Lessico familiare: tre parole da cancellare

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sviluppo sostenibile ?
contrapposizione tra terra verde e deserto

Sempre più spesso mi imbatto in servizi giornalistici, ma anche in chiacchiere da bar e in pubblicità radiofoniche e televisive che usano una di queste tre parole: sostenibile, green, governance.

Ormai il solo sentirle pronunciare mi provoca l’orticaria. Mi sale una rabbia dentro che se avessi di fronte colui che le pronuncia lo prenderei per il bavero della giacca e gli chiederei di rendere conto di quello che dice. I motivi di questa mia fobia sono molteplici, ma non vorrei accomunare l’abuso di questi tre vocaboli in un unico giudizio. Prendiamole in esame una alla volta.

Cominciamo dalla più innocua.

GOVERNANCE E’ un anglicismo che appesta come tanti altri la lingua italiana. E già qui c’è il primo motivo di odio, perché usarlo è sintomo di sudditanza culturale. Ci dice Wikipedia che governance si riferisce all “insieme di regole, di ogni livello che disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente pubblico o privato.” Praticamente oggi in politichese parlare di governance vuol dire che non basta approvare un provvedimento (vedi il Recovery Plan, che poi si dovrebbe chiamare “Piano di ripresa”) ma che bisogna indicare anche i soggetti, gli enti e le regole che ne cureranno l’attuazione. Siamo alla scoperta dell’acqua tiepida. E’ ovvio che per rendere operativa una misura o una riforma o un progetto ci vogliano gli uomini che se ne occupino. Il problema sta in questo sdoppiamento forzato. Un governo approva, poi qualcun altro attua. E’ uno sdoppiamento pensato a posta per gestire la cosa pubblica secondo logiche clientelari e di lottizzazione. Parola assolutamente da abolire in quanto superflua.

La seconda è GREEN. Altro anglicismo inutile. Anche i muri sanno che green vuol dire verde, inteso non come colore, ma come esigenza ambientalista. Ciò che è “green” rispetta l’ambiente. Per questo si parla di economia green, di combustibili green, di automobili green, ecc. Qui siamo all’apoteosi dell’ipocrisia. Di realmente green c’è solo l’insalata coltivata nell’orto, il resto sono supercazzole. L’economia per essere green dovrebbe abolire lo sfruttamento intensivo delle risorse, il combustibile più green che esista sono solo le scoregge e gli escrementi animali, le uniche automobili green sono quelle che stanno ferme in garage! Però riempirsi la bocca di green fa figo e permette ai lestofanti della politica di continuare a perpetrare gli stessi danni all’ambiente facendo finta di occuparsi del risanamento.

La terza e la più odiosa è SOSTENIBILE. L’aggettivo sostenibile si riferisce ovviamente all’ambiente. Herman Daly ha indicato in questi 3 punti  la nozione scientifica di sostenibilità:

• il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;
• l’immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell’ambiente non deve superare la capacità di carico dell’ambiente stesso.
• lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo.

Un prodotto sarebbe dunque sostenibile quando nel produrlo e successivamente nell’usarlo questi tre punti venissero rispettati. Lo stesso dovrebbe valere per un nuovo progetto da attuare o per una ristrutturazione, per una nuova linea di detersivi o di cosmetici, per una vacanza in crociera, per un viaggio all’estero e così via. Ora, secondo voi, quando sentiamo dire che un prodotto è sostenibile è perché chi lo produce si è preso la briga di verificare che rispetti i tre suddetti punti? Ma figuriamoci, quindi la parola sostenibile viene abusata, o meglio viene usata come specchietto per le allodole per aggiungere un connotato etico a qualcosa che nasce per pure esigenze di profitto.

Se volessimo mettere in atto sul serio comportamenti sostenibili dovremmo cominciare mettendo all’indice tutti quei prodotti che non avranno mai niente di sostenibile e puntando ad un uso parco dell’energia e di tutte le lavorazioni che comportano una dose alta di pollution. Qualche esempio ? Eliminazione della plastica, eliminazione dei combustibili fossili, navigazione da diporto solo a vela, circolazione in città solo con le biciclette e così via. Queste sì che sarebbero scelte e comportamenti sostenibili ! Ma non solo sono aspettative utopiche (anche se ai tempi dell’austerity in alcuni fine settimana ci mandarono tutti a piedi o in bicicletta), sono anche misure che susciterebbero proteste che forse monterebbero fino all’insurrezione popolare, perché il modello di vita consumistico che ci distingue fa ormai parte della forma mentis dell’uomo occidentale. Quello che però proprio non sopporto è che l’aggettivo sostenibile è diventato come il prezzemolo nella stragrande maggioranza delle pubblicità. Ovvero gli spin doctor della pubblicità ritengono che se pubblicizzi qualcosa come sostenibile permetti al consumatore di acquistarla senza rimorsi, senza pesi sulla coscienza.

Dunque il mio consiglio è di lasciare l’ipocrisia lessicale ai venditori di fumo e di tenerla fuori dal nostro vocabolario quotidiano. Io ho eliminato queste tre parole dal mio lessico e se un giorno doveste beccarmi a pronunciarne una vi autorizzo a tagliarmi la lingua.

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Avevo 60 anni quando ho cominciato a collaborare a questo blog, ora qualcuno in più. Mi occupo prevalentemente di musica, ma anche di informatica e di grafica web. La mia è una formazione umanistica (liceo classico, Scienze Politiche, Sociologia). Ho collaborato a lungo all'informazione e alla produzione di trasmissioni cultural-musicali di una nota emittente bolognese. Conosco il pensiero e le opere di Serge Latouche ed ho cominciato ad interessarmi con passione e continuità ai temi della decrescita dopo la lettura di "Entropia" di Jeremy Rifkin (10 anni fa). Vorrei contribuire, nel mio piccolo, ad arricchire queste tematiche e a dare una speranza soprattutto alle nuove generazioni.

4 Commenti

  1. Ok, grazie del commento, ma non vorrei che si equivocasse. Io credo che bisognerebbe adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente e “sostenibili”, ma in modo rigoroso, senza prenderci per il culo e stando lontani dalle mode. Dunque scoraggiamo la falsa sostenibilità e il “green” all’acqua di rosa, ma incoraggiamo chi fa sul serio.
    L’economia circolare rientra in questo. Ci sono cose che funzionano (ad esempio la raccolta differenziata del vetro) e altre che sono mistificatorie. L’esempio da te fatto nel blog, quello delle donne indiane che impastano e mettono ad essiccare la merda delle vacche facendone combustibile, va benissimo. Pensa quanto combustibile si potrebbe fare con tutti gli escrementi degli allevamenti intensivi del nord Italia… Il problema è che gli allevamenti intensivi andrebbero completamente eliminati !

  2. Neppure io vorrei che criticare questi slogan alla moda possa apparire come una critica al significato importante di queste parole. Si critica la moda di seguire la moda nei suoi aspetti esteriori.

  3. Salve a tutti. Io nella vita mi occupo di formazione professionale in ambito ferroviario. La febbre dell’ecologia a parole, la febbre “Green a tutti costi” ha colpito anche qui. Quando si sostiene che un treno è a zero emissioni comparato all’automobile, vuol dire per ignoranza o per dolo si ignorano i più elementari processi di produzione dell’energia. Se il treno è alimentato virtualmente e realmente da una centrale elettrica a carbone che c.zzo di Green è? Ma adesso va di moda ad esempio, essere contro l’auto con motore a combustione, e allora ecco che l’auto elettrica assume la condizione di santità…ed è green solo perché non ha un tubo scappamento, mentre l’energia per caricare le batterie chissà da dove viene e da dove verrà in futuro. Gli ecologisti talebani stanno distruggendo l’industria e la società civile. Il risultato sarà solo che pagheremo molto di più per avere molto meno senza salvare l’ambiente.

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