La Rivoluzione Industriale rappresenta il più sostanziale e repentino cambiamento nella storia dell’uomo, un cambiamento che lo storico Carlo Maria Cipolla compara alla Rivoluzione Neolitica (quando l’uomo diventò agricoltore), anche se quest’ultima “si sviluppò nel corso di migliaia di anni”, dando quindi all’uomo “il tempo per un adattamento graduale”, mentre “la rivoluzione industriale ha invaso il globo, sconvolto l’esistenza e travolto le strutture di tutte le società umane esistenti nel giro di sette od otto generazioni”. Nelle società pre-industriali l’uomo è parte della natura e quindi sviluppa la propria cultura intorno al buon funzionamento delle leggi naturali, perché è da queste leggi che dipende la propria sopravvivenza. A conferma di ciò, prima della Rivoluzione Industriale la quasi totalità della popolazione viveva nelle campagne, mentre in una società industrializzata solamente il 2-3% della popolazione è occupata in agricoltura (ma la meccanizzazione dell’agricoltura ha praticamente tolto ogni contatto reale dell’uomo con la terra). Per cui, l’industrializzazione ed il progresso hanno di fatto reciso ogni contatto dell’uomo con la natura.
La Rivoluzione Industriale ha infatti regalato all’uomo l’energia, e da quel momento è praticamente diventato il padrone incontrastato del pianeta, soggiogando alle proprie voglie e ai propri capricci la natura, un tempo sacra. L’epoca moderna rappresenta l’ emancipazione dell’umanità dal vecchio giogo delle leggi naturali (prima su tutte quella della selezione naturale, grazie ai miracoli della medicina moderna) e quindi dalle paure e dai dogmi della saggezza tradizionale (a tal proposito scrive Carlo Maria Cipolla : “Il tema dominante nella concezione del mondo sia greco-romano sia orientale è quello di un’armonia tra uomo e natura.” E ancora: “I miti di Dedalo, Prometeo e della torre di Babele erano lì a indicare il destino di chi tentasse di rovesciare il rapporto uomo-natura pretendendo di asserire il predominio dell’uomo”). Ma com’è ormai diventato evidente a tutti, questo mondo artificiale che ci siamo creati non è affatto compatibile con quell’equilibrio che milioni di anni di selezione naturale hanno creato, così che stiamo assistendo alla quotidiana “scomparsa di un numero di specie (tra vegetali e animali) che va da cinquanta a duecento, un dato drammatico superiore da mille a trentamila volte a quello dell’ecatombe delle ere geologiche passate” .
La nostra società sta affrontando una serie di crisi sempre più profonde, sempre più radicali (crisi economica, energetica, socio-demografica, agricola, delle risorse idriche, ambientale e via dicendo) e con il nuovo millennio si sta avvicinando alla fase più turbolenta. Sappiamo che questi sono problemi sempre più reali, che il riscaldamento globale avrà effetti disastrosi sulla produzione agricola, la disponibilità d’acqua dolce e quindi sulla stessa economia mondiale e che i combustibili fossili sono prossimi all’esaurimento (tra cinquant’anni sarà stato estratto tutto il petrolio, compreso quello non convenzionale), ma nonostante questo, siamo tutti pervasi da un irrazionale ottimismo, da questa “grande illusione” che permea le speranze e le coscienze dell’umanità, ovvero questa cieca fiducia nei confronti della scienza e della tecnica. Fiducia obbligata, perché più si va avanti e più diventa necessario l’intervento della scienza e della tecnologia per risolvere i disastri provocati dalla stessa scienza e tecnologia, che però, seguendo il trend degli ultimi due secoli, continueranno a provocarne di maggiori. E’ un circolo vizioso che richiede una sempre maggiore quantità di energie umane e naturali perché più si va avanti e più aumentano la portata e la complessità dei problemi.
Ma quello che sembra essere il lato più oscuro della tecnologia è stato ben inquadrato dal famoso giornalista Massimo Fini, che all’inizio degli anni Ottanta affermava : “Portando alle estreme conseguenze il principio dell’agire seguendo la linea di minor resistenza, spianandogli la strada, riducendo al minimo la fatica, il dolore, il bisogno materiale, che sono stati sempre i duri strumenti della pedagogia umana, la tecnologia non fa che indebolire progressivamente l’uomo nella misura in cui rafforza se stessa. Quest’uomo rimpicciolito vive ormai grazie ad un’appendice, una mostruosa protesi, enormemente più grande di lui e di cui non può più fare a meno: la macchina. E’ un minuscolo ragno al centro d’una immensa tela che si tesse ormai da sola e di cui il vero e unico prigioniero è lui”.
Mancano le fonti delle citazioni (virgolettate), vedo solo ora:
1. Carlo Maria Cipolla. Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, pag. 423.
2. Ibid, pag. 214.
3. Serge Latouche. La scommessa della decrescita, Feltrinelli, pag. 7.
4. Massimo Fini. La ragione aveva torto?, Marsilio, pag. 155-156.
Quando la Verità chiama, l’uomo genuino risponde. Non importa se ha una laurea di 110 cum laude e una alta formazione in Management e incarichi importanti in aziende e istituti di rilievo secondo la logica del sistema prevalente che viviamo come te, o un lavoro che un tempo vivevo come prestigioso e di successo in campo finanziario foriero di soddisfazioni economiche come me. Quando la Verità chiama la si abbraccia in toto, si ribaltano gli schemi in cui credevamo evidentemente in buona fede. Altrimenti non sarebbe stata possibile la rinuncia al vecchio. Si lavora nel vecchio rinnovati dal di dentro. Ai managers che ci chiedono nuovi clienti e nuovi budgets rispondiamo che non vogliamo clienti ma persone e non cerchiamo obiettivi di budget ma significati. Ormai l’ascolto e l’attenzione sono rivolti al rispetto dell’uomo e della natura, tutto il resto se vuole esistere starà sullo sfondo, in lontananza, di contorno, e solo se non deturpa con le sue oscenità la bellezza dell’armonia di ciò a cui in essenza apparteniamo.