Commentando Inferno digitale

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Le ICT hanno davvero reso il mondo migliore, ma in termini di impatto ambientale è la cosa peggiore che potesse capitare” (esperto di tecnologie digitali citato nel libro).

Se Luiss University Press, editore per nulla ‘alternativo’, pubblica un libro come Inferno digitale. Perché Internet, smartphone e social network stanno distruggendo il nostro pianeta, significa che certe preoccupazioni cominciano ad allarmare anche qualcuno tra le alte sfere. E quando questo avviene (vedi quanto successo nei primi anni Settanta con il Club di Roma e I limiti dello sviluppo o attualmente con il riscaldamento globale), solitamente significa che i buoi sono già scappati dalla stalla.

Anche senza aver letto il libro di Guillaume Pitron, tanti si saranno accorti da tempo che la rivoluzione informatica e telematica, contrariamente alle premesse, di fatto ha dematerializzato molto poco. Tuttavia, pochi avranno una reale percezione della ‘materialità’ delle ‘tecnologie dell’immateriale’, io stesso ammetto di averla parecchio sotto stimata.

Lascio alla lettura del libro per i dati precisi, anticipo solo che c’è da rimanere sbigottiti di fronte a una realtà impietosa fatta di data center dei ‘cloud’ che dissipano l’energia di grandi metropoli (alla faccia delle ‘nuvolette’!), risorse minerarie consumate a profusione, aree del pianeta trasformate in ambienti malsani per costruire computer e device a ritmo incessante, per fronteggiare una rapidissima obsolescenza degli stessi.

Il libro demolisce molti luoghi comuni consolidati anche riguardo alla trasmissione dati, molto meno wireless di quanto comunemente si creda. I progetti satellitari in stile Starlink di Elon Musk rappresentano infatti un’esigua minoranza dei flussi di banda, che invece transitano massicciamente su cavi transoceanici alcuni dei quali, alla maniera dei gasdotti, assumono conformazioni bislacche in quanto condizionate da ragioni geopolitiche.

Del resto, ridurre la latenza di qualche millisecondo è fondamentale non solo per i videogiocatori, ma anche per attività assai meno ludiche. Come quelle dei cosiddetti ‘fondi di investimento passivi’ completamente automatizzati, i cui algoritmi fiutano a velocità ipersonica gli investimenti più redditizi delle borse planetarie senza preclusioni di sorta, per cui si stanno rivelando fondamentali per mantenere un’industria dei combustibili fossili sempre più barcollante, anche perché bistrattata dagli operatori umani (miracolo del Progresso: siamo riusciti a creare robot più cinici e smaliziati degli squali della finanza!).

Inferno digitale non consiste solamente in una mera esposizione dei danni ecologici e sociali prodotti da una Rete il cui sviluppo è oramai ipertrofico e autoreferenziale. Anzi, l’intento principale dell’autore sembra spingere il lettore a interrogarsi sulla necessità di ridefinire l’uso degli strumenti digitali prima che qualcuno nella super élite, messo di fronte a problematiche di ordine tecnico oramai ineludibili, decida di agire in maniera autonoma e autoritaria.

Per farlo, occorre ragionare seriamente sulla funzione di un mezzo oggi usato prevalentemente per trasmettere contenuti a base di pornografia e gattini, smettendola di mettere la testa sotto la sabbia e trovando il coraggio di affrontare questioni spinose. Ad esempio, la ‘neutralità della Rete’, ossia quel nobile concetto che (teoricamente) consente a questo piccolo blog di competere alla pari con i siti Web del mainstream informativo, rischia di trasformarsi in un viatico di sciagure se non si mettono paletti e priorità, prima che sia la forza del denaro a farlo.

Ma per fare tutto ciò, è necessaria una nuova cultura del digitale che ne stigmatizzi l’uso compulsivo e la ricerca della prestazione fine a se stessa, dove conquistare qualche millisecondo di latenza comporta distruzioni ecologiche di vasta portata e la rapida obsolescenza di materiale informatico ancora perfettamente valido. Sostituito spesso da nuove tecnologie sulla carta più efficienti ma che, usate in modo dissennato, non fanno altro che perpetuare il Paradosso di Jevons (come succederà con la rete 5G)

Bisogna insomma essere più consapevoli quando si guardano filmati on line o si spediscono email e messaggini, coscienti che non si tratta di magie bensì di azioni che hanno un impatto sul mondo. E occorre altresì mirare a uno sviluppo ‘low tech’, dove la prestazione venga sacrificata in favore dell’inclusività e delle necessità ecologiche. Agendo così, forse le ‘tecnologie dell’immateriale’ cominceranno a mantenere almeno alcune delle tante promesse che ne hanno accompagnato lo sviluppo.

Ma per avere qualche speranza, occorre una critica mirata e consona allo scopo. Far circolare bufale a raffica sul 5G, vandalizzare antenne a caso e inflazionare l’uso della parola ‘transumanesimo’ – comportamenti purtroppo diffusi – rappresentano un assist a porta vuota per chi vuole bollare qualsiasi osservazione contro la tecnologia digitale come ignoranza, oscurantismo e ‘paura del Progresso’. Non dimentichiamocelo.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

2 Commenti

  1. Bellissimo articolo, sicuramente leggerò il libro di Pitron. Mi permetto solo di aggiungere che una critica completa all’abuso di internet e delle tecnologie digitali non dovrebbe guardare solo al danno ambientale, peraltro elevatissimo visto che i vari device introdotti dalla rivoluzione digitale si producono a ritmi forsennati, hanno un’obsolescenza rapida e quindi implicano seri problemi di smaltimento e inquinamento ambientale. A me sembra che la tecnologia digitale stia producendo anche una specie di mutamento (irreversibile?) nei comportamenti e nei processi mentali delle persone. Quindi saremmo di fronte anche ad un problema antropologico di cui nel mio piccolo io, che vengo additato come boomer, vedo già le conseguenze tutte le volte che mi capita di confrontarmi con le nuove generazioni. Ed a proposito di transumanesimo, termine che con qualche ragione a te pare usato spesso a sproposito, vorrei far notare che i progetti transumanisti, che esistono eccome, per attecchire ed avere un’accondiscendenza generalizzata hanno bisogno proprio di questi cambiamenti antropologici. In questa direzione si muove ad esempio tutto il progetto del metaverso, che per ora viene pubblicizzato quasi come un gioco didattico, ma che nasconde l’intento di estendere la realtà virtuale ad universo parallelo in grado di soddisfare quasi tutti i nostri bisogni. Su questo argomento sto per ora raccogliendo spunti e riflessioni e mi riservo di tornarci con un contributo articolato ed aggiornato da pubblicare in questo blog.

    • Il transumanesimo esiste così come lo scientismo ecc. il problema è una propaganda che abusa di questi termini per qualsiasi cosa, come se il solo fatto di usarli desse consistenza a ragionamenti che ne hanno pochissima. Non sono mai stato un fan dello sloganismo, ma in quest’ultimo periodo della mia vita lo aborro radicalmente.

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