modo si ha un impoverimento delle economie, viene meno un suo pezzo importante che è l’artigianato e, se esiste, l’industria; l’economia non è più autosufficiente; prima della colonizzazione molte economie erano autosufficienti e i limitati scambi commerciali con le vicine economie si basavano su un reciproco interesse; anche se in alcuni casi non si ha una vera imposizione di non produrre certi beni, dal momento che si è formata una realtà globalizzata, gli eventuali beni prodotti dai Paesi colonizzati sarebbero fuori mercato perché tecnologicamente inferiori; in altri casi i Paesi colonizzatori fanno in modo di non trasferire ai Paesi colonizzati le tecnologie necessarie per attuare produzioni che potrebbero danneggiare le loro economie (una volta che i Paesi colonizzati hanno conquistato l’indipendenza i rapporti con gli ex Paesi colonizzatori non cambiano: in nessun caso questi ultimi trasferiscono tecnologie negli ex Paesi colonizzati), ecc.;
8) il riorientamento delle economie delle realtà colonizzate nel senso che queste economie sono costrette a produrre ciò che serve ai paesi colonizzatori;
9) l’imposizione ai Paesi colonizzati di acquistare manufatti provenienti dalle Paesi colonizzatori.

Le cause sopra elencate sono quelle metodologicamente importanti ai fini dell’interpretazione del terrorismo cosiddetto islamico e della sua soluzione. Altre cause importanti ai fini della comprensione dello sviluppo di alcune aree del mondo e del mancato sviluppo di altre, di cui non si parlerà in questo lavoro, sono per es. lo sviluppo dei trasporti marittimi nella concreta possibilità di attuazione del colonialismo, la creazione di rapporti economici di tipo capitalistico, l’incremento demografico in Europa, il ruolo delle malattie introdotte dagli europei nello sterminio delle popolazioni native americane, ecc.

I punti sopra indicati indicano le cause che hanno portato allo sviluppo di certe aree del mondo e al sottosviluppo di altre ma il fenomeno del colonialismo/globalizzazione si è concretamente attuato in una molteplicità di forme. Alle volte è caratterizzato dall’uso della violenza delle armi, dell’invasione di un territorio e del controllo politico della sua popolazione. Alle volte ha comportato il genocidio delle popolazioni residenti nelle zone colonizzate. Altri modi che hanno portato alla globalizzazione non hanno fatto uso delle armi ma hanno sempre fatto capire che ad esse si sarebbe fatto ricorso nel caso ci fosse stata opposizione a questo processo. Il caso della richiesta fatto nel 1853 dagli Stati Uniti al Giappone tramite l’ammiraglio Perry, che al comando di quattro navi da guerra della marina americana gettava le ancore nella baia di Uraga, affinché aprisse i porti giapponesi e stipulasse trattati commerciali, è emblematico al riguardo. L’anno dopo l’ammiraglio Perry al comando di una flotta di otto vascelli da guerra tornò in Giappone per ritirare la risposta alle richieste fatte l’anno precedente. La storia del Giappone però, per una serie di motivi, non si può paragonare a quella di altre realtà che in questo lavoro saranno trattate, anche se l’analisi dei motivi che hanno portato questo Paese all’impetuoso sviluppo che tutti conosciamo può servire molto per individuare quale politica bisognerà fare per creare sviluppo in altre parti del mondo.
Un altro modo che porta al colonialismo/globalizzazione è questo: una realtà tecnologico – culturale, magari senza rendersi conto delle conseguenze negative del proprio inferiore livello tecnologico – culturale oppure inconsciamente consapevole dell’impossibilità di opporsi al processo di globalizzazione, decide di entrare in contatto e di condividere le prospettive tecnologico – culturali di altre realtà ma che il loro diverso livello di sviluppo favorirà solamente le altre realtà. Questo è quanto avvenuto in Egitto dagli inizi del 1800 fino al 1875, anno in cui iniziò una forma classica di colonialismo da parte degli inglesi. Di questo fatto si tratterà più in dettaglio in seguito.

3) La globalizzazione nel Magreb e nel Medio Oriente

Al fine di una corretta analisi del tema di questo lavoro, che è quello di ricercare le cause e gli obiettivi del terrorismo cosiddetto islamico e la ricerca di una soluzione a questo problema mediante la creazione di un sano e locale sviluppo nel Magreb e nel Medio Oriente, è bene vedere come quelle realtà da cui provengono i terroristi cosiddetti islamici che sono i Paesi del Magreb e del Medio Oriente siano entrati a fare parte della realtà unitaria che si stava creando a livello mondiale

E’ opportuno fare una breve introduzione per avere un quadro chiaro della situazione del mondo arabo nel periodo precedente il 1500. Vediamo cosa dice Jared Diamond nella sua opera “Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni ”.
“Al giorno d’oggi le nazioni islamiche del Vicino Oriente sono abbastanza conservatrici e non certo in prima linea nel campo dell’innovazione tecnologica. Ma nel Medioevo le società di quelle zone erano l’esatto contrario: avevano tassi di alfabetizzazione assai più alti di quelli europei, ed erano il tramite fra la civiltà greca e la nostra (come è noto molti testi classici si sono salvati solo grazie alle copie arabe); inventarono o perfezionarono cose come il mulino a vento, la trigonometria e la vela triangolare, oltre a compiere grandi progressi nel campo della metallurgia, delle tecniche di irrigazione e dell’ingegneria chimica e meccanica; importarono la carta e la polvere da sparo dalla Cina e la trasmisero all’Europa. Nel Medioevo il trasferimento di conoscenze era di gran lunga diretto dall’Islam all’Occidente e non viceversa. Solo dopo il 1500 questo flusso cominciò a invertirsi.
……..
Comunque, l’Europa rimase la meno ‘avanzata’ delle grandi civiltà eurasiatiche almeno fino al tardo Medioevo.
Concludendo, è falso che esistano continenti popolati da gruppi umani innovativi e altri abitati solo da conservatori. In ogni parte del mondo, in ogni epoca, si possono avere società aperte o chiuse al nuovo, e anche all’interno delle singole civiltà la situazione può mutare nel corso del tempo.” (5)
Adesso è bene fare un passo avanti e vedere cosa è successo in quella realtà che va sotto il nome di Islam nel periodo successivo al XVI secolo
Vediamo cosa dice al riguardo Ira M. Lapidus (6) nella sua opera “Storia delle società islamiche”. Bisogna ricordare che l’analisi che fa questo studioso è di tipo sovrastrutturale (per dirla con Marx) nel senso che si interessa degli aspetti sociali, politici e culturali della storia delle società musulmane e non degli aspetti tecnologici ed economici; questo taglio dato all’analisi, coscientemente scelto dall’autore, non impedisce di cogliere nell’analisi stessa molti aspetti interessanti per gli obiettivi che questo lavoro si è dato.

“Nel XVIII secolo il sistema delle società musulmane era ormai esteso a livello mondiale. Ciascuna di esse era stata costruita sull’interazione delle istituzioni islamiche mediorientali – statali, religiose e comunitarie – con le istituzioni e le culture locali; in ciascun caso le interazioni avevano generato un differente tipo di società islamica. Benché uniche, esse avevano forme simili, erano unite da rapporti politici e religiosi, accomunati dagli stessi valori culturali; e pertanto costituivano un sistema di società islamiche mondiali.
Nei secoli XVIII e XIX l’evoluzione di queste società fu distorta dall’intervento europeo.
……….
A cavallo dei secoli XIX e XX gli stati europei, spinti dal fabbisogno di materie prime e di mercati per le loro economie industriali e dalla concorrenza economica e politica, avevano creato imperi territoriali in tutto il mondo. Gli olandesi avevano completato la conquista dell’Indonesia; i russi (e i cinesi) avevano assorbito l’Asia interna; gli inglesi avevano consolidato i loro imperi in India e Malesia e imposto il loro dominio su varie parti del Medio Oriente, dell’Africa orientale, della Nigeria e dell’Africa occidentale. La Francia si era impadronita dell’Africa settentrionale e di gran parte di quella occidentale, di vaste zone del Medio Oriente e di altri territori. In Africa furono create anche piccole colonie tedesche e italiane. Già agli inizi del XX secolo le potenze europee (e la Cina) avevano dunque completato la conquista di quasi tutto il mondo musulmano.
L’intervento europeo alterò profondamente le strutture intrinseche di quelle società e produsse effetti diversificati che, combinandosi con le peculiarità culturali e istituzionali delle singole società musulmane, generarono i vari tipi di società islamiche contemporanee. Le società islamiche, sorte a suo tempo dall’interazione delle varie realtà regionali con gli influssi mediorientali, vennero poi acquisendo la loro forma moderna interagendo con la penetrazione delle potenze europee.
………
Queste trasformazioni moderne non sono propriamente paragonabili ai normali influssi che nel corso della storia delle civiltà esercitano le une sulle altre, poiché quella europea non era semplicemente un’altra civiltà, ma differiva da quella musulmana anche sotto il profilo qualitativo;….. nel tardo Medioevo e nelle epoche del Rinascimento e della Riforma i popoli europei, in possesso di una forma unica di pluralismo sociale e istituzionale e di una mentalità che enfatizzava l’innovazione, l’agire individuale, l’aggressiva ricerca del dominio e la sperimentazione tecnica, abbiano compiuto i progressi che diedero loro la supremazia militare e commerciale in tutto il mondo.
……….
I secoli XIX e XX videro progressi ancora più sorprendenti nell’organizzazione dell’Europa e il prodursi di un’eccezionale disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fra l’Europa e il resto del mondo. Le potenzialità economiche europee furono trasformate dalla rivoluzione industriale, nel XVIII secolo in Inghilterra e, nel XIX, in Francia, in Germania e in altri paesi. Con lo sviluppo delle forme burocratiche di organizzazione economica, di nuove tecnologie per la produzione del vapore e dell’elettricità, con l’espansione della conoscenza scientifica, la dominazione economica dei paesi europei andò estendendosi.
……..
La rivoluzione americana e quella francese produssero cambiamenti altrettanto profondi nelle sfere della politica e dello stato.
………
Inoltre le forme di illuminismo europeo e americano completarono lo storico processo della laicizzazione. Le istituzioni politiche ed economiche furono completamente staccate dalle norme religiose; la mentalità scientifica e umanistica relegò la religione nella sfera ristretta del culto e delle attività comunitarie.
……..
In tutto il mondo musulmano la dominazione europea ha significato l’imposizione di queste caratteristiche istituzionali e culturali a popoli non europei. L’intervento europeo, che assunse frequentemente la forma del controllo politico, portò alla costruzione di stati burocratici accentrati. La penetrazione economica e capitalistica degli europei portò di regola alla crescita del commercio, finalizzato spesso allo sfruttamento, stimolò la produzione di materie prime e provocò la decadenza delle industrie locali.” (7)

“ ….i mercanti europei ne esportavano materie prime e, in concorrenza con i mercanti e artigiani indigeni, vi importavano manufatti prodotti nei loro paesi. Gli europei stimolarono la conversione dell’agricoltura a redditizie produzioni agricole destinate al mercato, come cereali, frutta secca e cotone in Anatolia, seta in Libano, cotone in Egitto e olio di oliva in Tunisia, e, in generale, determinarono la decadenza dell’artigianato e delle industrie manifatturiere locali.” (8)

Ai fini dell’analisi che di seguito sarà svolta si presti attenzione alle conseguenze finali dell’intervento europeo nel mondo islamico che sono la decadenza dell’artigianato e delle industrie manifatturiere locali. Queste conseguenze saranno il “peccato originale” (9) commesso dell’Occidente e i motivi dell’insuccesso o quanto meno delle enormi difficoltà dei paesi del Magreb e del Medio Oriente nei loro tentativi di creare un sano e locale sviluppo economico.

4) Gli effetti della globalizzazione

Per parafrasare Darwin, il mondo colonizzato precedente la colonializzazione – globalizzazione sarebbe stato “pronto a subire ulteriori più complesse trasformazioni” ma “ al giorno d’oggi tale” potenziale di sviluppo di tale mondo “verrebbe immediatamente divorato o assorbito (devoured or absorbed), il che non sarebbe potuto accadere prima…” della colonizzazione – globalizzazione.

Quali sono gli effetti della globalizzazione?
Nel paragrafo precedente nell’esporre le cause della globalizzazione si è iniziato ad esporre anche gli effetti della globalizzazione.
E’ interessante però entrare nello specifico per vedere come è successo che il potenziale di sviluppo del mondo precedente la globalizzazione sia stato divorato o assorbito dai Paesi sviluppati.
La prima concretizzazione dell’imposizione da parte dell’Occidente (la maggior parte dei Paesi colonizzatori) della norma del loro sviluppo tecnologico – culturale è consistita nello sconvolgimento del tessuto socio – culturale dei Paesi colonizzati, nella decadenza dell’artigianato e dell’industria produttrici di beni strumentali e nello sconvolgimento del rapporto fra agricoltura e bisogni alimentari della popolazione. L’aspetto più importante però e consistito nell’inaridimento, nei Paesi colonizzati, dell’artigianato (nel senso che dall’artigianato non sono sorte piccole industrie), nella frattura fra livello di sviluppo delle forze produttive e livello di sviluppo dei bisogni e di conseguenza nella perdita delle prospettive di sviluppo. L’inaridimento dell’artigianato e la decadenza e/o mancata nascita dell’industria produttrice di beni strumentali viene visto come più importante degli altri perché mentre per gli altri danni provocati dal colonialismo si è riusciti in qualche modo a provvedere, per questo danno non si è riusciti a provvedere. Quando in un Paese si ha l’inaridimento dell’artigianato e quindi non si ha la nascita di industrie di beni strumentali (cioè produttrici di impianti, macchinari e attrezzature che servono a produrre altri beni) oppure la decadenza di quelle eventualmente esistenti, si perde il treno dello sviluppo, non si è più padroni di sé stessi e si è in balia dei Paesi più sviluppati. La produzione di beni di produzione tramite l’artigianato e la piccola industria che da esso sorge può considerarsi la variabile indipendente, ciò che si porta a rimorchio tutta la società. Viene riportata adesso un’altra citazione, che riguarda un diverso contesto, per mettere in evidenza il ruolo fondamentale dell’artigianato e come il suo inaridimento porti al sottosviluppo e, in questo caso, al genocidio (il riferimento è alla prima fase della colonizzazione del nord America): “ Nel Nordamerica esisteva già una rete commerciale che collegava le popolazioni indiane, e uno dei principali prodotti scambiati erano ….. le pellicce.. Con l’arrivo degli europei, e soprattutto dei francesi e degli inglesi, questa rete venne radicalmente riorientata in senso favorevole al nuovo acquirente. Nel commercio delle pelli, le due nazioni europee adoperavano come intermediari le tribù indiane, che già lo praticavano scambiando le pelli con i prodotti agricoli di altre tribù. I francesi stabilirono un’alleanza con i cosiddetti Uroni, mentre gli inglesi appoggiarono gli Irochesi, una confederazione di diverse tribù. L’acquisizione delle zone migliori per il procacciamento delle pelli fu fonte di continui conflitti tra gli inglesi e i francesi e, di conseguenza, anche tra le tribù indiane. L’esaurimento degli animali da pelliccia nelle zone interessate da questa caccia intensiva comportava il rapido spostamento verso l’interno e il confliggere delle due aree di influenza. Gli indiani venivano ripagati con vari generi, tra i quali però prevalsero rapidamente le armi, le quali, a loro volta, incrementavano le capacità delle singole tribù di mantenere il controllo sulle zone di produzione.
Gli effetti sulla vita degli indiani furono sconvolgenti. La popolazione delle zone costiere declinò rapidamente, decimata dall’insorgere di nuove malattie (le epidemie di vaiolo e morbillo furono frequenti nella prima metà del seicento), dall’aumento della conflittualità e dall’emigrazione verso ovest di alcune tribù. Le attività economiche tradizionali furono sostituite dalla caccia e dal commercio con gli europei; i beni ottenuti in cambio distrussero la possibilità di mantenere un artigianato locale. Lo smantellamento delle attività agricole e artigianali condusse alla dipendenza economica del commercio con gli europei, accentuando quindi la necessità della caccia e della guerra reciproca.” (10)

Il motivo per cui sono l’artigianato e la piccola industria a fare la differenza fra aree sviluppate e aree non sviluppate dipende dal fatto che queste attività si creano e si arricchiscono nell’arco di secoli se non di millenni. Per esempio la produzione di utensili di ferro e la tessitura hanno richiesto delle conoscenze e delle professionalità che si sono acquisite in millenni e che le generazioni nel loro succedersi si sono trasmesse. Una volta che una popolazione abbandona la produzione artigianale perché la popolazione da cui è stata colonizzata gli ha imposto i prodotti frutto della sua superiore tecnologia, recide le radici con cui era legata al proprio ambiente culturale e naturale e si incammina verso la morte, come nel caso delle popolazioni native americane, oppure verso una storia di povertà e di dipendenza economica e culturale.
Il discorso fatto sopra non si può fare per altre attività come per es. l’agricoltura e il turismo. Una nazione che ha solamente il turismo sviluppato è una nazione sottosviluppata. Di casi simili ce ne sono molti. La stessa considerazione si potrebbe fare a proposito dell’agricoltura. Nel meridione di Italia l’agricoltura è sviluppata ma questa zona di Italia non è sviluppata come il resto della nazione. Una nazione forte produttrice di macchine utensili, di elettrodomestici, di autovetture, ecc. è una nazione forte mentre una nazione forte produttrice di caffè, di cacao, di grano, di carne, di banane, ecc. è una nazione debole e dipendente da altre realtà.
Il motivo di queste differenze fra l’artigianato e la piccola industria da una parte e l’agricoltura e il turismo dall’altro dipende dalla difficoltà o meno nell’ingresso in queste attività. Mentre un agricoltore italiano può decidere di coltivare Kiwi e riuscirci con nessuna difficoltà, attualmente un artigiano italiano, anche nell’ipotesi che non abbia problemi finanziari, che produce tradizionali pentole di rame o alluminio, difficilmente riuscirà a produrre pentole antiaderenti o pentole a pressione.

Le citazioni che seguono sono prese dal testo di Ira M. Lapidus e mettono in evidenza come concretamente si è attuato il processo di colonizzazione. Le citazioni si riferiscono alla colonizzazione dell’Algeria che forse è quella che è avvenuta in modo più cruento e distruttivo.

“La strategia adottata dal generale Bugeaud consisteva nell’effettuare massicce scorrerie, nel corso delle quali tagliava gli alberi dei frutteti, bruciava i raccolti e sterminava popolazioni e villaggi: con questi metodi i francesi assoggettarono la popolazione algerina.” (11)
“Nel 1870-71 i focolai di una resistenza locale dispersa si saldarono finalmente in una massiccia insurrezione algerina………… le rivolte esplosero in tutta l’Algeria. Queste rivolte erano guidate e coordinate da un capo tribale algerino di nome al-Muqrani,……Al-Muqrani fu sconfitto: i francesi si appropriarono, a titolo di indennizzo, di una somma enorme, pari a dieci volte la massa dei normali tributi, e confiscarono, definitivamente o col fine di ricavarne un riscatto, centinaia di migliaia di ettari di terra.
……..
Così fu spezzata la spina dorsale economica e politica della società algerina e si aprì la strada a ottant’anni di totale dominazione francese ed al tentativo di dare all’Algeria un’identità europea. Molti morirono a causa della guerra e della fame, le tribù algerine furono confinate in determinati distretti o trasferite nel sud per fare spazio ai coloni francesi. Per l’assoggettamento della società algerina rivestì un’importanza cruciale la subordinazione delle sue élite. Fra il 1843 e il 1870 i francesi scalzarono i capi tribali e religiosi a favore di una nuova generazione di funzionari, meno autorevoli e più ligi al loro volere. A partire dal 1874 la popolazione musulmana fu sottoposta al code de l’indigénat, che ne stabiliva la punibilità per una lunga serie di atti sediziosi o illegali e prevedeva l’invio al confino e la confisca dei beni.
Sconvolta nella sua organizzazione, la società algerina divenne vulnerabile allo sfruttamento economico. Vaste distese di terra furono confiscate; pochi proprietari terrieri musulmani riuscirono a passare dalla sussistenza alla produzione per il mercato, ma i più furono ridotti al possesso di appezzamenti troppo piccoli per una coltivazione economica, costretti a lavorare come mezzadri o braccianti o condannati all’indigenza. Mentre i francesi hanno spesso sostenuto che la povertà dei musulmani dipendeva dai loro limiti sociali e culturali, o dall’insufficienza degli stimoli a superare una mentalità refrattaria alla logica del mercato, o dal fatto che in Algeria il capitalismo non si era sviluppato abbastanza da assorbire la popolazione musulmana, cause principali della miseria furono le devastazioni causate dall’invasione francese e la confisca delle terre algerine.
Anche la cultura musulmana ebbe a soffrire della situazione. Prima della conquista francese vi erano numerose scuole e vaste proprietà le cui rendite erano assegnate all’educazione religiosa. Costantina e Tlemcen, ad esempio, contavano numerose scuole elementari, madrasa e zawiya, intorno alle quali ruotavano centinaia di studiosi; i collegi impartivano un’istruzione superiore che dava ampio spazio alla grammatica, al diritto, all’interpretazione del Corano, all’aritmetica e all’astronomia. L’occupazione francese portò alla confisca delle rendite e alla distruzione di molte scuole, che, in teoria, dovevano essere rimpiazzate da scuole francesi destinate a favorire l’assimilazione dei fanciulli algerini alla cultura europea: ma il nuovo sistema scolastico, introdotto fra il 1883 e il 1898, non toccò che una piccola minoranza e in sostanza fu concepito per formare funzionari algerini destinati a collaborare con i francesi nel controllo della popolazione musulmana.
….. Quel sistema, per quanto minimo, fu avversato, oltre che dai coloni, anche dai musulmani, in quanto non li aiutava in alcun modo a uscire dalla loro condizione politica ed economica di inferiorità.” (12)

Come sono proseguite le cose nei decenni successivi? Le cose sono cambiate oppure il “peccato originale” del colonialismo ha fatto ancora sentire i suoi effetti?

Con la dominazione coloniale francese furono poste paradossalmente le condizioni per la ripresa della resistenza algerina e le richieste di indipendenza. Senza ripercorrere tutte le fasi complesse e travagliate della resistenza algerina e senza elencare le terribili distruzioni e i massacri fatti dal governo coloniale francese, negli anni sessanta del XX secolo l’Algeria ottenne l’indipendenza.
L’Algeria aveva di fronte a sé dei problemi enormi: doveva darsi una identità culturale e creare lo sviluppo economico.
Lo strumento politico con cui si cercò di perseguire i suddetti obiettivi fu un governo militare – socialista, come del resto avvenne per molte altre realtà del mondo arabo. Il governo militare – socialista si impegnò nello sviluppo industriale dell’economia utilizzando le risorse provenienti dalle vendite di petrolio e gas naturale. Furono create imprese statali nei settori fondamentali dell’economia come in quello siderurgico e tessile e soprattutto nelle industrie petrolchimiche orientate verso i mercati d’esportazione come nei settori della chimica, delle materie plastiche e dei fertilizzanti.
Nella politica intrapresa dallo stato algerino lo sviluppo dell’agricoltura fu subordinato allo sviluppo industriale. La riforma agraria intrapresa non dette i risultati sperati e si fu costretti ad importare generi alimentari.
Nel complesso i risultati della politica economica algerina non furono incoraggianti. I progetti industriali dipendevano dall’estero. Venivano infatti dall’estero gli impianti, i macchinari e le attrezzature necessarie alle industrie e venivano dall’estero i tecnici specializzati.
Come si vede il “peccato originale” del colonialismo ha fatto ancora sentire i suoi effetti

Come sono andate le cose in altre realtà importanti del mondo arabo come l’Egitto?

Il crollo dell’impero ottomano espose l’Egitto all’invasione napoleonica e al successivo contro – intervento inglese; questi fatti portarono nel 1805 alla nomina di Muhammad ‘Ali a governatore dell’Egitto. Ma vediamo cosa dice Ira M. Lapidus al riguardo:

“Questi era determinato a fare dell’Egitto un potentato indipendente e fondò una dinastia che governò il Paese fino al 1952.” (13)
……..
“Per sostenere l’apparato statale si riorganizzò completamente l’economia. Muhammad ‘Ali favorì la produzione di zucchero e cotone, colture redditizie che potevano contare sul mercato internazionale; si realizzarono grandi progetti di irrigazione che consentivano di coltivare la terra tutto l’anno. Il controllo dello stato sull’agricoltura e sul commercio consentì a Muhammad ‘ Ali di comprare il cotone dai contadini a basso prezzo per rivenderlo agli esportatori con profitto. Si importarono macchinari e tecnici per costruire fabbriche che producevano tessuti di cotone, lana e lino, zucchero, carta, vetro, cuoio e armi;
…………
Isma’il (1863-79), un discendente di Muhammad ‘Ali, fece progredire ulteriormente il Paese: portò avanti il programma di sviluppo economico e tecnico, ampliò le reti ferroviaria e telegrafica, costruì il canale di Suez e un nuovo porto ad Alessandria; emulando l’Europa diede inoltre all’Egitto tribunali, scuole e collegi laici, biblioteche, teatri dell’opera e una stampa di tipo occidentale.” (14)
……………..
“….Le riforme di Muhammad ‘Ali avevano fatto dell’Egitto un paese esportatore di cotone, rendendolo quindi dipendente per le sue entrate dal mercato mondiale. L’Egitto a sua volta era diventato un paese importatore di tessuti inglesi. Gli ingenti prestiti contratti dall’Egitto per acquistare beni di lusso, equipaggiamento militare, macchinario pesante e attrezzature per la costruzione delle ferrovie e del canale di Suez avevano indebitato il paese con le banche e gli stati europei. La dipendenza economica dell’Egitto sfociò da ultimo nella bancarotta e nella creazione di una amministrazione estera del debito pubblico, sotto controllo anglo – francese (1875).
L’amministrazione del debito fu l’inizio della dominazione coloniale, e sfociò in un conflitto aperto fra gli interessi stranieri e le nuove élite egiziane. Ulama (15), possidenti terrieri, giornalisti e ufficiali egiziani provocarono delle dimostrazioni nel 1879; nel 1881, guidati da un ufficiale dell’esercito di nome Arabi Pascià, assunsero il controllo del ministero della guerra e formarono un governo parlamentare. L’Inghilterra si rifiutò di trattare con i nazionalisti, bombardò Alessandria, sbarcò delle truppe, sconfisse Arabi Pascià e, nel 1882, ridusse il paese completamente in suo potere in nome dei possessori di titoli del debito pubblico…..” (16)

Cosa portò a tale esito? Perché in Egitto i fatti si evolsero nel modo visto? Il motivo è da vedersi nel fatto che l’Egitto entrò in gioco quando i giochi erano già stati fatti; l’Egitto importò macchinari e attrezzature e tecnici dagli stati europei per la costruzione di fabbriche (che avrebbero poi prodotto tessuti, carta, vetro, armi, ecc.) e per la costruzione delle ferrovie, della rete telegrafica e del canale di Suez. In questo modo fu inaridito l’artigianato che produceva utensili: da questo artigianato non sorsero piccole industrie produttrici di macchine utensili, non si passò dall’artigianato (che produceva utensili per l’agricoltura, per la vita domestica, per i laboratori artigianali, ecc.) all’industria produttrice di macchine utensili che si sarebbero poi servite di nuove modalità di utilizzo dell’energia come il vapore e la corrente elettrica.

5) La particolarità del sottosviluppo nel Magreb e nel Medio Oriente

Il sottosviluppo, nel significato dato in questo lavoro, del Maghreb e del Medio Oriente ha anche un’altra causa, una causa molto particolare, che non hanno altre aree geopolitiche.
L’area detiene circa il 65% delle riserve petrolifere mondiali e circa il 45% di quelle del gas naturale. Questa ricchezza si è riflessa oltre che sulle nazioni detentrici di quelle risorse (come Algeria, Arabia Saudita, Libia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Iran, ecc.) anche sui Paesi vicini per via delle rimesse degli emigrati. Per dare una misura di quest’ultimo fenomeno si pensi che la popolazione dell’Arabia Saudita è passata da 7 milioni agli inizi del 1970 ai 24 milioni nei primi anni del nuovo secolo (tale aumento della popolazione è anche dovuto all’elevato tasso di natalità). L’emigrazione proveniente dagli altri Paesi dell’area (soprattutto da Egitto, Giordania, Tunisia e territori palestinesi) si è indirizzata anche verso altri Paesi del Golfo Persico fino a superare ben presto la popolazione locale di questi Paesi. Dopo la prima guerra del golfo in seguito all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, visto l’appoggio dato da alcuni Paesi arabi all’Iraq stesso, molte centinaia di migliaia di immigrati dovettero tornare a casa. In seguito il flusso dell’emigrazione è ripreso ma in misura molto minore rispetto al passato perché i Paesi destinatari dell’emigrazione hanno preferito quella proveniente dai Paesi asiatici a quella “problematica” proveniente dagli altri Paesi arabi.
Se si facesse un confronto fra le condizioni socio-economiche dei Paesi del Magreb e del Medio Oriente ed altri Paesi presi a riferimento e che negli anni ’50 del secolo scorso erano sostanzialmente nelle stesse condizioni si nota che mentre questi ultimi Paesi sono andati incontro ad un impetuoso sviluppo, quelli dell’area in questione hanno segnato il passo.

La maggior parte dei Paesi del Maghreb e del Medio Oriente sono quasi totalmente dipendenti dalle entrate derivanti dalla vendita del petrolio e del gas naturale. Walter Youngquist in un suo lavoro dal titolo “Paradigma post-petrolifero e popolazione” (di cui in seguito si riporteranno ampi stralci) ha messo in evidenza le conseguenze sociali ed economiche in questi Paesi di questa dipendenza.

“L’arrivo delle ricchezze derivanti dal petrolio ha portato a tutti questi Paesi cambiamenti più rapidi e profondi di quanto sia accaduto in qualsiasi altra nazione del mondo e in qualsiasi altra epoca storica precedente.
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Prima di ottenere ricchezza dal petrolio, tutte queste nazioni erano sottosviluppate. Non c’erano programmi sociali da parte dei governi, l’assistenza medica era molto limitata e le infrastrutture quali strade, trasporti pubblici e privati ed energia elettrica erano trascurabili.
L’arrivo del denaro indotto dal petrolio portò grandi cambiamenti sociali ed economici a questi Paesi. Tra le altre cose, furono varati diversi programmi sociali, tutti destinati a sostenere un più elevato tenore di vita. Questi includono forniture di cibo sottoposte a sussidio e cure mediche gratuite o a basso costo. Nelle nazioni in gran parte deserte, forniture di cibo importato e agevolato costituiscono un cambiamento particolarmente gradito rispetto alle diete limitate del passato. Ma quali sono stati i risultati?
Contrariamente alla idea comune secondo la quale una accresciuta prosperità abbia come effetto una riduzione della velocità delle nascite e della crescita della popolazione, Abernethy (1993), con molti esempi, evidenzia come lo sviluppo economico possa stimolare la crescita della popolazione. Con migliori prospettive, ci si possono permettere più bambini, e cure mediche migliorate significano un miglior tasso di sopravvivenza. Il punto di vista di Abernethy è pienamente convalidato da ciò che è accaduto nelle nazioni arricchitesi grazie al petrolio. Con i programmi sociali sostenuti dalle entrate dovute al petrolio e la tradizione mussulmana di famiglie numerose, il tasso di crescita di tutte le nazioni del Golfo (che sono tutte mussulmane) e la Libia, anch’essa mussulmana, è stata ben al di sopra della media mondiale che è dell’1,6% circa.
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Come risultato di questi elevati tassi di crescita, circa la metà della popolazione del mondo arabo ha meno di 15 anni di età, preannunciando una continuazione e forse anche un aumento del tasso di crescita della popolazione per i prossimo due decenni (Fernea, 1998). In più, questa nuova generazione è la prima a vivere prevalentemente in città. Ciò è stato reso possibile dalla ricchezza derivata dal petrolio, che ha consentito alla gente di andare oltre una economia primaria basata dell’agricoltura e sul nomadismo.
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…..con l’esaurirsi dei depositi di petrolio, le entrate da esse derivanti cesseranno di essere significative. La prosperità e la prospettiva di un futuro roseo hanno costituito fino a tempi recenti l’esperienza delle nazioni arricchitesi grazie al petrolio. Ma ora le entrate derivanti dal petrolio hanno cominciato a crescere meno rapidamente e la popolazione continua a crescere. Nel caso dell’Arabia Saudita, che detiene le più ampie riserve petrolifere di ogni nazione, il governo si è effettivamente ritrovato in deficit ed ha dovuto ridimensionare vari programmi e sussidi sociali. Una delle ragioni per la breve caduta dei prezzi del petrolio all’inizio del 1998 fu il fatto che l’Arabia saudita e gli altri Paesi del Golfo sforarono le proprie quote di produzione stabilite dall’Opec per sostenere le entrate derivanti dal petrolio e per potere tenere in piedi i propri programmi sociali e garantire la soddisfazione dei propri cittadini.

Reed e Rossant (1995) scrivono:

“ Gli esperti la chiamano la Malattia del golfo. Le radici del problema sono le stesse in tutta l’area del Golfo. L’era nella quale le famiglie regnanti potevano impiegare proventi da petrolio apparentemente infiniti per comprare la lealtà e il silenzio della popolazione si sta avviando al termine. Governi a corto di quattrini stanno effettuando tagli ai servizi sociali mentre il torrente di ricchi contratti che aiutava l’economia basata sul petrolio si riduce quasi a niente”.

Come l’incremento della popolazione influisce sulla ricchezza pro-capite viene illustrato in successive osservazioni degli autori:

“Anche una esplosione della popolazione ha pesantemente contribuito a erodere la produzione lorda pro-capite da oltre 12.000 dollari nel 1982 a poco più di 7.000 dollari oggi (1995). Qualcosa come tre milioni di sauditi -il 44% della forza lavoro- lavorano nel settore pubblico dove i salari sono stati congelati per quasi un decennio. Quest’anno, in forte controtendenza rispetto alla tradizionale prodigalità, ha più che raddoppiato le tariffe imposte ai residenti per l’elettricità, l’acqua ed altri servizi…. Una simile erosione dello stato sociale del deserto mette aspramente alla prova il contratto sociale paternalistico tra il clan regnante e la popolazione”.

Chandler (1994) scrive:

“Sebbene molte delle esuberanti entrate derivanti dal petrolio negli anni ’70 siano state saggiamente investite in Arabia Saudita in ospedali, strade, ponti, porti, centrali elettriche e simili, una parte enorme sono state destinate a programmi sociali che non possono essere probabilmente sostenuti in una nazione nella quale la popolazione sta crescendo ad un tasso di quasi il 4% all’anno, uno dei più elevati tassi di crescita al mondo”.

I sauditi comprendono la natura limitata delle proprie risorse petrolifere……………Può essere tra più di una generazione che il petrolio si esaurirà, ma ciò avverrà inevitabilmente. Senza alcun’altra base economica solida, e nessuna è in vista, si dovranno attuare enormi aggiustamenti nello stile di vita e probabilmente nella dimensione della popolazione. Non sarà facile”.

I problemi non cambiano se si va in altri continenti. Vediamo ciò che Youngquist dice a proposito del Venezuela.

“Il Venezuela, che detiene più della metà delle riserve petrolifere del Sud America, ha anche una quantità di programmi sociali sostenuti dai redditi petroliferi. Ad ogni modo, in un’anteprima di quanto sarebbe accaduto, nel 1989, quando le entrate petrolifere barcollarono per un breve periodo, il governo dovette modificare le sue libere spese. Quando furono elevate le tariffe degli autobus soggette a sussidio da parte del governo e i prezzi della benzina fino a qual momento economici, scoppiarono delle rivolte a Caracas e in altre 17 città. Oltre 300 persone furono uccise, 2.000 ferite e molte migliaia arrestate. Il governo dovette revocare questi aumenti (Moffett, 1995)
Nel 1995, con la continua crescita della popolazione e con gli introiti pro-capite provenienti dal petrolio incapaci di tenerne il passo, si ebbero nuovamente problemi. Gli studenti universitari minacciarono dimostrazioni di piazza se i costi di cose quali le mense agevolate e il trasporto pubblico fossero stati innalzati. Nel 1996, il governo venezuelano, a causa dell’economia in crisi, richiese un prestito di 2,5 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale (Vogel, 1996)
In Venezuela, le entrate derivanti dal petrolio non hanno tenuto il passo della crescita della popolazione e nella corrispondente crescita dei costi dei servizi sociali istituiti in anni di più ricchi redditi petroliferi. La produzione petrolifera e le conseguenti entrate sono aumentate, ma la crescita della popolazione ha superato le statistiche relative al petrolio. Ci si attende che la produzione petrolifera venezuelana raggiunga il suo picco massimo entro 10 anni [l’articolo è del 1999 –N.d.T.]. La crescita della popolazione è del 3,5% annuo, il che significa il raddoppio entro 20 anni. Per il momento in cui la popolazione sarà raddoppiata, la produzione petrolifera sarà in declino.
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Non è tanto importante quando l’ultima goccia di petrolio viene pompata, quanto piuttosto il picco massimo (la quantità massima giornaliera) dopo il quale segue un irreversibile declino della produzione petrolifera. Allora, tutti i programmi sociali ed economici basate sulle entrate derivanti dal petrolio dovranno essere tagliati. Paesi, quali il Kuwait, che hanno investito parte delle proprie entrate derivanti da petrolio all’estero potrebbero riuscire a sostenere i propri programmi sociali almeno in modesta misura, ma se il tasso di crescita della popolazione si mantiene elevato, è fortemente dubbio che le entrate su base pro-capite possano eguagliare quelle odierne, provenienti dal petrolio. La maggior parte dei Paesi stanno consumando i propri redditi da petrolio man mano che li ottengono.
Secondo gli studi più recenti, si prevede che il picco nella produzione petrolifera si verificherà in un momento compreso tra il 2003 (Campbell, 1998) e il 2020 (Edwards, 1997). E’ particolarmente interessante che nel marzo del 1998, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) abbia previsto per la prima volta una possibile data del picco nella produzione petrolifera, affermando: “…un picco nella produzione petrolifera convenzionale mondiale potrebbe verificarsi tra il 2010 e il 2020” (International Energy Agency, 1998). Più in dettaglio, è stato appena completato uno studio di previsione del picco della produzione petrolifera in 42 Paesi (Duncan & Youngquist, 1998). I Paesi fortemente dipendenti dal petrolio e il loro picco stimato sono: Kuwait, 2018; Oman, 2002; Siria, 1999; Emirati Arabi Uniti, 2017; Yemen, 2002; Arabia Saudita, 2011; Venezuela, 2005. Qatar, Bahrain, Iran, Libia e Brunei hanno già superato il proprio picco. …………..Sia il Bahrain che l’Iran sono afflitti da tensioni da quando il declino delle entrate derivanti dal petrolio ne ha minato alla base gli standard di vita. L’Iran ha superato il proprio picco produttivo nel 1973. Con una popolazione in crescita ben oltre quanto le sempre minori entrate del petrolio possano sopportare, l’Iran sarà la prima nazione del golfo arricchitasi grazie all’oro nero che entro dieci anni sarà più povera di quanto non fosse 20 anni fa. La crescita della popolazione diluisce le ricchezze derivanti da petrolio disponibile.
Il picco della produzione irachena è atteso nel 2011, ma potrebbe essere ritardato dall’attuale embargo petrolifero dovuto alle sanzioni statunitensi. Ad ogni modo, è da notare come l’odierna carenza di entrate derivanti dal petrolio stia danneggiando i cittadini iracheni, disperati per i beni di prima necessità inclusi cibo e medicinali. Vengono inviati approvvigionamenti di supporto. Ma quando verrà il momento nel quale l’Iraq non avrà più petrolio da vendere o ne avrà poco, come sosterrà la propria popolazione? Il petrolio ha rappresentato il 99% delle fonti esterne di scambio con l’estero dell’Iraq, e neppure ora la nazione è autosufficiente per quanto riguarda le forniture alimentari. Il resto del mondo continuerà a colmare la differenza fra necessità e disponibilità quando l’Iraq non avrà più petrolio da dare in cambio di cibo? O, ancora più importante, le nazioni tradizionalmente esportatrici di generi alimentari, avranno ancora in quel tempo un eccesso di granaglie da vendere?
Gli effetti dell’esaurimento mondiale del petrolio e del suo stretto vicino, il gas naturale, sulla produzione alimentare non possono essere ignorati (l’uso del petrolio è essenziale per la produzione agricola: serve ad alimentare le macchine agricole, per la produzione di concimi, ecc. [mia nota]).” (17)

Per avere un quadro completo della situazione nei Paesi del Maghreb e Medio Oriente è bene aggiungere i seguenti ulteriori dati:

– Gli investimenti diretti esteri (IDE) nella regione sono insignificanti: questi investimenti, provenienti soprattutto dalle industrie automobilistiche, hanno carattere duraturo e non speculativo e avrebbero trasferito tecnologie e know-how nella regione; il valore che riguarda il Magreb e il Medio Oriente è inferiore all’1% degli IDE complessivi nel mondo (il valore in realtà è prossimo allo zero);
– le esportazioni dell’area sono essenzialmente esportazioni di risorse energetiche mentre le esportazioni non energetiche sono insignificanti;
– meno dell’1% degli utenti Internet appartiene all’area in questione (il valore in realtà è prossimo allo zero);
– meno dell’1% degli hosts di Internet e meno dell’1% dei servers dotati delle funzioni necessarie per compiere scambi di commercio elettronico sono collocati nella regione (il valore in realtà è prossimo allo zero);
– gli investimenti in ricerca e sviluppo sono prossimi allo zero in termini percentuali;
– la disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, ha raggiunto indici notevoli;
– il degrado delle risorse naturali e ambientali (desertificazione, inquinamento urbano e industriale, impoverimento della pescosità dei mari, ecc.) ha raggiunto livelli insostenibili;
– mentre in Cina e in India il reddito pro-capite negli ultimi decenni è aumentato di circa l’8% e 3% rispettivamente, nell’area in questione è stato inferiore all’1%;
– ecc., ecc.

Perché il Magreb e il Medio Oriente non sono andati incontro all’impetuoso sviluppo che ha interessato Paesi come il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan, per non parlare di grandi Paesi come la Cina e l’India? Se poi si tiene conto che l’area in questione, diversamente da altre aree, ha potuto beneficiare dell’ingente rendita petrolifera significa che ci deve essere stata una motivazione molto forte che ha fatto in modo che le cose si evolvessero nel modo in cui sono andate.
Le motivazioni dello sviluppo delle altre aree sono diverse. Per quanto riguarda il Giappone, le cosiddette “tigri asiatiche” e altre aree asiatiche il motivo è che hanno beneficiato dei trasferimenti tecnologici e finanziari da parte degli Stati Uniti volti a non fare incamminare le aree suddette nell’orbita sovietica. Per la Cina e l’India bisogna fare un discorso diverso ma non è il caso di approfondire.
Il motivo per cui il Magreb e il Medio Oriente non sono andati incontro all’impetuoso sviluppo che ha riguardato molte parti del mondo è molto semplice: la regione detiene ingenti riserve di risorse energetiche e se l’Occidente non avesse impedito il suo sviluppo si sarebbe trovata di fronte ad una area geopolitica e culturale ricca di risorse energetiche, forte industrialmente e che avrebbe ben presto messo in discussione gli equilibri geopolitici e culturali mondiali. E ciò è quello che l’Occidente non avrebbe mai voluto.

– Picco del petrolio e Lega dei Paesi Arabi

Il 22 marzo 1945 sette paesi arabi indipendenti fondarono la Lega degli Stati Arabi. Oggi i Paesi aderenti sono diventati 22. Lo Statuto della Lega così recita all’art. II: “ La Lega ha il compito di sviluppare le relazioni fra gli Stati membri, di coordinare le loro politiche allo scopo di intensificare la cooperazione fra loro e di salvaguardare le loro indipendenza e sovranità; è un impegno generico verso gli interessi dei paesi Arabi. Ha anche come compito la stretta collaborazione fra gli stati membri con adeguato riguardo all’organizzazione e alle condizioni di ogni stato sui seguenti argomenti:
– A. Affari economici e finanziari: includendo relazioni commerciali, beni, valuta, e in generale ciò che riguarda i settori agricoli e industriali;
– B. Comunicazioni: includendo ferrovie, strade, aviazione, navigazione, poste e telegrafi;
– C. Affari culturali;
– D. Nazionalità, passaporti, visti, esecuzione di sentenze ed estradizione di criminali;
– F. Affari sanitari”
Come si vede, l’articolo II dello statuto della Lega dei Paesi Arabi consente lo svolgimento di numerose politiche di integrazione e sviluppo fra i Paesi aderenti. La lega però non ha raggiunto questo obiettivo, nemmeno parzialmente. Le sedute della Lega, che si svolgono a settembre e a marzo di ogni anno, hanno visto molte volte la mancata partecipazione di alcuni Paesi aderenti.
I motivi del fallimento di questo organo sono sicuramente molti e sono sia di origine interna che esterna; adesso però c’è all’orizzonte il picco di produzione del petrolio e del gas naturale, la prospettiva del loro esaurimento e del contestuale esaurimento delle risorse finanziarie provenienti dalla loro vendita: ciò metterà in moto molte forze in parecchi punti del pianeta e sono da aspettarsi profondi cambiamenti nelle élite e/o nelle strutture politiche dei Paesi del Magreb e del Medio Oriente e, forse, un nuovo ruolo della Lega dei Paesi arabi.

6) Paesi sviluppati ed economia illegale

I campi in cui si sviluppa l’economia illegale sono numerosi: produzione e commercio di droghe, traffico di armi, traffico di persone, di sigarette, di auto rubate, contraffazione di prodotti artistici (per es. CD musicali), smaltimento di rifiuti tossici di origine industriale e civile, ecc. L’economia illegale ha poi il suo esito logico nel lavaggio dei capitali provenienti dalle suddette attività illegali.
Come si pongono le realtà sviluppate dell’Italia verso i fenomeni di economia illegale a cui si faceva riferimento poco prima? Come si pongono i Paesi sviluppati verso fenomeni come la produzione di sostanze stupefacenti e l’utilizzo dei capitali provenienti da queste attività? La risposta è che sono d’accordo nella conservazione di questi fenomeni e delle realtà in cui insistono pur di non mettere in discussione il loro tenore di vita e le loro ulteriori possibilità di sviluppo cercando semplicemente di contenere eventuali ed eccessivi invasioni in campi proibiti. Se così non fosse e si decidesse di combattere con energia questi fenomeni di economia illegale, gli esiti potrebbero essere non gestibili dal mondo sviluppato, perché le popolazioni che vivono su quei fenomeni potrebbero decidere di mettere in discussione i rapporti economici internazionali come sta facendo il terrorismo cosiddetto islamico. Si pensi a quello che sarebbe successo nella zona di Napoli se si fosse deciso di usare la mano pesante verso il contrabbando di sigarette. Quindi in una ottica di “conservazione” questi fenomeni non sono più da vedersi come fattori devianti e da combattere ma, nel processo di globalizzazione così come è avvenuto, devono essere considerati realtà che naturalmente convivono con altre realtà ad ‘economia sana ’. “Non è un fatto casuale o dovuto a chissà quali misteriosi fattori climatici o etnici la costituzione di zone con compiti economici specifici: da una parte le piazze finanziarie e i centri direzionali, dall’altra le zone di produzione massificata a tecnologia standardizzata, come in Corea o Taiwan o ad alta intensità di lavoro non qualificato, come in Indonesia o in America Centrale……Allo stesso modo, osservare secondo questa luce il rientro nell’economia di mercato dei paesi ‘ex socialisti’ fa assumere un rilievo diverso alla crescente diffusione al loro interno delle sacche di economie illegali e criminali, fino a chiedersi se non sia proprio questo – come del resto avviene per la Colombia, alcune isole caribiche e Myanmar (Birmania) – il ruolo assegnato dalla globalizzazione a queste regioni: garantire il riciclaggio e il reinvestimento dei capitali criminali. E’ infatti miope, di fronte alla loro estensione quantitativa, continuare a considerare queste dinamiche delle semplici devianze, forse bisogna invece inserirle a pieno titolo tra i percorsi possibili delle attuali forme di accumulazione e di investimento.” (18)

Questo passo di Massimo Fini in “Il vizio oscuro dell’occidente” esprime molto bene la situazione che si intende spiegare: “Al momento della guerra (all’Afghanistan, dopo l’11 settembre 2001, ndr), i Talebani, aderendo alle annose richieste delle Agenzie internazionali, avevano bloccato da un anno le coltivazioni del papavero, da cui si ricava l’oppio. Nessun governo afgano c’era mai riuscito, anzi non ci aveva mai provato. Si trattava infatti di una decisione molto difficile, quasi impossibile, perché su queste coltivazioni vivono centinaia di migliaia di contadini afgani e nessuno dei governi che si erano succeduti dopo la cacciata dei sovietici aveva avuto l’autorità, la forza, il prestigio e soprattutto la voglia di prenderla, anche perché ‘ i signori della guerra ’ che sostenevano quei governi, o ne facevano parte, vivevano a loro volta sul traffico della droga. Il mullah Omar, guida spirituale dei Talebani, aveva il prestigio, l’autorità, la forza, dato che controllava il novanta per cento del paese, anche la voglia perché nella sua visione del mondo l’economia non era la cosa principale, più importante era il Corano che vieta la produzione e il consumo di sostanze stupefacenti. Quindi, benché il ricavato del traffico dell’oppio gli servisse per comprare grano dal Pakistan per sfamare la sua gente, Omar già nel 1998 e nel 1999 aveva offerto più volte agli Stati Uniti e all’ONU di scambiare la fine della coltivazione del papavero col riconoscimento internazionale. Ma gli americani avevano risposto niet e lo avevano imposto anche all’ONU.
Ciò nonostante nell’estate del 2000 il mullah Omar decise autonomamente di proibire la coltivazione del papavero e ci riuscì. Fatto quasi miracoloso se si pensa ad altre esperienze, come quella colombiana. Questo torto all’occidente il mullah Omar non lo doveva proprio fare, perché guastava l’immagine che da noi ci si era fatta dei talebani, integralisti, malvagi, crudeli, criminali e, soprattutto, irragionevoli, gente con cui era inutile discutere. La stampa internazionale cominciò quindi a scrivere che era vero che i Talebani avevano bloccato la coltivazione del papavero, ma lo avevano fatto per aumentare il valore delle loro scorte dato che il prezzo dell’oppio era salito alle stelle. Insomma la dimostrazione dell’efficacia e del blocco ordinato dal mullah gli veniva addebitata come una colpa, come un artifizio. ‘ E va bene – borbottò allora un ministro talebano che, essendo afgano, e per sopramercato ignorante perché aveva studiato alle scuole coraniche, non conosceva Esopo e la favola del lupo e dell’agnello – diteci allora cosa dobbiamo fare?’
Questa storia dell’oppio era particolarmente seccante per l’occidente, perché se la sua parte visibile e presentabile, cioè l’agenzia ONU contro la droga, aveva chiesto la fine della coltivazione, quella invisibile e impresentabile, vale a dire le grandi organizzazioni criminali che godono di forti appoggi e complicità nelle classi dirigenti di parecchi e irreprensibili stati, ne erano gravemente danneggiate. Oggi, con sollievo di tutti, nell’Afghanistan di Karzai e delle forze di occupazione, variamente mascherate in forze di pace o che danno la caccia al fantasma di Bin Laden, dove nessuno controlla niente, è ripreso in grande stile un colossale traffico di droga. Inutile dire, anche qui, chi tragga i maggiori benefici di questi affari, ai contadini afgani rimane meno dell’uno per cento.” (19)

Per indicare la mancanza di prospettive di sviluppo e la mancanza di coscienza della situazione che si è creata a livello mondiale, si pensi alla soluzione del presidente afgano Hamid Karzai per eliminare le piantagioni di papavero dall’Afghanistan: sostituirla con piantagioni di meloni e melograni. (notizia giornalistica della primavera del 2005)
Ma il mondo sviluppato accetterà i meloni e le melegrane come mezzi di pagamento per la vendita di autocarri, computer, apparecchiature elettromedicali, ecc.?. Forse questa “uscita” del presidente Karzai è stata fatta solamente ad uso e consumo del mondo occidentale sviluppato.

Una ulteriore considerazione è da farsi per terminare questo capitolo sul rapporto tra economia illegale e Paesi sviluppati. La lettera di Charles Darwin del 1871 con cui è stato iniziato questo lavoro dice che quando in natura ci sono organismi biologici già formati, questi stessi organismi biologici impediscono il sorgere di nuove forme viventi a partire dalle stesse condizioni. Ciò che avviene in natura, dice Claude Levi-Strauss, avviene anche nella storia umana.
I fenomeni di economia illegale di cui si è detto sono solamente adesso fenomeni illegali. Nei secoli scorsi è esistita la schiavitù e molti Paesi dell’Occidente sviluppato si sono arricchiti sul commercio e l’utilizzo degli schiavi. Nell’ottocento la Cina voleva stroncare il traffico di oppio ma gli Inglesi erano favorevoli a questo traffico. Ci fu la guerra fra cinesi e inglesi: i cinesi furono sconfitti e attraverso il porto di Shanghai la Cina fu invasa dall’oppio. Quando per tutta una serie di motivi (che non sono stati motivi morali ma economici) i paesi sviluppati dell’Occidente hanno deciso che non sarebbe più dovuta esistere la schiavitù oppure il commercio di droghe allora queste esigenze sono diventate norme. Lo stesso discorso può farsi a proposito del genocidio delle popolazioni native americane, del diritto di voto alle donne e di decine di altre fatti culturali. I tempi e i modi dello sviluppo sia tecnologico che culturale dell’Occidente sviluppato diventano i tempi e i modi dello sviluppo tecnologico e culturale di tutto il mondo.

7) Considerazioni conclusive sulla globalizzazione

“La globalizzazione e il passaggio ad una economia di mercato non hanno prodotto i risultati sperati né in Russia né nella maggior parte delle altre economie in fase di transizione. L’Occidente ha persuaso questi paesi che il nuovo sistema economico li avrebbe portati ad una prosperità senza precedenti. Senza precedenti, invece, è stata la povertà in cui sono sprofondati. Sotto molti aspetti, per gran parte della popolazione l’economia di mercato si è dimostrata addirittura peggiore di quanto avessero previsto i leader comunisti. Il contrasto fra la transizione della Russia, manovrata dalle istituzioni economiche internazionali, e quella della Cina, gestita invece internamente, non potrebbe essere più evidente: mentre nel 1990 il prodotto interno lordo (PIL) della Cina era pari al 60% di quello russo, alla fine del decennio le cifre si sono invertite. La povertà in Russia è dilagata, mentre in Cina è diminuita scendendo a livelli senza precedenti.” (20)

Come si vede chiaramente dal confronto tra la transizione così come è avvenuta in Russia e così come è avvenuta in Cina, la differenza sta tutta nella provenienza della norma adottata: in Russia è stata imposta dall’esterno, dall’FMI e dalle altre organizzazioni economiche internazionali, mentre in Cina ha avuto origine interna e quindi è stata adeguata alla realtà cinese. Se la norma adottata in Russia è stata imposta dall’esterno è perché la Russia ha perso lo scontro col mondo occidentale e quindi è stata da questo assoggettata. La Cina si è aperta al commercio internazionale solamente dopo che ha rafforzato le sue produzioni e i rapporti con l’estero sono solamente visti in termini di sviluppo interno. E’ quello che del resto ha fatto il Giappone: questo Paese prima di aprirsi all’Occidente (apertura, bisogna ricordare, aiutata dalla minaccia delle cannoniere dell’ammiraglio Perry) consentiva solamente alle navi olandesi di fare limitati approdi in un’isola davanti a Nagasaki e solamente per sbarcare pubblicazioni e materiale scientifico; dopo l’apertura all’Occidente ha aspettato di rafforzare le proprie produzioni prima di aprirsi al commercio estero.
La concretizzazione dell’imposizione da parte dell’Occidente della norma del suo sviluppo tecnologico – culturale è continuata fino al punto che adesso nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali, nelle case, ecc dei Paesi ex colonizzati non c’è niente di tecnologicamente avanzato che sia progettato e/o prodotto in loco. Computer, stampanti, fotocopiatrici, autovetture, autocarri, impianti e macchinari industriali, macchine agricole, telefoni, telefoni cellulari, televisori, apparecchi-radio, macchine fotografiche, apparecchiature elettromedicali, ecc. sono importati dai Paesi sviluppati, dal cosiddetto Occidente (allargato al Giappone e a qualche altro Paese).
Questi prodotti sono caratterizzati dal fatto che hanno alle spalle una lunga storia: essi sono il risultato della ricerca fatta e del know how acquisito (patrimonio di conoscenze tecnologiche, capacità professionali) in decenni se non addirittura in secoli di storia industriale. Un prodotto come una autovettura non si può improvvisare, non può essere prodotta da una nazione che non le ha mai prodotte. Le grandi case automobilistiche del mondo occidentale sono sorte, salvo casi eccezionali, nel periodo a cavallo fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Un imprenditore capace e in possesso dei mezzi finanziari necessari non potrebbe mai dare luogo ad una produzione di massa di autovetture perché il territorio è già occupato da grandi case automobilistiche: potrebbe solamente operare in un mercato di nicchia e sempre usufruendo di un tessuto produttivo sviluppato e sano e con accordi con le case automobilistiche già esistenti sul mercato. Le stesse considerazioni sono da farsi per le nazioni che non possiedono industrie automobilistiche: se una di queste nazioni decidesse, in una situazione di globalizzazione, di costruire una industria automobilistica, questa verrebbe “instantly devoured or absorbed” (avrebbe detto Charles Darwin) per cui queste nazioni dovrebbero necessariamente rivolgersi a case automobilistiche già operanti sul mercato che gli costruirebbero “chiavi in mano” una fabbrica per la produzione di autovetture. E’ inutile aggiungere che gli impianti di questa fabbrica, i tecnici specializzati necessari alla loro messa in opera, la maggior parte dei componenti delle autovetture, ecc. sarebbero di provenienza non locale ma del Paese della casa madre automobilistica. Il discorso fatto per le autovetture si può fare anche per gli altri prodotti elencati.
La Lega degli Stati arabi nel vertice di marzo 2005 ha preso tra l’altro la decisione della costruzione di un satellite arabo per osservazioni ecologiche (dal contesto ho dedotto che i Paesi arabi non abbiano mai costruito un satellite): ma come faranno gli Stati arabi a costruire un satellite se non ne hanno mai costruito e se non hanno partecipato allo sviluppo scientifico che ha prodotto le tecnologie necessarie per la costruzione di satelliti artificiali? La soluzione è che dovrebbero ordinarlo alle aziende di altri Paesi che glielo costruirebbero “chiavi in mano” e dovrebbero rivolgersi ad un altro Paese dotato dei vettori e delle necessarie infrastrutture per inviarlo in orbita. Ma questi prodotti probabilmente sono considerati, ufficialmente o ufficiosamente, prodotti strategici e l’Occidente non consentirà in nessun modo la loro cessione e le tecnologie ad essi collegati ad altre aree geopolitiche e culturali.

Un’area geopolitica che non ha partecipato agli attuali sviluppi scientifici e industriali e che sia stata, con violenza o meno, integrata nella globalizzazione è irreversibilmente tagliata fuori, non può prendere il treno in corsa. Si dice che James Watt abbia inventato la macchina a vapore nel 1769, “ ..ma in realtà Watt ebbe l’idea decisiva mentre stava riparando un modello del motore inventato da Thomas Newcomen 57 anni prima, di cui erano stati costruiti più di cento esemplari in Inghilterra. La macchina di Newcomen, a sua volta, era basata su quella brevettata da Thomas Savery nel 1698, a sua volta modellata su quella che il francese Denis Papin aveva disegnato ma non costruito nel 1680, a sua volta ispirata dalle idee di Christiaan Huygens (scienziato olandese del ‘600 ndr)) e di altri scienziati.” (21)
Un’area geopolitica (oppure uno specifico Paese) integrata nella globalizzazione che volesse incamminarsi sulla strada dello sviluppo, dovrebbe acquistare le macchine esistenti già belle e pronte. E’ quello che è successo all’Egitto nella seconda metà dell’800 quando acquistò dall’Inghilterra macchinari e attrezzature e importò tecnici per costruire fabbriche, ferrovie, la rete telegrafica e il canale di Suez. I Paesi detentori di quelle tecnologie non le trasferiranno mai ad altri paesi come si vede dalla storia coloniale del Portogallo, della Spagna e dell’Inghilterra. “… gli europei hanno sempre cercato di impedire la trasformazione delle materie nei luoghi da dove esse venivano. Lo zucchero prodotto nel nord-est del Brasile veniva raffinato per lo più in Francia, ed è solo uno dei mille esempi che si potrebbero fare.” (22) Ma la conseguenza più importante è che “Dapprima con la coercizione politica, nell’epoca del dominio imperiale diretto, poi con la crescente complessità e onerosità delle nuove applicazioni tecniche alla produzione, la tecnica ha finito per costituire un fattore di accrescimento del divario fra ‘centro’ e ‘periferia’ del mondo, tra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati. La globalizzazione dei progressi tecnici ha quindi i suoi limiti, che sono politici ed economici e non certo ‘naturali’, e che giocheranno un ruolo ancora più netto nel XX secolo” (23) Se il Giappone non ha avuto la stessa sorte di altre aree del mondo globalizzato è perché (insieme ovviamente ad altre motivazioni) ha fatto di tutto per importare solamente tecnologie e nel difendere le produzioni industriali nazionali (fino alla metà del XIX secolo, come già ricordato, il Giappone consentì solamente ai mercanti olandesi di attraccare con le proprie navi in un’isola giapponese davanti a Nagasaki e solamente per sbarcare pubblicazioni e materiale scientifico).
L’Occidente, è stato detto in precedenza, impone al resto del mondo la norma del suo sviluppo tecnologico – culturale ma forse ciò non è molto preciso: bisognerebbe dire che l’Occidente fa semplicemente i propri interessi e per fare questo impone la norma del suo sviluppo tecnologico – culturale. Quando però la norma del suo sviluppo tecnologico – culturale potrebbe ritorcerglisi contro allora la abbandona. L’Occidente ha persuaso i Paesi in via di sviluppo ad eliminare le barriere commerciali e a non concedere sussidi ai loro prodotti industriali, però l’Occidente ha contingentato le importazioni di molti prodotti agricoli e industriali provenienti da quei Paesi per proteggere le sue produzioni. Quando la Russia a metà degli anni ’90 cominciò a vendere alluminio sui mercati internazionali allora i produttori americani, fortemente danneggiati, risposero con la creazione di un “cartello”, stabilendo dei contingenti da importare e anche da quali Paesi importare quei contingenti. Se non fosse stato accettato il cartello i produttori americani di alluminio avrebbero minacciato di ricorrere alle leggi antidumping. Queste leggi danno la possibilità di imporre dazi doganali alle merci che venissero vendute sottocosto. La Russia però vendeva l’alluminio ad un prezzo remunerativo, non sottocosto: tutti sapevano che era così ma di fronte alla possibilità di vedere diminuire le proprie quote di mercato e i propri profitti non c’è coerenza che tenga. La protezione dei propri prodotti è stata una costante della politica economica dei paesi occidentali, dall’Inghilterra al Giappone agli Stati Uniti, ecc. “Così come l’ideologia liberista diffusa dagli inglesi nell’800 era liberista a senso unico (apertura delle frontiere degli altri paesi ma non delle proprie e comunque dopo che la propria industria si era già rafforzata con un forte intervento protezionista) anche il liberismo della fine del XX secolo appare del tutto di parte.” (24)

Alle volte l’Occidente ammanta di umanitarismo l’imposizione a tutto il Mondo delle sue norme. E’ questo ciò che avviene con le campagne pubblicitarie contro il lavoro minorile nel terzo mondo quando alcuni Paesi del terzo mondo cominciano a fare concorrenza all’Occidente nella produzione di biancheria, di articoli di pelletteria, di scarpe sportive, di palloni di foot ball, ecc.. E’ da pensare che quando ciò non basterà l’Occidente ricorrerà ad altre motivazioni, come per es. l’orario di lavoro, i sistemi di sicurezza in fabbrica, ecc. L’Occidente vuole che tutto sia a propria immagine e somiglianza, cioè che i suoi valori siano i valori di tutti, che, per esempio, in tutto il mondo ci siano le stesse condizioni di lavoro esistenti nell’Occidente (assenza di lavoro minorile, orario di lavoro, sistemi di sicurezza sui luoghi di lavoro, giorni di riposo, ecc.). L’Occidente vuole che tutto il mondo sia a proprio immagine e somiglianza, però senza esagerare: solamente quando ciò non contrasti con i suoi interessi.

La globalizzazione è anche globalizzazione dei costumi. Il turismo, internet, l’emigrazione, le stazioni televisive che si riescono a captare anche in Paesi diversi, ecc. hanno portato alla “conoscenza”, all’incontro-scontro di costumi familiari, sessuali, culturali in genere, molto diversi dai propri. Ciò porta nei Paesi che non fanno parte del mondo occidentale a forti tensioni psicologiche – culturali perché quei costumi non sono adeguati alla loro realtà. Per certi versi questi aspetti sono visti più traumatici e pericolosi, che non la semplice contrapposizione economica fra diverse realtà tecnologico – culturali, perché investono la delicata sfera psico-emozionale e interpersonale dell’uomo. Anche in questo caso il mondo occidentale impone al resto del mondo i modi e i tempi del suo sviluppo culturale.

Seconda parte

1) Le cause del terrorismo

Quando negli anni scorsi si assisteva ai dibattiti televisivi in cui si trattava del terrorismo cosiddetto islamico si notava lo scontro fra l’interpretazione del terrorismo come reazione, da parte dei paesi poveri, alla enorme ricchezza e spreco di ricchezza da parte dei Paesi occidentali e quella (che non è una interpretazione ma solo una critica alla validità dell’interpretazione suddetta) per cui i terroristi (o almeno i loro capi) sono persone ricche o molto ricche.
La causa del terrorismo non è la povertà dei paesi da cui provengono i terroristi ma la mancanza di prospettive di sviluppo, dal non essere padroni del proprio destino, dal non essere produttori delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali, e la prospettiva che la situazione futura possa peggiorare ancora di più. L’artigianato “fisiologico” (intendendo con tale neologismo quell’artigianato che per una serie di motivi è strettamente legato alla realtà locale per cui esiste anche nelle realtà più povere), soprattutto l’artigianato produttrice di beni strumentali, non è più fecondo, si è inaridito, non ha dato e non darà origine a piccole, medie e poi grandi industrie. Le sue potenzialità sono state divorate e assorbite (“devoured or absorbed” avrebbe detto Darwin) da realtà più forti e già esistenti. Queste spiegazioni però sono valide solamente in una situazione di globalizzazione.
I paesi da cui provengono i terroristi (e cioè i Paesi del Magreb e del Medio Oriente) sono Paesi che hanno, dove più, dove meno, un accettabile tenore di vita. Questo tenore di vita, però, è dovuto soprattutto alle risorse provenienti dalla vendita del petrolio e del gas naturale e dalle rimesse degli emigrati in Arabia Saudita e negli altri paesi del golfo Persico: ma se le riserve di petrolio e di gas naturale si assottiglieranno sempre più (secondo molti esperti il picco di produzione per il petrolio è previsto nel 2010 e del gas naturale nel 2025, ma secondo altri esperti le date del picco sono più vicine se non addirittura che siano state superate ) e se da qui a dieci – quindici anni si riusciranno da un lato a rendere significativa la produzione di energia con le fonti energetiche rinnovabili (eolica, solare, bio-combustibili, ecc.) e altre fonti e dall’altro a risolvere il problema dell’intermittenza di alcune fonti energetiche rinnovabili con opportuni sistemi di accumulo, allora questa area geopolitica e culturale diventerà un hopeless continent, un continente senza speranza, come è avvenuto per l’Africa nera. Non è necessario che le altre fonti energetiche abbiano una enorme diffusione, ma che erodano alcuni punti in percentuale del consumo di petrolio affinché i giochi siano fatti. Non è neppure necessario che la produzione di petrolio sia alta ma che si vada oltre il picco di produzione affinché si inneschi una dinamica socio-economica-politica e militare incontrollabile che sicuramente non porterà bene ai Paesi in questione. Un’ulteriore forza che potrà portare ad una accelerazione di questa dinamica è rappresentata dalle preoccupazioni ambientali: se i cambiamenti climatici dovuti all’effetto serra provocato dal biossido di carbonio e dal vapore acqueo (prodotti a sua volta dall’utilizzo dei combustibili fossili per la produzione di energia) e i danni ambientali e sull’uomo dovuti all’inquinamento si faranno più evidenti allora ci sarà sempre più una riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili e una diminuzione del tenore di vita dei Paesi del Magreb e del Medio Oriente.
Come si vede i problemi sono diversi e nello stesso tempo intrecciati fra di loro. E’ evidente che le preoccupazioni ambientali sono di tipo completamente diverso dal problema dall’esaurimento delle risorse energetiche fossili e questo è a sua volta diverso dall’esistenza di altre risorse energetiche in grado di sostituirle nei tempi opportuni.

2) Gli obiettivi del terrorismo

Quali sono, a fronte di ciò che è stato detto, gli obiettivi del terrorismo?

Gli obiettivi del terrorismo consistono nella creazione, finché si è in tempo, di una frattura col mondo occidentale, nel raggiungimento dell’indipendenza socio-economica-politica e culturale e quindi nella creazione di una realtà con una “fonte normativa” interna, che, per quanto riguarda l’aspetto economico, significa la creazione di un mercato in buona parte autosufficiente ed in cui ci sia una discreta produzione di prodotti ad alto contenuto tecnologico e strategici. Solo in questo modo si creerebbe una realtà feconda, “pronta a subire ulteriori e più complesse trasformazioni” (avrebbe detto Charles Darwin) e che non corra il rischio di essere divorata o assorbita da una realtà già costituita e più forte.
Ma qual è la motivazione più profonda che spinge il terrorismo cosiddetto islamico nella sua azione?
L’antropologia strutturale, di cui Claude Levi-Strauss è il principale esponente se non il fondatore, dice che il comportamento umano segue delle regole inconsce che sono fisse nel tempo. Le vicende storiche non sono altro che il risultato delle applicazioni di queste regole.
La motivazione più profonda che spinge il terrorismo cosiddetto islamico nella sua azione è il desiderio, la volontà di ogni cultura, di ogni nazione, di ogni etnia, ecc., di essere padrone del proprio destino, di essere produttrice delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali, di stabilirne in prima persona i tempi e i modi, di non essere in balia di interessi esterni alla propria cultura, alla propria nazione, etnia, ecc. Fino a quando le condizioni di vita delle popolazioni del Magreb e del Medio Oriente dipenderanno dalla vendita del petrolio e del gas naturale e dall’importazione di tutti o quasi tutti i beni a tecnologia avanzata e strategici, il loro destino non sarà nelle loro mani ma in quelle del Mondo Occidentale sviluppato. Ma queste risorse termineranno e di fronte a queste popolazioni c’è la prospettiva di finire come l’Africa nera, un continente senza più speranza.

In questo modo viene riproposto in forme nuove quanto già avvenuto con la lotta di indipendenza delle colonie nord americane della Gran Bretagna e con le rivoluzioni socialiste: la possibilità dello sviluppo delle forze produttive con la creazione di una economia sostanzialmente autarchica. Per quanto riguarda gli Stati Uniti questo carattere autarchico fu abbastanza flessibile e riguardò gli inizi della sua storia. Le rivoluzioni socialiste però, diversamente da quanto avvenuto nelle colonie nord americane della Gran Bretagna, si sono basate su norme diverse da quelle del mondo ad economia di mercato. Penso che il motivo fondamentale dipenda dalle condizioni diverse in cui si trovarono le realtà che avrebbero poi dato luogo all’Unione Sovietica e alla Cina rispetto a quelle delle colonie nord americane. Lo sterminio delle popolazioni native americane, l’utilizzo di milioni di schiavi neri, la mancanza di strutture socio- economico – politiche vecchie che avrebbero fatto da freno allo sviluppo delle forze produttive, la provenienza degli immigrati dalla parte più sviluppata dell’Europa, immigrati con elevato livello tecnologico – culturale, ecc. sono solamente alcune delle condizioni che daranno origine agli Stati Uniti e che non esistono nelle realtà che daranno invece origine all’Unione Sovietica e alla Cina.
Il problema demografico è un elemento fondamentale da analizzare ai fini di una corretta interpretazione delle diverse storie di queste due realtà: l’America e l’Australia sarebbero state in grado di assorbire la popolazione che sarebbe stata espulsa da quelle realtà che poi hanno costituito l’Unione Sovietica e la Cina se in queste realtà si fosse creato uno sviluppo di tipo capitalistico? Si ricordi che nei primi anni del ventesimo secolo dall’Italia emigravano persino 800-900 mila persone all’anno. Dopo la prima guerra mondiale la maggior parte dei Paesi dove era diretta l’emigrazione italiana (come gli Stati Uniti e l’Argentina) misero dei limiti all’immigrazione. Gli Stati Uniti, per es., accettarono solamente 50 mila immigrati italiani all’anno. Facendo una proporzione fra la popolazione di quelle realtà che poi hanno costituito l’Unione Sovietica e la popolazione italiana bisogna chiedersi dove sarebbero andati i milioni di persone all’anno che sarebbero state espulse da quelle regioni in conseguenza di uno sviluppo di tipo capitalistico
Si conclude dicendo che le rivoluzioni socialiste hanno avuto come funzione predominante la creazione di sviluppo in realtà che sarebbero state tagliate fuori dallo sviluppo capitalistico ma che i movimenti che hanno fatto le rivoluzioni e le realtà che sono venute fuori da quelle rivoluzioni, per tutta una serie di motivazioni, hanno assunto caratteri (per esempio l’ateismo, la generalizzazione delle loro condizioni per cui la loro rivoluzione avrebbe dovuto riguardare tutte le realtà del mondo, una fortissima repressione interna, ecc ) che bisogna comunque spiegare ma che non rientra negli obiettivi di questo lavoro.
Gli argomenti appena trattati hanno avuto solamente il significato di dire che ogni area geo-politica ha dei problemi specifici, particolari e che richiedono quindi soluzioni particolari.

Un ulteriore chiarimento è necessario. La lettera del 1871 di Charles Darwin con cui è stato iniziato questo lavoro è da vedersi solamente come schema interpretativo, serve a farci capire come si evolve la realtà, non solamente quella naturale ma anche quella umana. Chiedersi cosa sarebbe successo se non ci fosse stato il colonialismo europeo è una domanda senza senso. “ …la ‘colpa’ dell’attuale stato di sottosviluppo di molti paesi del mondo è degli europei? Cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la colonizzazione? E’ forse scontato che, in assenza di vincoli imposti dall’esterno, le popolazioni sfruttate dall’economia coloniale e dipendente avrebbero potuto emanciparsi economicamente? E in ogni caso: possiamo dire che i contadini indiani o cinesi, le comunità sottoposte al dominio azteco o quelle dell’Africa pre – coloniale stessero necessariamente meglio prima dell’impatto con l’Europa?
Che la risposta sia negativa dovrebbe già risultare chiaro da tutto quanto scritto finora. I potenti indiani, la burocrazia cinese, la nobiltà azteca o inca, sfruttavano il lavoro delle classi inferiori a proprio vantaggio. Oppressione e schiavitù esistevano prima che gli europei la inventassero di nuovo. I mercanti musulmani o indù non erano meno privi di scrupoli di quelli portoghesi o olandesi. Le condizioni di riproduzione della vita umana in molte parti del mondo erano ancora tragicamente dipendenti dalle forze della natura e un’inondazione o una carestia potevano decimare intere popolazioni. D’altra parte non bisogna cadere nell’errore opposto, e più frequente, di considerare ogni formazione economica precapitalistica come necessariamente inferiore dal punto di vista del soddisfacimento dei bisogni degli individui che la componevano.” (25)

La storia però non si fa con i “se” e i “ma”. Dire che se non ci fosse stato l’intervento europeo le cose nei Paesi colonizzati sarebbero andate diversamente non ha nessun senso. La realtà si è evoluta così come è stato esposto. Il problema si pone ‘ qui ed ora ’, cioè quando una cultura prende coscienza delle possibilità che l’evoluzione della realtà le presenta allora le sfrutterà. La storia non si fa con i sé e i ma e soprattutto bisogna prescindere da giudizi morali se si intende fare un discorso serio. E’ come se la realtà naturale-umana si evolvesse in modo spontaneo: quando però l’uomo prende coscienza delle opportunità che l’autonoma evoluzione che quella realtà gli ha dato allora le utilizza a suo vantaggio. I problemi si pongono solamente quando si creano gli strumenti, cioè le condizioni per la loro soluzione. Per quanto riguarda il tema di questo lavoro che è l’eliminazione del terrorismo cosiddetto islamico e la creazione di un sano e locale sviluppo nei paesi del Magreb e del Medio Oriente bisogna dire che si è creata una nuova condizione: si chiama ‘imminente raggiungimento del picco di produzione dei combustibili fossili e loro successivo esaurimento’ e conseguente diminuzione delle risorse finanziarie dovute alla loro vendita. Ciò però avverrà in una situazione in cui l’area in questione avrà ancora una notevole parte delle risorse energetiche. Questa è la nuova realtà con cui il mondo occidentale da una parte e il Magreb e il Medio Oriente dall’altra dovranno fare i conti.

3) Una proposta di soluzione

In questo paragrafo si esporranno delle soluzioni politiche al problema del terrorismo e si esporranno una serie di problematiche a esse connesse.

Prima di esporre delle proposte di soluzione ai problemi posti è necessario chiarire le funzioni di questo lavoro.
Questo lavoro è da vedersi come la presa di coscienza dei problemi esistenti perché solamente in questo modo è possibile fare delle scelte coerenti. Ognuno metterà in campo le proprie posizioni, i propri interessi, al di fuori di ogni moralismo. La politica migliore è quella che risolve i problemi: nella storia non si fanno sconti in nome di principi morali né esistono esiti scontati. Se il terrorismo si risolvesse con operazioni di polizia oppure con una guerra allora significa che queste sarebbero le soluzioni migliori; ma qui si parte dal presupposto che queste non sono le soluzioni migliori, anzi che queste non sono le soluzioni. Diceva il filosofo tedesco G. W. F. Hegel nella sua opera “Fenomenologia dello spirito”, (vado a memoria) che non ci sarà amore fra gli uomini se non dopo che saranno percorsi tutti i gradi del reciproco estraniarsi che si esprimono nelle diverse forme e gradazioni dei rapporti sociali di dominio, se non dopo che ogni gruppo umano avrà messo in campo tutte le sue capacità per distruggere gli altri al fine di conservare se stesso.
A questo punto bisogna chiedersi: quali e quanti sono i gradi del reciproco estraniarsi? A cosa si farà ricorso per distruggere gli altri?
Penso che non ci siano risposte a questi interrogativi ma che una lezione si possa trarre da queste considerazioni: che la storia non fa sconti in nome di principi morali, che non ci sono colpi proibiti e che gli esiti non sono scontati. In precedenza trattando della globalizzazione è stato detto che l’Occidente ha imposto ai Paesi in via di sviluppo la norma del loro sviluppo tecnologico – culturale, portandoli ad eliminare le barriere commerciali, però contemporaneamente l’Occidente ha protetto i propri prodotti agricoli e industriali dalla concorrenza di quelli provenienti da quei Paesi. In questo modo l’Occidente ha mostrato ipocrisia ma il problema è che non risulta che qualcuno sia morto di ipocrisia o che sia stato male per questo. Le motivazioni che muovono la storia sono ben altre. Lo scontro fra mondo occidentale da una parte e Magreb e Medio Oriente dall’altro si fonda su motivazioni concrete e ben precise: il sicuro approvvigionamento di petrolio e gas naturale da parte dell’Occidente (ma anche di Cina, India e altri grandi Paesi) da un canto e l’ultima possibilità di creare un sano sviluppo locale da parte del Magreb e del Medio Oriente dall’altro canto prima che quelle risorse terminino.

Prima di esporre le soluzioni ai problemi che hanno portato al terrorismo cosiddetto islamico è ancora necessario mettere in evidenza anche tutte le altre condizioni che si sono create o che si creeranno e che renderanno il quadro più completo e più complesso.
La prima situazione da tenere presente sono ancora le conseguenze dello sconvolgimento sul tessuto sociale e produttivo operato dal colonialismo. I governi militari – socialisti andati al potere nella maggior parte dei Paesi del Magreb e del Medio Oriente dopo le lotte di liberazione hanno trovato molte difficoltà nel ricreare quel tessuto produttivo precedente la colonizzazione. I piani di industrializzazione messi in piedi e finanziati dalle entrate derivanti dalla vendita del petrolio e del gas naturale non hanno avuto successo dal punto di vista economico. Questi piani di industrializzazione erano in realtà attuati da imprese straniere, con macchinari e impianti importati dall’estero e con personale specializzato proveniente dall’estero. Il problema è rappresentato dalle enormi difficoltà nel creare un tessuto produttivo locale con un ruolo importante rappresentato da un artigianato fecondo e da piccole industrie produttrici di beni strumentali: sembra che il “peccato originale” rappresentato dal colonialismo e/o globalizzazione sia incancellabile.
Nel campo agricolo le cose non sono andate meglio e si è fatto spesso ricorso all’importazione per soddisfare il bisogno di generi alimentari. Il motivo per cui l’agricoltura sia stata emarginata dai piani di sviluppo approntati da questi regimi militari – socialisti è che con l’agricoltura un paese non si affranca dalla dipendenza dal mondo occidentale come invece sarebbe avvenuto se quei piani di industrializzazione avessero avuto successo. La stessa cosa è avvenuta in Unione Sovietica negli anni venti e trenta del secolo scorso. Solo con l’industrializzazione a tappe forzate e lo sviluppo dell’industria pesante l’Unione Sovietica avrebbe avuto delle possibilità di successo nel difendersi dall’imperialismo occidentale e dalla Germania nazista a cui l’imperialismo occidentale aveva affidato una funzione anti-sovietica. Anche l’Unione sovietica negli anni sessanta e settanta ha iniziato ad importare grano da alcuni Paesi occidentali e sembra che abbia sofferto tremende carestie negli anni venti e trenta.

Molto importante sarà la situazione che si creerà nel dopo-picco relativamente agli approvvigionamenti di petrolio e di gas naturale. Molto probabilmente la regolamentazione degli acquisti di petrolio e gas naturale avverrà attraverso uno strumento che potrebbe vedersi come un misto fra prezzo di mercato e contingentamento. Si stabiliranno cioè le quantità di risorse energetiche, soprattutto petrolio, che ogni nazione avrà diritto ad importare. Ma chi stabilirà le quote che spetteranno alle varie nazioni? Quali criteri si adotteranno per la loro determinazione? Quali poteri si metteranno in campo? Chi avrà più voce in capitolo in questo braccio di ferro? Si creeranno degli schieramenti in questa lotta? Si creerà un mercato delle quote, come sembra stia avvenendo per le quote di inquinanti in seguito al Protocollo di Kyoto? (26) Le nazioni economicamente più forti acquisteranno quote di petrolio dalle nazioni più povere? Le nazioni più povere riusciranno ad approvvigionarsi di petrolio e di gas naturale considerando gli alti prezzi di acquisto che si creeranno?
Per quanto riguarda la situazione dell’approvvigionamento degli Stati Uniti bisogna ricordare che solamente il 40% del petrolio consumato da questa nazione è prodotto internamente. Il 60% quindi è importato. Del petrolio importato poco più del 60% proviene dal continente americano (Canada, Messico, Venezuela e Colombia), circa il 15% proviene dall’Africa nera (soprattutto Nigeria e Angola), mentre il restante 25% circa proviene dal Medio Oriente. Per quanto riguarda l’Europa solamente due nazioni sono autosufficienti e addirittura esportatrici di petrolio: sono la Gran Bretagna e la Norvegia, grazie ai giacimenti off-shore del Mare del Nord. Ma questi giacimenti sono stati sfruttati intensamente e da alcuni anni hanno raggiunto il picco di produzione e si avviano ad un rapido esaurimento.
Visto il contesto che è stato tratteggiato, il posizionamento delle forze armate degli euro-americani in Medio Oriente (bisogna ricordare comunque che la posizione degli europei è variegata), iniziato nel 2002, è da interpretarsi in questa lotta che sta per iniziare ed ha il logico obiettivo per gli euro-americani di condurre il gioco in prima persona e che i rapporti economico-politici fra Occidente e queste aree geopolitiche siano come prima (è strano che dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle si usò l’espressione opposta per indicare tutto ciò [ si disse ” nulla sarà più come prima”]). Un altro degli obiettivi degli Stati Uniti potrebbe essere quello di prendere tempo in modo da spostare l’approvvigionamento dal Medio Oriente in direzione dell’Africa nera.

Quali sono le differenze fra lo scontro avvenuto in passato fra mondo occidentale e blocco dei Paesi socialisti e lo scontro che sta avvenendo adesso fra mondo occidentale (in cui forse bisogna comprendere alcuni paesi dell’ex blocco socialista) e il Magreb e Medio Oriente?
Prima di entrare in merito a questo argomento è bene sgombrare il campo dal concetto di modello. Ogni realtà si è evoluta in condizioni particolari, ha dovuto risolvere problemi particolari e ha creato delle soluzioni particolari. Non è possibile generalizzare queste realtà. Gli Stati Uniti sono il prodotto degli emigranti provenienti dall’Europa Occidentale (che a loro volta avevano alle spalle la rivoluzione liberale e la rivoluzione industriale, il Rinascimento, la civiltà greco-romana, ecc.), dello sterminio delle popolazioni native americane, dell’utilizzo degli schiavi africani, di territori enormi, di risorse naturali enormi, dall’assenza di una struttura socio-economica-culturale precostituita che avrebbe fatto da freno al loro sviluppo, ecc. L’Europa è pure essa il prodotto di una serie di condizioni di cui alcune simili a quelle viste per gli Stati Uniti. Un aspetto importante da tenere presente nella storia dell’Europa occidentale è stato la valvola di sfogo della sovrappopolazione rappresentata dall’emigrazione nelle Americhe e in Australia. Il modo di vita euro-americano affonda le radici nei fatti appena citati per cui, prescindendo da giudizi morali (da cui bisogna prescindere per fare un discorso serio), non può essere esteso ad altre realtà. Il problema si pone solamente quando diverse realtà entrano in contatto e quindi in conflitto.
Lo scontro avvenuto in passato fra mondo occidentale e mondo socialista è dipeso dalla necessità, soprattutto per quelle realtà che hanno dato vita all’Unione Sovietica e alla Cina, di creare condizioni di sviluppo in una situazione diversa da quella del Nord America e dell’Europa Occidentale; e nel fare ciò sono venute in contrasto con l’imperialismo occidentale. Bisogna anche aggiungere che l’Unione Sovietica e la Cina si sono poste a loro volta come modello per cui le loro rivoluzioni e le soluzioni a cui poi sono pervenute in campo economico e politico, avrebbero dovuto riguardare anche altre realtà.

E’ bene adesso abbandonare questo argomento (che ci porterebbe molto lontano) per ricordare qual’ è la posta in gioco in quella realtà geopolitica rappresentata dal Medio Oriente e dal Magreb: la posta in gioco è il sicuro approvvigionamento di petrolio e gas naturale da parte del mondo occidentale (ma anche da parte della Cina, dell’India e di altre realtà) e la possibilità per i Paesi del Magreb e del Medio Oriente di non perdere l’ultima occasione di utilizzare le risorse finanziarie derivanti dalla vendita di quelle risorse energetiche per raggiungere una situazione di sano e locale sviluppo.

Se le cause del terrorismo sono quelle indicate allora l’eliminazione del terrorismo stesso si ottiene creando condizioni di vero sviluppo. Come si possono raggiungere queste condizioni di vero sviluppo nei Paesi del Magreb e del Medio Oriente? Quali politiche fare?

Dopo avere trattato diversi argomenti affinché si avesse un quadro chiaro e completo della situazione che si è venuta a creare è arrivato il momento di indicare le possibili cose che concretamente si potranno fare per creare condizioni di vero sviluppo nei Paesi del Magreb e del Medio Oriente (27). Bisogna che questi Paesi condizionino il sicuro approvvigionamento di petrolio e di gas naturale da parte del mondo occidentale al raggiungimento delle seguenti politiche:

1. La creazione di un mercato in buona parte autosufficiente; questo significa che:
a) una discreta parte dei prodotti tecnologicamente avanzati e strategici che viene consumato in un dato Paese (o, per meglio dire, in un’area geopolitica culturalmente omogenea e unita) sia progettato e prodotto nello stesso posto e soprattutto che una discreta parte della produzione dei componenti necessari per i prodotti suddetti sia progettata e realizzata nel posto in cui questi vengono consumati: per raggiungere questo obiettivo è necessario che ci sia trasferimento di tecnologia e know-how dall’Occidente sviluppato verso i Paesi in oggetto;
b) in ogni accordo economico è bene che il pagamento avvenga in parte in natura, nel senso di avere in cambio non denaro ma frequenze a corsi professionali e a corsi di studi universitari nei Paesi dell’Occidente sviluppato e/o alla creazione di strutture scolastiche, centri di ricerca, ecc. nei Paesi del Magreb e del Medio Oriente, ecc.;
c) l’affidamento della creazione di impianti affidata a imprese estere deve comportare anche il trasferimento del know-how necessario affinché in seguito il Paese sia in grado di costruirli da solo;
d) finanziare l’istruzione con particolare riguardo alla formazione tecnica e professionale in modo da eliminare le condizioni che hanno portato all’inaridimento dell’artigianato;
e) fare in modo che i Paesi Sviluppati eliminino le barriere protettive dei loro prodotti nei confronti di quelli provenienti da altri Paesi o che quanto meno ci sia una certa reciprocità;

2) creazione di imprese miste occidentali – arabe che sfruttino le enormi risorse energetiche derivanti da fonti rinnovabili esistenti nel Magreb e Medio Oriente come la fonte solare;

3) notevole autonomia della propria vita e produzione culturale;

4) creare una comunità economica e politica fra i Paesi del Magreb e del Medio Oriente, per certi versi somigliante a quanto avvenuto in Europa, in modo da creare una realtà economico-politica con una massa critica sufficiente per mettere in campo le forze necessarie per arrivare alla fine a creare uno sviluppo in buona parte autosufficiente.

Le soluzioni sinteticamente indicate sono molto semplici ma sono difficili da raggiungere per il semplice motivo che ciò avrà delle ripercussioni sul Mondo Occidentale e sul suo modo di vita. Quelle soluzioni comporteranno delle modifiche nel tenore di vita della popolazione del Mondo Occidentale nel senso di un abbassamento dei consumi o quanto meno di un rallentamento del loro tasso di crescita; ma la conseguenza più importante non sarà quanto ora detto ma il fatto che le scelte non saranno fatte solamente dal Mondo Occidentale ma che anche altre realtà avranno voce in capitolo. Il Mondo Occidentale comprende chiaramente la posta in gioco, conosce il motivo del contendere, sa che trasferendo tecnologie e know-how in seguito dovrà confrontarsi su un piede di parità con i Paesi del Magreb e del Medio Oriente. Uno dei motivi più importanti dello scontro fra le colonie portoghesi, spagnole e inglesi, ecc. del continente americano con le rispettive madri patrie avvenne su questo punto. Vediamo cosa dice, a tale riguardo, Alberto Sciortino nel suo lavoro “ Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914” (il riferimento è alle colonie americane e ad ai loro rapporti con le madri patrie) : “ Alcuni settori, tra cui il tessile e la produzione di beni strumentali, avrebbero anche potuto fornire sostituti delle importazioni se avessero potuto acquisirne le condizioni tecniche. Ma ciò è proprio quello che gli spagnoli (come i portoghesi e gli inglesi nelle rispettive colonie) cercavano in tutto i modi di impedire. L’importazione di prodotti europei venne di fatto imposta anche laddove avrebbe potuto essere sostituita, perché lo stato spagnolo (al pari di quello portoghese, di quello inglese,…) usò il proprio potere per impedire lo sviluppo di manifatture in America e favorire le proprie esportazioni. Su questo terreno, alla fine del Settecento, inglesi e americani giungeranno allo scontro.” (28)
In Italia nel periodo 1919-1921, in quel periodo che poi venne definito “biennio rosso”, la società fu scossa da forti movimenti: il movimento operaio oltre a obiettivi più immediati come l’aumento dei salari e la riduzione dell’orario di lavoro voleva gestire in modo socialista le fabbriche e l’economia e lo slogan era “fare come in Russia”. Penso che a proposito delle soluzioni indicate per creare sviluppo nel Magreb e nel Medio Oriente lo slogan più appropriato sia “fare come in America” oppure “fare come in Giappone”, cioè ricalcare quanto fecero le colonie nord americane verso la madre patria inglese e il Giappone verso l’Occidente.
I primi emigranti del nord America provenivano dal centro e nord Europa e quindi erano portatori del superiore livello tecnologico-culturale di questa parte di Europa. Il livello tecnologico-culturale probabilmente era più alto della media se si tiene presente che i primi emigranti venivano fuori dalle lotte di religione che c’erano state soprattutto in Inghilterra e in Francia (probabilmente solamente i ceti più attivi della popolazione potevano avere dei principi religiosi con cui identificarsi fortemente fino ad arrivare allo scontro con altre fedi religiose). Il livello superiore delle forze produttive era in stretto rapporto dialettico con il sistema dei rapporti sociali, giuridici e politici per cui la superiorità di questi emigranti riguardava tutti questi aspetti. Non si può dire la stessa cosa degli emigranti del centro e sud america che provenivano dalla Spagna e dal Portogallo, nazioni con un livello tecnologico-culturale inferiore a quello degli emigranti del nord America. Queste due nazioni erano ai margini dello sviluppo tecnologico e culturale che iniziò col Rinascimento e che riguardò appunto l’Italia del nord, la Francia, l’Olanda, la Germania, l’Inghilterra e altre realtà del nord e centro Europa. Se l’Italia rimase ai margini dello sviluppo successivo fu per altri motivi, come quello, per esempio, che i genovesi e i veneziani non avevano alle spalle uno stato nazionale e centralizzato come le nazioni che guidarono la colonizzazione di interi continenti. Alberto Sciortino nel suo lavoro “Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914” fa risalire le cause dello sviluppo in alcune aree (come nell’area che poi diventerà gli Stati Uniti d’America) e il sottosviluppo in altre aree (come nei Paesi dell’America Latina) nella creazione nel primo caso del mercato e nel secondo caso nella mancata nascita del mercato stesso. Per mercato è da intendersi la presenza all’interno di una certa area geo-politica (come per es. quella che poi costituirà gli Stati Uniti d’America) di una forte domanda di beni che veniva soddisfatta in buona parte dalla produzione locale. Ciò è dipeso, secondo Sciortino, dal fatto che nelle colonie settentrionali degli Stati Uniti si diffuse l’insediamento di piccole unità di tipo familiare che lavoravano per se stessi: ci fu così una notevole ed egualitaria distribuzione del reddito, che veniva dirottato non verso beni di consumo di lusso importati ma verso beni di consumo prodotti localmente. Nell’America latina invece prevalevano il latifondo e le piantagioni. La maggior parte dei profitti finivano nelle tasche della nobiltà latifondista che li consumava in beni di lusso importati dalle madri patrie. La maggior parte della popolazione viveva invece in condizioni misere.
Diversamente da Sciortino qui si ritiene che la creazione di un mercato diffuso e inizialmente autosufficiente sia non la causa ma l’effetto di condizioni preesistenti come il diverso livello tecnologico – culturale (tecnologie produttive e rapporti sociali economici e giuridici). Se in America Latina non si creò un mercato interno è perché la popolazione era formata da una ristretta aristocrazia terriera e mineraria e da moltitudini di schiavi e servi. Si potrebbe chiedere: come mai questi schiavi e servi non si sollevarono per creare le condizioni per un mercato interno se è vero, come dice il materialismo storico, che per un ulteriore sviluppo delle forze produttive è necessario abbattere i rapporti sociali e giuridici che ne impediscono lo sviluppo? Il motivo è che il livello tecnologico delle forze produttive erano rappresentate dalle braccia di quelle masse di schiavi e servi che lavoravano nelle piantagioni e nelle miniere e che questi schiavi e servi non erano portatori di nuovi e superiori modi di produzione. Il modo per gli schiavi e i servi di sottrarsi a quelle condizioni di vita poteva essere la fuga nella foresta (come in realtà più volte avvenne).
E’ importante che un Paese produca una discreta parte di beni con elevato contenuto tecnologico e strategici, che produca cioè beni che hanno richiesto decenni se non secoli di storia per essere creati e che fanno la differenza nei rapporti economici internazionali. E’ necessario però che un Paese non solo produca quanto appena detto ma che faccia anche parte di una alleanza culturale forte che abbia voce in capitolo nelle decisioni economiche che hanno rilievo a livello mondiale. Un Paese forte produttore di caffè, di grano, di cacao, di carne, di the, ecc. è un Paese debole perché queste produzioni potrebbero essere spostate con facilità in altre aree perché non c’è nessuna barriera all’ingresso in queste produzioni. L’Italia potrebbe produrre cotone o canna da zucchero senza nessuna difficoltà (a patto che non ci siano problemi climatici) però l’Italia non riuscirebbe a produrre mainframe (elaboratori di notevole potenza) o macchine fotografiche se non li ha mai prodotti oppure se in passato ha abbandonato queste produzioni.
L’area nord americana aveva alle spalle fenomeni come il Rinascimento, la rivoluzione borghese, la rivoluzione scientifica e la rivoluzione industriale fra di essi strettamente e dialetticamente intrecciati. Questi fenomeni hanno avuto il loro baricentro in quella parte dell’Europa che va da nord Italia all’Inghilterra e la penisola iberica ne è stata esclusa. È infatti da quella parte dell’Europa che provenivano i primi colonizzatori del nord America. Forse l’unico fatto che ha portato la Spagna e il Portogallo a partecipare alla colonizzazione del continente americano è stato la presenza in esse di stati accentrati (la cui assenza nella penisola italiana ha portato invece al declino dei genovesi e dei veneziani)

Si è accennato in precedenza alle conseguenze sull’Occidente delle soluzioni proposte per l’eliminazione del terrorismo e la creazione di un sano e locale sviluppo nei Paesi del Magreb e del Medio Oriente. Ma quali sono le condizioni necessarie che si dovranno verificare in questi Paesi affinché quelle soluzioni si possano attuare?
Si è già detto della necessità che fra questi paesi si crei una comunità simile all’Unione Europea in modo da creare una realtà economico-politica con una massa critica sufficiente per mettere in campo le forze necessarie per arrivare alla fine a creare uno sviluppo in buona parte autosufficiente. Per comprendere come le soluzioni non siano facili basti ricordare i tentativi infruttuosi del leader libico Mu’ammar al- Qadhdhafi (Gheddafi) di creare accordi di unione con l’Egitto, la Siria, il Sudan e la Tunisia e quelli dell’Egitto di creare una unione con la Siria, ma la strada non può non essere che la suddetta. La creazione di questa comunità sarà il punto di arrivo di una lunga e travagliata fase di transizione che comporterà sicuramente degli sconvolgimenti a livello sociale e politico. La coscienza del picco di produzione del petrolio e del gas naturale, la prospettiva del loro esaurimento e, soprattutto, la coscienza che questa sia l’ultima occasione per avere un sano e locale sviluppo pena la caduta nella miseria come quella in cui si trova l’Africa nera, dovrebbe logicamente portare ad un compattamento delle varie formazioni sociali e dell’intera area geopolitica mentre per quanto riguarda l’aspetto politico ci saranno degli sconvolgimenti nelle strutture politiche e nelle élite politiche al potere nei Paesi in questione in modo che siano adeguate al nuovo compito che la storia pone loro di fronte. La formazione terroristica Al Qaeda penso che si sia mossa in questo senso perché i loro componenti provengono da diversi Paesi del Magreb e del Medio Oriente (si ripete che il terrorismo non è la soluzione ai problemi che si dibattono in questo lavoro).

L’occupazione dell’Iraq da parte degli euro-americani è da vedersi come il tentativo del mondo occidentale di impedire questo cambiamento nelle strutture e nelle élite politiche dei paesi del Magreb e del Medio Oriente e nell’assicurare un sicuro flusso di risorse energetiche al mondo occidentale alle stesse condizioni in cui è avvenuto finora.
E’ difficile fare una previsione sugli sviluppi di questa situazione e si fa l’ipotesi che se queste difficoltà persisteranno per molto tempo le tensioni nell’area aumenteranno, che il terrorismo sarà un fenomeno di lunga durata e che gli esiti sono incerti.

Terza parte

1) La cultura occidentale, l’Islam e il pensiero selvaggio

Il concetto di ‘pensiero selvaggio’ di Claude Levi-Strauss farà da filo conduttore di questa terza parte di questa analisi. Il “pensiero selvaggio che non è, per noi, il pensiero dei selvaggi, né quello di un’umanità primitiva o arcaica, bensì il pensiero allo stato selvaggio, distinto dal pensiero educato o coltivato proprio in vista di un rendimento”. (29)
Quasi sempre il terrorismo in questione è stato collegato all’Islam. Si parla di terrorismo islamico ma con più precisione si parla di terrorismo “cosiddetto” islamico per indicare la forzatura del collegamento.

E’ necessario prima di addentrarci nell’analisi chiarire il rapporto fra storia e religione.

Viene riportata una citazione per iniziare l’analisi.
“La religione islamica si regge, in definitiva, su cinque principi distintivi detti ‘pilastri della fede ’. In primo luogo sulla shahada, professione della fede, iman, che si riassume nel detto: ’Non c’è altro Dio fuori di Allah e Maometto è il suo inviato’. In secondo luogo sulla preghiera rituale (salat) cui prendono parte, tutti assieme, in un medesimo luogo e in medesima predisposizione d’animo, i fedeli, obbligatoria in cinque momenti della giornata: all’alba, a mezzogiorno, prima e dopo il tramonto, e a notte fonda. In terzo luogo viene il pellegrinaggio alla Mecca nella Casa di Allah, cui debbono partecipare i credenti almeno una volta nella loro vita. Il digiuno, ramadan, concepito come un equilibrato rapporto tra corpo e anima, rappresenta il quarto pilastro. Seguito da quello dell’elemosina legale (zakat), ricavata dal superfluo tratto dalle risorse dei fedeli, da destinare ad una cassa comune per venire incontro alle esigenze dei più poveri e per coprire le spese della comunità.
A questi cinque ‘pilastri’ se ne aggiunse nel tempo un sesto, quello della gihad, la ‘guerra santa ’, da combattere per affermare con la forza delle armi il dettato coranico e la ummah (30), nei confronti delle minacce da parte di altre confessioni o potentati avversi.
Il principio della gihad, che si manifesta già nella storia – sotto questo profilo, esemplare – della vita del Profeta, andò acquistando un peso sempre più rilevante dopo la sua morte e nel corso dei secoli successivi, fino all’età contemporanea.” (31)

Sia detto incidentalmente, penso che quest’ultimo valore (la gihad) si trovi in tutte e tre le religioni del libro, cioè nell’Ebraismo, nel Cristianesimo e nell’Islam.
Nella Bibbia, Antico Testamento, per esempio, sta scritto:
1 Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni: gli Hittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Perizziti, gli Evei, i Cananei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e potenti di te, 2 quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia. 3 Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, 4 perché allontanerebbero i tuoi figli dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. (32)

Può darsi che espressioni di questo tipo siano più frequenti nel Corano che non nel Vecchio e nel Nuovo Testamento ma penso che ragionando così non si individui bene il rapporto fra religione e storia. Vediamo cosa dice il discorso fondamentale del messaggio cristiano, quello denominato Discorso della Montagna, o delle Beatitudini:

20 Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
21 Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.
22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del figlio dell’uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
25 Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.
27 Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28 benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. 29 A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30 Dà a chiunque ti chiede; e a chi ti prende del tuo, non richiederlo. 31 Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 32 Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33 E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a coloro da cui sperate di ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
36 Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. 37 Non Giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; 38 date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio.” (32 bis)

La religione ha un suo significato particolare e l’esperienza religiosa è sicuramente fondamentale nella vita dell’uomo. Il teologo cattolico Hans Küng dà questa definizione della religione: “il termine ‘religione’ può essere circoscritto come segue: è religione la relazione, dispiegata vitalmente in una tradizione e in una comunità (nella dottrina, nell’èthos e per lo più anche nel rito) e realizzata in maniera social-individuale, a qualcosa che supera e abbraccia l’uomo e il suo mondo, a una suprema Realtà vera comunque concepita (l’Assoluto, Dio, il Nirvana). A differenza della filosofia, nella religione si ha a che fare contemporaneamente con un messaggio e un itinerario di salvezza.” (33)

Ma è possibile giudicare la storia delle nazioni e delle popolazioni cosiddette cristiane in base al messaggio di Cristo? Evidentemente no, altrimenti non si spiegherebbero i crimini e alle volte i genocidi fatti dai Portoghesi e dagli Spagnoli in centro e sud America, dagli Inglesi e poi dagli Americani in nord America e in Africa, dai Francesi in Algeria ed in molte zone dell’Africa nera, dagli Italiani in Libia, in Etiopia e Somalia, dai Tedeschi verso l’Unione Sovietica, gli Ebrei, gli Zingari, ecc. per non parlare delle tremende guerre che ci sono state fra le stesse nazioni dell’Europa cristiana.

In questa terza parte di questo lavoro si vuole dimostrare che non c’è nessuna relazione sostanziale fra religione islamica e terrorismo ma che l’uso della religione islamica (e, ovviamente, dello stesso terrorismo) è solamente strumentale al raggiungimento di una frattura fra le due diverse realtà, il Mondo Occidentale e sviluppato da una parte e il Magreb e il Medio Oriente dall’altra. L’analisi non è facile perché il fenomeno del terrorismo è sicuramente multi-fattoriale e soprattutto perché conosco poco sia la religione islamica che il pensiero di Claude Levi-Strauss a cui mi rifaccio per spiegare il collegamento fra terrorismo e Islam.

Si aggiunge e si sottolinea che in questo lavoro non si vuole dare nessun giudizio di valore sulla religione islamica perché ciò esula dall’obiettivo di questo lavoro.

2) L’Islam, la scienza primaria e il bricolage

Ma quali sono i meccanismi culturali che hanno portato i Paesi del Magreb e del Medio Oriente (e il terrorismo come espressione di questa realtà) a scegliere la religione islamica per contrapporsi al Mondo Occidentale? Quale rapporto esiste fra queste realtà e la religione islamica e fra la religione islamica e la cultura occidentale? Il rapporto è un rapporto sostanziale oppure la motivazione è un’altra?
Come è già stato detto nell’introduzione, il concetto di “pensiero selvaggio” di Claude Levi-Strauss farà da filo conduttore di questa terza parte di questo lavoro.

Ma vediamo le varie fasi che hanno portato la realtà socio-economico-culturale del Magreb e del Medio Oriente a scegliere la religione islamica per contrapporsi alla cultura del mondo occidentale: vediamo cioè come ha operato in questo contesto quello che Claude Levi-Strauss definisce ‘pensiero selvaggio’.
La realtà socio – economico – culturale del Magreb e del Medio Oriente che si esprime attraverso il terrorismo e che vuole creare una frattura col Mondo Occidentale, perché solamente così sarà possibile creare una realtà ricca e feconda di positive trasformazioni, ha preso coscienza di non avere strumenti adatti e concepiti espressamente per il suo progetto (che è appunto quello di creare una frattura con il mondo occidentale ) ed ha cercato in quanto già possiede, cioè nella sua storia e nella sua cultura, gli strumenti per contrapporsi al Mondo Occidentale, ha fatto l’inventario di ciò che è in suo possesso prima di scegliere quanto di più adatto per risolvere il problema che viene posto, ha scelto però qualcosa che possiede già un senso originale, nata per altre motivazioni e che per questo ne ridurrà la libertà di impiego: la scelta è caduta su un prodotto culturalmente pregiato come la religione islamica.
Adesso è il caso di spiegare l’accostamento fra il terrorismo in questione e l’Islam. E’ il caso di fare parlare Levi-Strauss riportando alcune citazioni del suo saggio “Il pensiero selvaggio”.
Cominciamo da dove parla de “l’esistenza di due diverse forme di pensiero scientifico, funzioni certamente non di due fasi diseguali dello sviluppo dello spirito umano, ma dei due livelli strategici in cui la natura si lascia aggredire dalla conoscenza scientifica: l’uno approssimativamente adeguato a quello della percezione e dell’intuizione, l’altro spostato di piano; come se i rapporti necessari che costituiscono l’oggetto di ogni scienza, neolitica o moderna che sia, fossero raggiungibili attraverso due diverse strade, l’una prossima alla intuizione sensibile, l’altra più discosta.
Qualsiasi ordinamento è sempre superiore al caos; anche una classificazione elaborata a livello delle proprietà sensibili è una tappa verso un ordine razionale. Se si dovesse classificare una raccolta di frutti vari in ordine alla relativa pesantezza dei corpi, si comincerebbe a buon diritto col separare le pere dalle mele, benché la forma, il sapore e il colore non abbiano alcun rapporto col peso e col volume: riunite assieme, le mele più grosse si distinguono dalle meno grosse più facilmente che mescolate con frutti di diverso aspetto. Si comprende già da questo esempio come, anche a livello della percezione estetica, la classificazione abbia un suo valore.
D’altronde, benché non vi sia nessuna connessione necessaria tra le qualità sensibili e le proprietà, esiste, almeno in un gran numero di casi, un rapporto di fatto; la generalizzazione di questo rapporto, anche se privo di fondamento nella ragione, può costituire, per lunghi periodi, una operazione praticamente e teoricamente redditizia. Non tutte le sostanze tossiche sono amare o danno bruciore, e lo stesso vale reciprocamente; eppure la natura è tale che è più proficuo per il pensiero e per l’azione procedere come se ad una equivalenza capace di soddisfare il sentimento estetico corrispondesse anche una realtà oggettiva. Esula dal nostro compito ricercare il perché di questo fatto, ma è probabile che certe specie che presentano caratteristiche più nette di forma, colore, od odore, schiudano all’osservatore quello che si potrebbe chiamare il droit de suite: il diritto cioè di postulare che queste caratteristiche visibili siano il segno di proprietà altrettanto specifiche, ma celate. Ammettere che il rapporto fra i due sia anch’esso sensibile (che un seme a forma di dente preservi dai morsi del serpente, che un succo giallo sia un farmaco per malattie biliari, ecc.) vale, a titolo provvisorio, più della noncuranza verso ogni connessione: la classificazione, anche se eteroclita e arbitraria, salvaguardia la ricchezza e la varietà di voci dell’inventario; stabilendo che bisogna tener conto di tutto, facilita il costituirsi di una ‘memoria’.” (34)
“Proprio per sua essenza, questa scienza del concreto doveva limitarsi a risultati diversi da quelli destinati alle scienze esatte e naturali, ma non per questo essa fu meno scientifica e i suoi risultati meno reali: questi ultimi anzi, impostisi diecimila anni prima degli altri, rimangono ancora e sempre il sostrato della nostra civiltà.
D’altronde, sopravvive fra noi una forma di attività che, sul piano tecnico, ci consente di renderci conto abbastanza bene delle caratteristiche, sul piano speculativo, di una scienza che preferiamo chiamare ’primaria’ anziché primitiva: questa forma è di solito designata col termine bricolage. ………. Oggi per bricoleur s’intende chi esegue un lavoro con le proprie mani, utilizzando mezzi diversi rispetto a quelli usati dall’uomo di mestiere. Ora, la peculiarità del pensiero mitico sta proprio nell’esprimersi attraverso un repertorio dalla composizione eteroclita che, per quanto esteso, resta tuttavia limitato: eppure di questo repertorio non può fare a meno di servirsi, perché non ha niente altro tra le mani. Il pensiero mitico appare così come una sorta di bricolage intellettuale, il che spiega le relazioni che si riscontrano tra i due. Come il bricolage sul piano tecnico, la riflessione mitica può ottenere sul piano intellettuale risultati veramente pregevoli e imprevedibili;…
………..
Vale la pena di approfondire ulteriormente questo paragone, perché ci facilita l’accesso ai rapporti reali esistenti fra i due tipi di conoscenza scientifica che abbiamo ora distinti. Il bricoleur è capace di eseguire un gran numero di compiti differenziati, ma, diversamente dall’ingegnere, egli non li subordina al possesso di materie prime e di arnesi, concepiti e procurati espressamente per la realizzazione del suo progetto: il suo universo strumentale è chiuso, e, per lui, la regola del gioco consiste nell’adattarsi sempre all’equipaggiamento di cui dispone, cioè a un insieme via via ‘finito’ di arnesi e di materiali, peraltro eterocliti, dato che la composizione di questo insieme non è in rapporto col progetto del momento, né d’altronde con nessun progetto particolare, ma è il risultato contingente di tutte le occasioni che si sono presentate di rinnovare o di arricchire lo stock o di conservarlo con i residui di costruzioni e di distruzioni antecedenti. L’insieme dei mezzi del bricoleur non è quindi definibile in base a un progetto (la qual cosa presupporrebbe, almeno in teoria, l’esistenza di tanti complessi strumentali quanti sono i generi di progetto, come accade all’ingegnere); esso si definisce solamente in base alla sua strumentalità, cioè, detto in altre parole e adoperando lo stesso linguaggio del bricoleur, perché gli elementi sono raccolti o conservati in virtù del principio che ‘ possono sempre servire ’. Simili elementi sono dunque specificati solo a metà: abbastanza perché il bricoleur non abbia bisogno dell’assortimento di mezzi e di conoscenze di tutte le categorie professionali, ma non tanto perché ciascun elemento sia vincolato ad un impiego esattamente determinato. Ogni elemento rappresenta un insieme di relazioni al tempo stesso concrete e virtuali: è un operatore, ma utilizzabile per una qualsiasi operazione in seno a un tipo.
Lo stesso avviene per gli elementi della riflessione mitica che si situano sempre a metà strada tra i percetti e i concetti.
………..
Il segno è un essere concreto quanto l’immagine, ma somiglia al concetto per il suo potere referenziale: sia l’uno che l’altro non sono relativi esclusivamente a se stessi, ma possono fare le veci di qualcosa d’altro. Il concetto possiede però, per questo rispetto, una capacità illimitata, mentre quella del segno è limitata. La differenza e la somiglianza risultano chiaramente dall’esempio del bricoleur. Osserviamolo all’opera: per quanto infervorato dal suo progetto, il suo modo pratico di procedere è inizialmente retrospettivo: egli deve rivolgersi verso un insieme già costituito di utensili e di materiali, farne e rifarne l’inventario, e infine, soprattutto, impegnare con essa una sorta di dialogo per inventariare, prima di sceglierne una, tutte le risposte che l’insieme può offrire al problema che gli viene posto. Egli interroga tutti quegli oggetti eterocliti che costituiscono il suo tesoro, per comprendere ciò che ognuno di essi potrebbe ‘significare’, contribuendo così alla definizione di un insieme da realizzare che alla fine, però, non differirà dall’insieme strumentale se non per la disposizione interna delle parti. Quel blocco cubico di quercia potrebbe servire da bietta per rimediare all’insufficienza di un asse di abete, oppure da piedistallo, cosa che permetterebbe di valorizzare la venatura e la levigatezza del vecchio legno. In un caso sarà estensione, nell’altro materia. Ma queste possibilità vengono sempre limitate dalla storia particolare di ciascun pezzo e da quanto sussiste in esso di determinato, dovuto all’uso originale per cui era stato preparato o agli adattamenti subiti in previsioni di altri usi. Come le unità costruttive del mito, le cui possibilità di combinazione sono limitate dal fatto di essere ricavate da una lingua dove possiedono di già un senso che ne riduce la libertà di impiego, gli elementi che il bricoleur raccoglie e utilizza sono ‘previncolati ’. D’altra parte la decisione dipenderà dalla possibilità di permutare un altro elemento nella funzione vacante, così che ogni scelta trarrà seco una riorganizzazione completa della struttura che non sarà mai identica a quella vagamente immaginata né ad altra che avrebbe potuto esserle preferita.
In certo qual modo anche l’ingegnere interroga, poiché anche per lui esiste un ‘interlocutore’, determinato dal fatto che i mezzi, le capacità e le conoscenze in suo possesso non sono mai illimitati, e che, in questa forma negativa, egli urta contro una resistenza con la quale gli è indispensabile venire a patti. Si potrebbe essere tentati di dire che l’ingegnere interroga l’universo, mentre il bricoleur si rivolge a una raccolta di residui di opere umane, cioè a un insieme culturale di sottordine.
…la caratteristica del pensiero mitico, come del bricolage sul piano pratico, è di elaborare insiemi strutturati, non direttamente per mezzo di altri insiemi strutturati, ma utilizzando residui e frammenti di eventi….
Il pensiero mitico, da vero bricoleur, elabora strutture combinando insieme eventi, o piuttosto residui di eventi, mentre la scienza, che ‘cammina’ in quanto si instaura, crea, sotto forma di eventi, i suoi strumenti e i suoi risultati, grazie alle strutture che fabbrica senza posa e che sono le sue ipotesi e le sue teorie. Ma non equivochiamo: non si tratta di due stadi o di due fasi dell’evoluzione del sapere, poiché i due modi di procedere sono ugualmente validi.” (35)

Qual è il significato di queste citazioni di Claude Levi-Strauss al fine della spiegazione dell’accostamento fra terrorismo e Islam e dell’uso della religione islamica? Si vuole dire in poche parole che la realtà culturale del Magreb e del Medio Oriente (e il terrorismo come sua espressione) ha l’obiettivo di contrapporsi al mondo e alla cultura occidentale, perché solamente in questo modo potrà avere delle possibilità di raggiungere un sano e locale sviluppo e non correre il rischio di disintegrarsi culturalmente e di piombare nella miseria più nera quando verranno meno le risorse provenienti dalla vendita del petrolio e del gas naturale; questa realtà non ha però ancora gli strumenti adatti e concepiti espressamente per raggiungere questo obiettivo, fa un continuo inventario di ciò che possiede, cerca quindi nella sua storia, nella sua cultura, in ciò quindi che già possiede, gli strumenti più adatti per risolvere il problema che viene posto, utilizza in modo strumentale ciò che è nel suo repertorio, nel suo inventario, per contrapporsi all’Occidente sviluppato; alla fine ha trovato qualcosa che però già possiede un senso originale, nata per altre motivazioni e che questo motivo ne ridurrà la libertà di impiego: e nel suo inventario c’è la religione islamica.
Ma qui viene fatta l’ipotesi che questa operazione, la scelta cioè della religione islamica per contrapporsi alla cultura occidentale, sia da vedersi come prima fase del processo di frattura col mondo occidentale, che quindi si è limitata a raggiungere risultati diversi, anche se propedeutici, da quelli che saranno raggiunti con una cosciente analisi storico-sociale e una cosciente e coerente teoria e prassi politica, con la creazione di strumenti adeguati per raggiungere l’obiettivo della creazione di una realtà feconda di sviluppo. Viene fatta quindi anche l’ipotesi che la prima forma di pensiero sia, in relazione al rapporto con un determinato evento, cronologicamente precedente alla seconda e che sia ad essa propedeutica, così come quanto mi pare dica Levi-Strauss che dà autonomia a queste due forme di pensiero ma dice pure che esse coesistono e si compenetrano.
Da una attenta analisi della storia del periodo della colonizzazione delle realtà del Magreb e del Medio Oriente viene fuori una simile dinamica. In Algeria l’elaborazione politica della resistenza all’occupazione francese e della lotta per l’indipendenza fu preceduta da un momento simbolico (che nel prosieguo di questo lavoro verrà denominato ‘istituzione totemica’). Dice I.M. Lapidus: “Sul piano psicologico la penetrazione francese venne a scontrarsi con un sentimento nazionale riposto nel profondo, che si attivò dapprima in espressioni simboliche, per assumere infine forma politica. Fecero la loro comparsa poemi ed epopee popolari che celebravano la gloria passata dell’Islam, a cui era ancora una volta riservato il fato di sconfiggere gli infedeli. Frustrazione e rabbia trasparivano da dimostrazioni, scioperi e sporadiche manifestazioni di violenza, espressioni del rifiuto, benché ancora informe e limitato, di accettare il persistere del potere francese.” (36)

Ma qual’ è il modo, con quali meccanismi culturali, avviene la contrapposizione fra Mondo Occidentale e sviluppato da una parte e Magreb e Medio Oriente dall’altra attraverso la contrapposizione fra la religione islamica e la cultura occidentale? Avviene nel senso che la realtà del Magreb e del Medio Oriente (e il terrorismo come sua espressione) usa la religione islamica come una istituzione totemica.
Questo sarà l’oggetto del prossimo capitolo.

3) L’Islam e la logica delle istituzioni totemiche

Prima di addentrarsi nell’analisi e al fine di una migliore comprensione di ciò che si vuole dire è bene fare alcuni esempi di quelli che penso siano casi di pensiero selvaggio in azione e di cui tutti siamo a conoscenza: gli spot pubblicitari, la candidatura di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche e la possibilità che Diego Armando Maradona potesse risolvere i problemi della squadra di calcio della città di Napoli.
La creazione di spot pubblicitari richiede delle capacità professionali molto elevate da parte del regista nonché enormi risorse finanziarie. Per capacità professionali si intende anche la capacità di leggere, interpretare i modi di pensare e le pulsioni più profonde della gente, di utilizzare strumentalmente (nel senso di indirizzarlo all’incremento delle vendite del prodotto pubblicizzato) quello che Claude Levi-Strauss chiama ‘pensiero selvaggio’, in modo che il consumatore da conquistare si senta come a casa sua, come nel grembo materno. Con gli spot pubblicitari si trasferisce la sensazione positiva di una battuta di spirito, l’ammirazione per la bravura artistica o sportiva del testimonial, la bellezza di un paesaggio, ecc. al prodotto pubblicizzato.
In campo politico è avvenuto in questi ultimi anni un caso di pensiero selvaggio in azione: i giudizi da molti dati dell’on. Berlusconi prima della sua elezione che lo portò alla Presidenza del Consiglio. Il discorso che veniva fatto era il seguente: come Berlusconi ha avuto successo in campo economico così avrà successo nella soluzione dei problemi dell’Italia.
In campo sportivo è avvenuto che alcuni anni fa la squadra di calcio del Napoli ha attraversato dei brutti momenti: ha accumulato molte sconfitte ed alla fine è retrocessa nelle serie inferiori. In quel periodo fu fatta da più parti l’ipotesi di fare tornare Maradona presso il club calcistico del Napoli per risollevarne le sorti (non so in che veste Maradona sarebbe tornato, se come allenatore oppure come presidente!).
Ciò che si vuole mettere in evidenza sia nel caso degli spot pubblicitari che nel caso del Presidente Berlusconi e di Maradona è che viene trasferito una sensazione positiva da un campo ad un altro campo molto diverso: i prodotti pubblicizzati potrebbero essere sia di buona che di cattiva qualità indipendentemente dell’ammirazione per la vita artistica o le prodezze sportive del testimonial; il Presidente Berlusconi potrebbe risolvere come potrebbe non risolvere i problemi dell’Italia indipendentemente dal successo della sua precedente attività imprenditoriale e Maradona avrebbe potuto o meno risollevare le sorti calcistiche dalla squadra del Napoli indipendentemente dal fatto di essere stato un fuoriclasse nella sua vita calcistica. Questo perché non c’è nessuna relazione fra la bravura artistica del testimonial e la qualità dei prodotti pubblicizzati; perché la realtà in cui opera un imprenditore è completamente diversa dalla realtà in cui opera un uomo politico: per es. fra un sindaco e i cittadini non ci sono i rapporti che ci sono fra imprenditore e dipendenti; il sindaco viene eletto dai cittadini e questi non sono stati da lui assunti; non gli corrisponde uno stipendio, non ha stipulato con loro un contratto di lavoro mentre l’imprenditore ha assunto i propri dipendenti, ha stipulato con essi un contratto di lavoro, gli corrisponde uno stipendio, non viene eletto dai suoi dipendenti, ecc.; perché le qualità di un fuori classe in campo calcistico sono per es. il tocco di palla, l’elevazione di testa, il dribbling, lo scatto fulmineo, la visione di gioco, ecc., mentre quelle di un allenatore o di un presidente di un club calcistico sono completamente diverse.
Fra questi esempi suddetti e il rapporto fra Islam e cultura occidentale c’è però una differenza che però non è di ragionamento ma di caso concreto. Nel caso degli spot pubblicitari e nei casi di Silvio Berlusconi e di Diego Maradona si cerca di trasferire rispettivamente la sensazione positiva suscitata dallo spot al prodotto pubblicizzato, il successo dell’attività imprenditoriale di Silvio Berlusconi alla sua futura attività politica e il successo in campo calcistico di Maradona alla soluzione dei problemi della squadra di calcio del Napoli, mentre nel secondo caso si cerca di mettere in evidenza la differenza fra cultura islamica e cultura occidentale per creare una frattura fra le realtà socio-economica e culturale del Magreb e Medio Oriente da una parte e il Mondo Occidentale dall’altra.

Agli inizi di questo capitolo è stato detto che il Magreb e il Medio Oriente (e il terrorismo come sua manifestazione) utilizzano la religione islamica come istituzione totemica per creare una frattura col Mondo Occidentale

I totem (specie vegetali e soprattutto animali) che danno il nome ai clan di molte popolazioni viventi allo stato primitivo (per es. clan dell’aquila, clan dell’orso, ecc) sono da vedersi, nelle differenze che le caratterizzano (le differenze cioè fra le caratteristiche fisico – comportamentali fra l’aquila e l’orso, ecc.), come dei codici che servono a comprendere la realtà più propriamente umana con l’introduzione in quest’ultima di interruzioni e contrasti (cioè di differenze) che sono le condizioni formali di un messaggio significante. Si utilizzano le caratteristiche fisico – comportamentali delle specie totemiche e le differenze fra di esse per comprendere e marcare i caratteri, le differenze, i contrasti esistenti a livello della realtà umana. Solamente marcando le differenze fra i vari clan sono possibili i rapporti fra di loro come per esempio lo scambio delle donne fra i clan nell’ambito dell’osservanza del tabù dell’incesto.
La cultura occidentale e l’Islam, nella misura in cui vengono viste in contrasto (si parla di scontro di civiltà), verrebbero utilizzati (da parte di chi contrappone la cultura occidentale e l’Islam) come istituzioni totemiche, nel senso che gli scarti differenziali (cioè le differenze) esistenti al livello delle due culture servirebbero solamente per marcare gli scarti differenziali delle diverse situazioni socio-economiche-culturali dell’Occidente da una parte e del Magreb e del Medio Oriente dall’altra e di garantirne la convertibilità ideale.
Adesso verranno riportate alcune citazioni di Claude Levi-Strauss per cercare di rendere comprensibile ciò che è stato detto.
”…le logiche pratico-teoriche che regolano la vita e il pensiero delle cosiddette società primitive sono mosse dall’esigenza di scarti differenziali. Questa esigenza, già evidente nei miti originari delle istituzioni totemiche….si fa sentire anche sul piano dell’attività tecnica, protesa verso risultati che portino il sigillo della durata e della discontinuità. Quello che più conta sia sul piano speculativo sia sul piano pratico, non è tanto il contenuto, quanto l’evidenza di questi scarti, che formano, per il semplice fatto di esistere, un sistema da usare come cifrario per la comprensione di un testo reso, dalla sua iniziale inintelleggibilità, simile a un flusso indistinto, e nel quale il cifrario introduce appunto interruzioni e contrasti, vale a dire le condizioni formali di un messaggio significante
. …..qualunque sistema di scarti differenziali – in quanto possiede carattere di sistema – consente l’organizzazione di una materia sociologica elaborata dall’evoluzione storica e demografica e composta di una serie teoricamente illimitata di contenuti diversi.
Il principio logico è di poter sempre opporre dei termini, che un impoverimento preliminare della totalità empirica permette di concepire come distinti. Come opporre, è un problema importante, rispetto a questa esigenza fondamentale, ma da prendersi in considerazione in seguito. In altre parole i sistema di denominazione e classificazione, che sono comunemente chiamati totemici, derivano il loro valore operativo dal loro carattere formale: sono specie di codici atti a fare da tramite a messaggi convertibili nei termini di altri codici e ad esprimere nel proprio sistema i messaggi ricevuti attraverso il canale di codici differenti. L’errore degli etnologi classici è stato di voler reificare questa forma, di vincolarla a un contenuto determinato, quando invece essa si presenta all’osservatore come un metodo per assimilare ogni specie di contenuto. Lungi dall’essere una istituzione autonoma, definibile in base a caratteristiche intrinseche, il totemismo, o quello che passa per tale, corrisponde a certe modalità arbitrariamente isolate di un sistema formale, la cui funzione è di garantire la convertibilità ideale dei diversi livelli della realtà sociale”. (37)

“Come abbiamo già suggerito, le nozioni e le credenze di tipo ‘totemico’ meritano attenzione soprattutto perché costituiscono, per le società che le hanno elaborate e adottate, una sorta di codici che permettono, nella forma di sistemi concettuali, di assicurare la convertibilità dei messaggi propri di ciascun livello, fossero pure lontani gli uni dagli altri come quelli che dipendono esclusivamente, a quanto sembra, dalla cultura e dalla società, vale a dire da rapporti degli uomini tra loro, oppure da manifestazioni di ordine tecnico ed economico che sembrano piuttosto riguardare i rapporti dell’uomo con la natura.” (38)

“In un altro lavoro…, abbiamo insistito su una caratteristica fondamentale ai nostri occhi, delle istituzioni che sono chiamate totemiche: esse fanno appello a un’omologia ma non tra gruppi sociali e specie naturali bensì tra le differenze che si manifestano da una parte a livello dei gruppi, dall’altro a livello delle specie. Queste istituzioni si reggono dunque sul postulato di una omologia tra due sistemi di differenze, situati, l’uno nella natura, l’altro nella cultura.” (39)

“Abbiamo già stabilito che le credenze e le usanze eterogenee, arbitrariamente raccolte sotto l’etichetta di totemismo, non si basano sull’idea di un rapporto sostanziale tra uno o più gruppi sociali e uno o più regni naturali. Esse si ricollegano ad altre credenze e ad altre pratiche, direttamente o indirettamente connesse a schemi classificatori che permettono di cogliere l’universo nella forma di totalità organizzata.” (40)

“ …la diversità delle specie fornisce all’uomo la più intuitiva delle immagini di cui possa disporre, e costituisce la più diretta manifestazione che egli riesca a cogliere della discontinuità ultima del reale: è l’espressione sensibile di un codice oggettivo.” (41)

“ Certamente Comte assegna ad un dato periodo storico – le età del feticismo e del politeismo – questo ‘pensiero selvaggio‘ che non è, per noi, il pensiero dei selvaggi, né quello di un’umanità primitiva o arcaica, bensì il pensiero allo stato selvaggio, distinto dal pensiero educato o coltivato proprio in vista di un rendimento. Questo tipo di pensiero ha fatto la sua apparizione in certi punti del globo e in certi momenti storici, ed è naturale che Comte, privo di informazioni etnografiche (e del senso etnografico che si acquisisce soltanto raccogliendo e trattando questo genere di informazioni), abbia colto il primo nella sua forma retrospettiva, come un tipo di attività mentale anteriore al secondo. Oggi siamo in grado di capire meglio come entrambi possano coesistere e compenetrarsi, così come possano coesistere e incrociarsi (almeno in linea di diritto) le specie naturali, tanto quelle rimaste allo stato selvatico quanto quelle che sono state trasformate dall’agricoltura e dall’addomesticamento, benché – per il fatto stesso dello sviluppo e delle condizioni generale che questo richiede – l’esistenza delle seconde minacci di far estinguere le prime. Ma, che lo si deplori o che ci si rallegri, esistono ancora alcune zone in cui il pensiero selvaggio si trova, come le specie selvatiche, relativamente protetto: è il caso dell’arte, cui la nostra civiltà accorda lo statuto di parco nazionale con tutti i vantaggi e gli inconvenienti che comporta una formula tanto artificiale; e soprattutto è il caso di tanti settori della vita sociale ancora incolti ove, per indifferenza o per impotenza, e senza che il più delle volte sappiamo il perché, il pensiero selvaggio continua a prosperare.” (42)

“Il pensiero selvaggio non distingue il momento dell’osservazione da quello dell’interpretazione, così come non si registrano prima, osservandoli, i segni emessi da un interlocutore per cercare di comprenderli dopo: l’emissione sensibile produce immediatamente il suo significato.” (43)

“ Il totemismo si fonda fra un’omologia postulata tra due serie parallele – quella delle specie naturali e quelle dei gruppi sociali – i cui rispettivi termini, non dimentichiamolo, non si assomigliano a due a due; soltanto la relazione globale tra le serie è omomorfica: correlazione formale tra due serie di differenze, ognuno dei quali costituisce un polo di opposizione.” (44)

“ Le classificazioni totemiche hanno un doppio fondamento oggettivo: le specie naturali esistono veramente ed esistono proprio in forma di una serie discontinua; dal canto loro i segmenti sociali esistono anch’essi. Il totemismo, o ciò che viene così definito, si limita a immaginare un’omologia di struttura tra le due serie, ipotesi perfettamente legittima poiché i segmenti sociali sono espressamente creati ed è in potere di ogni società rendere plausibile l’ipotesi conformando ad essa le sue norme e le sue rappresentazioni.” (45)

“In un altro lavoro abbiamo brevemente rievocato i miti di origine delle istituzioni che vengono chiamate totemiche e abbiamo dimostrato che, anche in paesi lontani, e nonostante le varietà di contenuto, questi miti ci trasmettono lo stesso insegnamento e cioè: 1) queste istituzioni si fondano su una corrispondenza globale tra due serie, non su corrispondenze particolari tra i loro termini; 2) tale corrispondenza è metaforica, non metonimica; 3) essa infine si manifesta solo che dopo che ogni serie è stata precedentemente impoverita da una soppressione di elementi, in modo che la loro discontinuità interna risalti più nettamente.” (46)

“ Esiste…..una specie di antipatia fondamentale tra la storia e i sistemi di classificazione. Questo spiega forse quello che potrebbe essere chiamato il ‘vuoto totemico’, poiché tutto ciò che potrebbe, anche allo stato di vestigia, ricordare il totemismo, sembra stranamente assente nell’area delle grandi civiltà dell’Europa e dell’Asia. La ragione sta nel fatto che queste civiltà hanno scelto di spiegarsi a se stesse attraverso la storia e che questa impresa è incompatibile con quella che classifica le cose e gli esseri (naturali e sociali) mediante gruppi finiti. Le classificazioni totemiche suddividono i loro gruppi in una serie originale ed una serie derivata: questa comprende i gruppi umani nel loro aspetto culturale, l’altra le specie zoologiche e botaniche nel loro aspetto soprannaturale, con una asserita priorità di esistenza nei confronti della prima serie che in qualche modo ha generato. Tuttavia la serie originale continua a vivere nella diacronia attraverso le specie animali e vegetali, parallelamente alla serie umana. Le due serie esistono nel tempo, ma fruiscono di un regime atemporale poiché, reali entrambe, avanzano insieme nel tempo, restando uguali a quelle che erano al momento della loro separazione. La serie originale è sempre lì, pronta a servire da sistema di riferimento per interpretare e correggere i cambiamenti che avvengono nella serie derivata. Teoricamente, se non praticamente, la storia è subordinata al sistema. Ma quando una società si mette dalla parte della storia, la classificazione in gruppi finiti diventa impossibile, poiché la serie derivata, invece di riprodurre una serie originale, si confonde con essa per formare una serie unica, di cui ogni termine è derivato rispetto a quello che lo precede e originale rispetto a quello che lo segue. Invece di postulare una volta per tutte un’omologia tra due serie, ciascuna per conto proprio finita e discontinua, si postula un’evoluzione continua nell’ambito di una sola serie che accoglie un numero illimitato di termini.” (47)

Per riassumere e per ribadire quanto detto agli inizi di questo capitolo e del precedente, la realtà socio-economica e culturale del Magreb e del Medio Oriente ha l’obiettivo di creare una frattura col mondo occidentale, di raggiungere l’indipendenza socio-economica e culturale dal mondo occidentale, perché solo in questo modo è possibile creare una realtà autonoma, feconda e ricca e che non corra il rischio di disintegrarsi, di essere divorata e assorbita dal mondo occidentale stesso, di diventare un hopeless continent, un continente senza speranza come l’Africa nera. Uno degli obiettivi fondamentali di ogni cultura, viene ribadito, è di essere padrone del proprio destino. La realtà socio-economica e culturale del Magreb e del Medio Oriente (e del terrorismo come sua espressione) è andata alla ricerca degli strumenti per contrapporsi al mondo occidentale, ha fatto l’inventario di ciò che possiede e ha cercato gli strumenti per fare questo: la scelta è caduta sulla religione islamica. Ma la religione islamica, si è cercato di spiegare con le citazioni di Claude Levi-Strauss, ha un senso originale, nel senso che è nata per altri motivi, e che per questo il suo impiego sarà limitato e, soprattutto, avrà un significato particolare: servirà solamente a marcare, spostandosi su un altro campo, come fanno le istituzioni totemiche, la differenza fra la realtà socio-economica e culturale del Magreb e del Medio Oriente da una parte e il mondo occidentale dall’altra, perché solo in questo modo questa contrapposizione inizia a diventare intellegibile. Si aggiunge ancora che, così come non c’è nessuna corrispondenza sostanziale fra le istituzioni totemiche e le realtà umane così non c’e nessuna corrispondenza sostanziale fra il terrorismo e la religione islamica e nessuna contrapposizione sostanziale fra la cultura islamica e la cultura occidentale: se così non fosse dovremmo avere delle forti contrapposizioni fra il Giappone e il mondo occidentale (di cui tra l’altro e per molti versi il Giappone fa parte) solamente perché la religione più diffusa in Giappone è lo Shintoismo, e non avremmo dovuto avere le tremende guerre che ci sono state fra le nazioni dell’Europa cristiana, non avremmo dovuto avere l’olocausto, ecc.
L’utilizzo della religione islamica come istituzione totemica, cioè come cifrario che introduce interruzioni e contrasti con la cultura occidentale, potrebbe anche vedersi, d’accordo con quanto mi pare voglia dire Claude Levi-Strauss a proposito del “pensiero selvaggio” quando dice che le due forme di pensiero “possano coesistere e compenetrarsi”, solamente come la prima modalità di accostarsi al problema, per poi cedere il passo alla presa di coscienza dei problemi esistenti e alla ricerca razionale delle loro soluzioni. La successione fra le due modalità di pensiero avverrebbe non nella storia, come diceva Comte (rimproverato a tale riguardo da Levi-strauss) ma in relazione ad ogni singolo evento.

Una interpretazione simile penso si possa dare dello scontro in Nord Irlanda fra la comunità cattolica e quella protestante: il carattere cattolico del terrorismo dell’IRA ha avuto essenzialmente la funzione totemica di marcare le differenze socio-economico-politiche fra le due comunità.

Ritornando al cosiddetto scontro di civiltà bisogna chiedersi chi ha fatto la prima mossa, o, per meglio dire, chi è motivato alla ricerca dello “scontro di civiltà”?
Tenendo conto del contesto che è stato delineato la risposta è ovvia: è il mondo islamico o, per meglio dire, il Magreb e il Medio Oriente che in questo modo cercano di separarsi dal Mondo Occidentale per creare una realtà feconda di sano e locale sviluppo, per essere attori del loro destino, per essere produttori delle loro condizioni sociali, economiche, politiche e culturali, per evitare il rischio di disintegrarsi dal punto di vista economico, sociale, politico e culturale.

Questi sono solamente spunti (spero validi) per una riflessione più chiara e approfondita del collegamento fra Islam e terrorismo.

Note bibliografiche

(1) Il significato che viene dato a “Magreb e Medio Oriente” è molto flessibile: alle volte si fa riferimento alla religione islamica e quindi comprende anche l’Iran, il Pakistan e altri Paesi; alle volte si fa riferimento alle risorse energetiche e ciò dovrebbe portare ad escludere alcuni di questi Paesi ma a comprendere quelli che, non ricchi di risorse energetiche, ricevono consistenti rimesse da parte dei propri emigranti in Arabia Saudita e negli altri Paesi del golfo Persico; altre volte si fa riferimento alla lingua e cultura araba e quindi si dovrebbero escludere Paesi etnicamente e linguisticamente non arabi come l’Iran, il Pakistan, ecc.
Come si vedrà dallo svolgimento del lavoro il concetto a cui si farà riferimento sarà la possibilità per quelle aree di essere padroni del proprio destino, produttrici delle proprie condizioni economiche, sociali, politiche e culturali

(2) The life and letters of Charles Darwin – London: John Murray, Albemarle Street. 1887. terzo volume, pagina 18 (nota in fondo alla pagina)
(3) Claude Levi-Strauss, Mito e significato, il Saggiatore, Prima edizione Net, marzo 2002, pagg. 37-38
(4) in alcuni casi la sedentarizzazione ha preceduto l’introduzione della coltivazione delle piante e dell’allevamento
(5) Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, 1998 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pagg. 199-200
(6) Ira M. Lapidus è professore di storia presso la University of California di Berkeley
(7) Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, III vol. 1995 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino, pagg.3-4-5-6
(8) idem, pag.10
(9) l’espressione “peccato originale” (non a caso tra virgolette) in questo lavoro non avrà nessun significato morale ma sarà utilizzato con lo stesso significato di “causa”
(10) Alberto Sciortino, Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914 Edizioni Associate, Roma, 2004, pagg. 133-134
(11) Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, III vol. 1995 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino, pag. 143
(12) idem, pagg. 144-145
(13) idem, pag. 73
(14) idem, pag. 74
(15) Ulama: (plurale di ‘alim, mallam, mullah, molla, ecc.) termine che indica la collettività degli studiosi o dei dotti dell’Islam
(16) Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, III vol. 1995 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino, pag. 77
(17) Paradigma post-petrolifero e popolazione di Walter Youngquist, le citazioni sono riportate nel II, III e IV capitolo; il documento è pubblicato sul sito www.aspoitalia.net
(18) Alberto Sciortino, Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914 Edizioni Associate, Roma, pag. 550
(19) Massimo Fini , Il vizio oscuro dell’Occidente, Marsilio Editori, Venezia 2002, pagg. 40-41-42
(20) Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2002, pag. 6
(21) Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, 1998 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 192
(22) Alberto Sciortino, Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914 Edizioni Associate, Roma, pag. 548
(23) idem, pag. 548
(24) idem, pag. 524
(25) idem, pag. 559
(26) in base al protocollo di Kyoto è possibile la compravendita dei cosiddetti diritti di inquinare: una nazione che non riuscisse a stare sotto i limiti fissati dal protocollo di Kyoto potrebbe acquistare questi diritti dalle nazioni che starebbero al di sotto dei limiti loro assegnati. E’ appena il caso di aggiungere che ad acquistare i diritti di inquinare saranno sicuramente le nazioni sviluppate mentre a venderli saranno i Paesi incapaci, per la loro povertà, di inquinare.
(27) Incidentalmente bisogna dire che il problema principale di fronte a cui si trova l’umanità è l’esplosione demografica e che l’obiettivo dovrebbe essere quello di una forte riduzione della popolazione.
(28) Alberto Sciortino, Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914 Edizioni Associate, Roma, pagg. 139-140
(29) Claude Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, il Saggiatore, Milano 2003, pag. 240
(30) Ummah: nuova legge di aggregazione comunitaria, formulata da Maometto, basata sulla fede in un unico Dio, creatore dell’universo e degli uomini che lo abitano, e in una serie di norme.
(31) Carlo Tullio-Altan, Le grandi religioni a confronto – L’età della globalizzazione, Giangiacomo Feltrinelli Editore, maggio 2002, pagg. 144-145
(32) Bibbia, Vecchio Testamento, Deuteronomio 7, 1-4, Versione C.E.I./Gerusalemme
(32 bis) Bibbia, Nuovo Testamento, Luca, 6, 20-38, Versione C.E.I./ Gerusalemme
(33) H. Küng et al., Christentum und Weltreligionen (1984), trad. it. Milano 1986, p. 6 (citazione riportata in Carlo Tullio-Altan, Le grandi religioni a confronto – L’età della globalizzazione, Giangiacomo Feltrinelli Editore, maggio 2002, pag. 267)
(34) Claude Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, il Saggiatore, Milano 2003, pagg. 28-29
(35) idem, pagg. 29-30-31-32-34
(36) Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, III vol. 1995 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino, pagg. 147-148
(37) Claude Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, il Saggiatore, Milano 2003,, pagg. 89-90
(38) idem, pag. 104
(39) idem, pag. 130
(40) idem, pag. 151
(41) idem, pag. 153
(42) idem, pag. 240
(43) idem, pagg. 243-244
(44) idem pagg. 245-246
(45) idem, pag. 248
(46) idem, pag. 249
(47) idem, pag. 253

Fonte foto: dal blog nonsoloimpresa.blogspot.com

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Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

2 Commenti

  1. All’interno della lunga analisi fatta in questo lavoro sulle cause e gli obiettivi del terrorismo cosiddetto islamico e sulla situazione e le prospettive nell’area del Magreb e del Medio Oriente c’è scritto tra l’altro :”E’ difficile fare una previsione sugli sviluppi di questa situazione e si fa l’ipotesi che se queste difficoltà persisteranno per molto tempo le tensioni nell’area aumenteranno, che il terrorismo sarà un fenomeno di lunga durata e che gli esiti sono incerti.” e “… sono da aspettarsi profondi cambiamenti nelle élite e/o nelle strutture politiche dei Paesi del Magreb e del Medio Oriente”.
    Purtroppo quanto successo a Parigi nella sera del 13 novembre 2015 confermano quelle previsioni fatte in questo lavoro che ho redatto nel 2004-2005.
    Invito gli amici del blog a intervenire sulle analisi fatte nel lavoro esposto e a dare il loro contributo.
    Armando Boccone

  2. È da molti anni ormai che il mondo (tutto il mondo, dall’Europa agli USA e, soprattutto, al Medio Oriente) è funestato da attacchi terroristici.
    Ciò che mi colpisce è la mancanza di analisi al riguardo.
    Qualche mese fa ho letto un piccolo saggio di Marshall McLuhan (con l’aspetto grafico curato da Quentin Fiore) dal titolo “Il medium è il massaggio”. Il saggio è stato scritto a metà degli anni sessanta del secolo scorso.
    Mi hanno colpito tante cose contenute in questo piccolo saggio anche se penso che alcune delle previsioni fatte non si siano avverate.
    Mi ha colpito la seguente previsione:
    “Le vecchie idee tradizionali dei pensieri e delle azioni privati e isolati (cioè i modi delle tecnologie meccaniche) sono seriamente minacciate da nuovi metodi di correzione elettrica istantanea delle informazioni, dall’archivio computerizzato elettricamente: quell’unica enorme rubrica dei pettegolezzi che non perdona e non dimentica, che non consente scampo né cancellazione dei passati “errori”.
    Questa previsione è davvero miracolosa visto che è stata fatta a metà degli anni sessanta del secolo scorso, quindi parecchi decenni prima che nascessero Facebook, Twitter e quant’altro,
    Altre previsioni di Marshall McLuhan non penso che si siano realizzate.
    Dice questo scienziato a pag. 61 del saggio citato:
    “Si dice che nelle società tribali si nota una reazione comunissima: quando si verifica qualche evento orribile, la gente, invece di incolpare qualcuno del misfatto, dice: “Come dev’essere spaventoso sentirsi in quel modo.”
    Poi continua Marshall McLuhan: “Tale sensazione è un aspetto della nuova cultura di massa verso la quale ci stiamo avviando: un mondo di partecipazione totale in cui ognuno si sente profondamente coinvolto con tutti gli altri e in cui nessuno può veramente immaginare che cosa sia la colpa privata.”
    Questa previsione non penso proprio che si sia realizzata: quando avvengono dei fatti terroristici, come quello avvenuto qualche giorno fa a Londra, si parla a vanvera di estremismo islamico quando si sa chiaramente che quei giovani non avevano mai messo piede in una moschea, che facevano abbondante uso di alcool e droghe, che frequentavano prostitute, ecc.
    Forse per l’Occidente sarebbe troppo compromettente farsi certe domande e sicuramente ci sarebbe un prezzo troppo alto da pagare.
    Cordiali saluti

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