L’impegno

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In Italia, soffrono di anoressia o bulimia oltre due milioni di adolescenti; il 15% circa dei ragazzi fa o ha fatto uso di droghe; l’80% trascorre tre ore al giorno online, la metà ne passa tre al giorno guardando la televisione. La metà dei fumatori italiani ha iniziato a fumare prima di compiere diciotto anni; per i ventenni, gli incidenti stradali sono la prima causa di morte, e si calcola che quasi la metà di essi sia dovuta alla guida in stato di ebbrezza. So che si tratta di questioni ampiamente affrontate e discusse ma, dato che ne ho l’occasione, voglio sottoporvi la mia personale riflessione sull’argomento.

Spesso, trovandomi in compagnia dei miei coetanei, mi capita di ascoltare discorsi riguardanti il “sistema”:  “il sistema è corrotto”, “il sistema ci controlla”, “il sistema va abbattuto”… Fino a poco tempo fa, giudicavo queste frasi piuttosto infantili, banali e prive, in fondo, di qualsiasi fondamento. Oggi, in seguito ad un fortunato periodo di discussione e riflessione mi rendo conto che sbagliavo. Per la prima volta, riconosco l’esistenza di un vero e proprio sistema, comprendente gran parte della classe politica, dei media e dei detentori del potere economico, il quale tenta con ogni mezzo e senza il minimo scrupolo di prendere il controllo di ogni aspetto delle nostre vite, dalle abitudini alimentari all’educazione, dai gusti musicali all’orientamento sessuale. Non si tratta, purtroppo, del solito scenario apocalitticoprospettato dall’invasato anarchico di turno, bensì della realtà: pur se in modo sottile, ogni nostra scelta è quotidianamente esposta ad un fortissimo condizionamento, al quale è difficile resistere. Esistono, fortunatamente, menti alternative: giornalisti ed insegnanti appassionati, attivisti, volontari, politici illuminati o semplicemente persone comuni che si impegnano, per esempio, ad acquistare prodotti biologici e “a chilometro zero”; tuttavia, sebbene sia triste ammetterlo, si tratta di minoranze dal potere infinitamente inferiore a quello dell’ideologia dominante.

In questo poco edificante scenario, purtroppo, è venuto a mancare il sostegno da parte della famiglia. La casa, i parenti, il nucleo familiare, che dovrebbero costituire una sorta di “rifugio sicuro”, un indispensabile punto di riferimento, una fonte di valori in una società che pare averli aboliti, hanno rinunciato al proprio ruolo di guida. Gli adulti e, in particolare, i genitori sembrano rifiutare l’esistenza di quel periodo di transizione dall’infanzia alla maturità detto “adolescenza”: alcuni trattano i figli come se fossero ancora bambini, affrontando qualsiasi argomento con un permissivismo ed un ottimismo mortificanti, in quanto non costruiti su basi concrete; altri si rivolgono ai ragazzi come a degli adulti, dipingendo loro il futuro con un angosciante e troppo pragmatico pessimismo. Noi giovani ci ritroviamo, dunque, smarriti, incapaci di assumerci una qualsiasi responsabilità; non siamo in grado di porci – né tantomeno di raggiungere – obiettivi concreti. Preferiamo, nel vano tentativo di proteggerci, rifugiarci in realtà fittizie, mortificare la nostra intelligenza, evitando, in generale, di pensare. Da qui, credo, derivano i preoccupanti dati riportati all’inizio: io stessa, pur non potendo la mia essere definita una dipendenza, sono consapevole di fare un uso eccessivo di computer e televisione.

Dunque, che fare? Accettato il fatto che dal mondo degli adulti non giungerà alcun sostegno, come strutturare autonomamente un’auspicabile resistenza? I potenti ci vogliono insoddisfatti ed infelici dal momento che, nella nostra società, “insoddisfatto” è sinonimo di “consumatore”. Dunque, per contrastarli, dovremmo riuscire ad essere realmente felici. Ma che cosa significa questo? Io penso che l’elemento fondamentale per sentirsi veramente appagati, per percepire la propria vita e le proprie azioni non come un inerte percorso di sopportazione, bensì come il concreto compimento di un preciso progetto sia l’impegno. Non soltanto politicamente parlando: infatti, “l’impegno politico è solo una delle forme della resistenza” (M. Benasayag, “Contro il niente”).  Si tratta, in generale, di partecipare in maniera attiva – e, inevitabilmente, schierata – a tutto ciò che sta avvenendo oggi nel mondo; impegnarci a dare un contributo alla società, per quanto piccolo, nelle forme e secondo i principi che siamo stati noi stessi a scegliere. Nell’impegno reale, derivato da una paziente ed attenta riflessione, sta la nostra speranza: in ogni ora di discussione o di studio appassionato, in ogni lezione realmente interessante, in ogni articolo scritto su questo social network, in ogni studente che partecipa convinto ad una manifestazione.

Tocca a noi.

articolo pubblicato per gentile concessione dell’autrice Marianna Bonifacio

3 Commenti

  1. Ho trovato interessante la tua riflessione. L’impegno è ciò che ci vuole, e purtroppo è ciò che più manca. Lo si può constatsare osservando quante persone visitino questo sito e quante commentino gli articoli. Ed è così per gran parte dei blog “impegnati” della rete. Mi piacerebbe che la scritta “social network” in cima a questa pagina diventasse qualcosa di più vero: che divenisse un luogo dove ci si scambi idee per costruire insieme futuri possibili.

    Un solo appunto. Sostieni che esista un sistema che controlla “ogni aspetto delle nostre vite, dalle abitudini alimentari all’educazione, dai gusti musicali all’orientamento sessuale”.
    Non sono d’accordo, e anzi ritengo che uno dei problemi principali della società dei gadget in cui viviamo sia proprio l’assenza di un qualsivoglia ordine o priorità, di qualcuno che dall’alto controlli le nostre scelte di vita e di consumo – le qual cose, detto per inciso, paiono andar sempre più identificandosi. Certo esiste la pubblicità, ma non è controllata da pochi potenti su uno scranno posto in cielo.

    Ci viene posto innanzi l’immenso campo dell’attuabile e noi, accecati dallo scintillio pacchiano del presente, con le sue insegne luminose e colorate, barcolliamo da un consumo all’altro senza riuscire a progettare alternative che possano plasmare un migliore divenire per noi e per i nostri successori.
    E’ una trappola psicologica estremamente raffinata, e siamo stati noi ad ordirla, inconsciamente. L’ho creduto per molto tempo ma alla fine l’ho capito: non un complotto. Non ci sono elite che vogliono schiavizzarci. Qui siamo tutti schiavi, solo che alcuni hanno una gabbia d’oro, molti altri una gabbia di fango e paglia. Per questo non possiamo sperare di uscire dal sistema con una rivoluzione armata, politica o economica ma è assolutamente necessario decolonizzare il nostro immaginario dalle ideologie della crescita, del consumo e dello sviluppo.
    Dando la colpa ai potenti si sposta l’attenzione sul bersaglio sbagliato.
    Il bersaglio giusto siamo noi: solo cambiando noi stessi potremo cambiare il mondo.
    E te lo dice uno che anni fa si è letto quasi tutti i libri di David Icke.

  2. Grazie per il commento! Immagino che sia proprio così: “Qui siamo tutti schiavi, solo che alcuni hanno una gabbia d’oro, molti altri una gabbia di fango e paglia”.

    • E’ vero “è una trappola raffinata”, che alimentiamo e a cui diamo consenso quotidianamente. Da questa trappola si potrebbe uscire in 2 modi, dall’alto e dal basso:
      1. Dall’alto, cioè dalla la volontà di chi vive schiavo in una gabbia dorata;
      2. Dal basso, cioè dalla volontà di chi vive schiavo in una gabbia di fango e paglia.
      Il problema è che mentre dal basso nascono come “moltitudine inarrestabili” idee e proposte concrete per creare un nuovo paradigma culturale che liberi tutti da questa insensata e innaturale schiavitù. Dall’alto non ci sono altrettante misure, proposte, idee…vogliono rimanere schiavi!!!
      Bè…chi eprime una critica al sistema legge quest’immobilismo come la mano di un controller che decide le regole del gioco.
      ciao

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