Conservare è uccidere

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La vita nasce dalla vita: genitori-figli, piante-semi e così via; è esperienza comune. La vita è strettamente interconnessa: senza batteri che degradano la roccia non si formerebbe il terreno vergine su cui crescono le prime piante, che poi degradandosi, insieme ai micro-organismi permettono di formare il terreno su cui crescono altre piante, le piante producono l’ossigeno e dunque senza piante non ci sarebbero animali e in particolare non ci sarebbero gli erbivori, senza di essi non ci sarebbero i carnivori, ma senza i carnivori gli erbivori attuali non si sarebbero evoluti, né le piante attuali senza gli erbivori e senza gli insetti e si potrebbe continuare in una catena quasi senza fine.

Tutti sappiamo poi che i viventi invecchiano e muoiono. Anche le cose inanimate subiscono l’attacco del tempo, ma in modo differente: hanno in genere un periodo di immutabilità, che i viventi non hanno, ma poi un degrado che innesca spesso una spirale che porta al disfacimento e non resta nulla.

Prendiamo ora due mele. Una del supermercato ed una che viene dal piccolo vecchio frutteto dei nonni. Quella del supermercato è grossa, tonda, colorata, lucida, liscia, senza difetti. Quella dei nonni è piccola un po’ storta, striata, la buccia è ruvida, rugginosa un po’ ticchiolata. Quella dei nonni è molto più profumata, un po’ più acida, ma nel complesso molto più buona. Se la teniamo in cucina e non la mangiamo presto perde rapidamente le sue qualità e marcisce. Quella del supermercato, che proviene da celle di conservazione con atmosfera controllata ed è stata abbondantemente trattata contro ogni avversità, resta immutata molto più a lungo.

Prendiamo ora un salame artigianale ed uno industriale. Quello industriale dopo che l’abbiamo tagliato resta rosso a lungo, non cambia consistenza non si copre di muffa, quello artigianale imbrunisce subito e si secca velocemente e la muffa esterna tende a svilupparsi.

Si potrebbe andare avanti a lungo con formaggi industriali o di piccole latterie di vallata che cambiano sapore e consistenza e ammuffiscono molto più velocemente, con torte fatte in casa e merendine confezionate, con pane, marmellate e tanti altri prodotti che possiamo fare in casa o trovare da piccoli produttori locali che usano metodi antichi e naturali oppure possono provenire dalla grande industria alimentare.

Le differenze tra i due mondi sono molte, ma fermiamoci all’aspetto della conservazione. I prodotti industriali si conservano a lungo perché sono stati trattati energicamente e contengono conservanti.

Cosa fanno i conservanti? Fermano i processi biologici di trasformazione degli alimenti e sopratutto uccidono i microrganismi. Questi ultimi attaccano il nostro cibo perché è anche il loro cibo. Di fatto i conservanti uccidono il cibo per fermare le sue naturali trasformazioni e lo avvelenano per uccidere i microrganismi che si nutrono di esso. Il problema è che avvelenano anche noi. Noi siamo molto più grandi dei batteri e non moriamo, non subito per lo meno.

E’ chiaro che ingurgitare le tossine del Clostridium Botulinum o anche il più banale Escherichia Coli o mangiare prodotti ammuffiti o carni con principio di putrefazione può essere estremamente pericoloso. In altre parole mangiare cibo avariato è sicuramente più nocivo che mangiare cibo conservato. Per nostra fortuna però questa non è una scelta dicotomica, ma al contrario le alternative esistono e si chiamano cibi freschi e metodi tradizionali di conservazione.

E dove esiste l’alternativa, dove è possibile trovare e consumare alimenti sani, senza conservanti, senza coloranti, senza esaltatori di sapidità, senza trattamenti termici pesanti, non irradiati, senza residui di fitofarmaci o di ormoni animali è semplicemente folle continuare a consumare prodotti artefatti. Gli effetti deleteri di una alimentazione basata su prodotti industriali ricchi di conservanti, di zuccheri e farine raffinati, di grassi idrogenati, di sali sono ormai ben documentati, ma assai poco divulgati stante che la maggior parte delle campagne per una corretta alimentazione sono finanziate dalle stesse industrie alimentari che ne approfittano per veicolare subdolamente un’immagine falsa di genuinità e salubrità per i propri prodotti.

I prodotti freschi, le fermentazioni naturali, i trattamenti termici blandi (la stessa cottura), le conservazioni sotto sale, sottolio, sotto aceto garantiscono la sicurezza dei cibi, ma anche una nutrizione sana. Un discorso a parte meriterebbero la congelazione e la surgelazione, che accettabili dal punto di vista nutrizionale sono però abbastanza assurde sul piano energetico. Certo i metodi tradizionali non consentono i tempi di conservazione dei prodotti industriali, ma sono durate di cui veramente non abbiamo bisogno e che ci portano solo a consumare cibo meno buono e meno sano.

Gli effetti economici, sociali e ambientali dell’arretramento della grande industria alimentare e del ritorno a un maggior peso dell’artigianato agro-alimentare, dell’autoproduzione e della trasformazione artigianale e domestica dei cibi, come facilmente e correttamente li intravvede un decrescentista, potrebbero essere un ulteriore incentivo a perseguire su questa strada. Si potrebbero delineare vari scenari, ma in estrema sintesi e con buona approssimazione ciò che potremmo aspettarci è: più posti di lavoro, meno prodotti di sintesi, ambiente più curato e integro, cibo più sano.

La nostra salute è ad ogni modo già una ragione più che sufficiente per cambiare abitudini. Nonostante la latitanza degli enti pubblici e l’offensiva sempre più serrata dei pubblicitari c’è una consapevolezza che va diffondendosi e tutti possiamo partecipare con il passa parola. Consumatori e produttori devono educarsi reciprocamente per il bene di tutti e per metter un altro tassello nel difficile salvataggio del pianeta di cui noi stessi siamo parte.

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Laurea in scienze agrarie, dottorato di ricerca in economia del sistema agroalimentare, sta avviando un'attività agricola autonoma. Scrittore dilettante pubblica racconti e poesie nel suo blog (http://debolisegnali.blogspot.it/). Fortemente orientato a decrescere felicemente.

3 Commenti

  1. Bellissimo articolo!
    Al gusto di consumare la marmellata fatta dalla nonna con le mele del suo giardino o il salame e la grappa fatte dal nonno ci aggiungerei il loro impagabile sorriso per la soddisfazione di averle preparate per i nipoti: forse l’esempio di maggior valore per le nuove generazioni.

  2. Bell’articolo! Peccato però che le grandi catene di ristorazione collettiva ora pensino esattamente l’opposto, abbattere il costo lavoro e conseguentemente i posti di lavoro utilizzando prodotti già pronti. La filosofia della decrescita non è nelle corde della finanza!!

  3. Tutto condivisibile e, direi di più, auspicabile, ma ad una precisa ed imprescindibile condizione : la certezza (per quanto umanamente possibile) della salubrità degli alimenti così prodotti.
    Al di la della questione conservanti che mi trova perfettamente d’accordo (anche se il grado di tossicità, a mio avviso, è veramente molto basso…) e di tutto il discorso circa la durata naturale e fisiologica del cibo prodotto rispettando la natura, è assolutamente necessario garantire i “consumatori” (forse sarebbe meglio dire i cittadini…) che ciò che acquistano dal “contadino” sia incontaminato, privo cioè di carica batterica pericolosa per la salute o di sostanze tossiche (vedi terra dei fuochi), di parassiti o di qualunque altra cosa potenzialmente nociva alla salute.
    La grande sfida, a mio avviso, è questa: coniugare il ritorno ad un rapporto corretto con la terra che metta in secondo piano il profitto economico (di pochi…) con la capacità che, le attuali conoscenze e mezzi hanno, di garantirne la salubrità del cibo.
    E’ una prospettiva che, probabilmente, la specie umana ha davanti a se per la prima volta nella sua storia, sarebbe il caso di cominciare al esplorarla…

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