Decrescita critica

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2023

Inizio riportando un estratto di un commento postato da Pierfranco Grivet Brancot in riferimento al mio articolo La decrescita come contro-potere sociale. Riguardo agli sforzi dei fautori della decrescita, egli afferma che “spesso non vedo nulla aldilà del pane fatto in casa, saponi e yogurt autoprodotti e sacche fatte con i vecchi jeans. Oltre all’orto, che il mio vecchio padre faceva già tanti anni fa…il fatto di esserne ‘ignari’ non vuol dire che non ne esistessero. Scoperte dell’acqua calda, di bambini ricchi di società ricche”.

Dopo le mie repliche la discussione si è infervorata (per la cronaca, alla fine ci siamo chiariti e riconciliati diventando anche amici virtuali su Facebook), e nell’ultimo commento Pierfranco ha aggiunto;

“… farsi un orto dove una insalata ‘buonissima’ costa il triplo di quella acquistata, più la fatica, occorra invece trovare nuove strade, magari mettendosi in rete (trasversale) e facendo delle cose, invece che delle conferenze, e pure un bel po’ politicizzate, italico vizio.
Ci sono competenze per realizzare in casa un mini eolico che ‘sostenga’ il consumo di energia, o il riscaldamento, integrandosi con ciò che già esiste?
Questa è decrescita possibile, reale, pratica”.

Continuo a pensare che le critiche siano complessivamente un po’ ingenerose, e che la ‘riscoperta dell’acqua calda’ sia importante e per nulla scontata in un contesto storico di persone convinte di vivere in un eterno presente, senza radici. Tuttavia, bisogna ammettere che Pierfanco solleva dei problemi reali.
Prima dei suoi commenti, era già da qualche tempo che riflettevo su di un altro aspetto delicato, ossia la critica nei confronti del Prodotto Interno Lordo, classico obiettivo polemico della decrescita. Da constatazione geniale nella sua semplicità, essa rischia di perdere vigore e mordente se rimane ancorata alle solite analisi: diversi accademici (vedi La rivoluzione conservatrice della post-crescita, http://www.decrescita.com/news/?p=3764), economisti mainstream come Stiglitz, Sen, Padoa Schioppa, Fitoussi e per certi versi persino Tremonti, politici quali Sarkozy, la stessa Unione Europea e addirittura il Fondo Monetario Internazionale, tutti questi soggetti o esprimono dubbi sul PIL come indicatore di felicità e benessere o quantomeno ammettono che nella migliore delle ipotesi la crescita sarà ‘anemica’ (per usare un termine apparso in un documento del FMI). Del resto chi impone le draconiane misure di austerità può essere criminale ma non tanto stupido da non capire di imporre provvedimenti con effetti chiaramente recessivi. E oggi che la prima forza politica a Montecitorio è il Movimento 5 Stelle, una formazione critica sul concetto di crescita economica, sembra quanto mai insufficiente limitarsi a ripetere le solite tiritere sul PIL, per quanto sacrosante nei contenuti. Serve uno scatto in più, altrimenti rischiamo di imbalsamare una concezione innovativa e rivoluzionaria.
Entrando nel merito delle obiezioni di Pierfranco, il rischio di fossilizzare tutto può avvenire anche con le pratiche della decrescita. Temo seriamente che, in linea generale, invece di sviluppare la decrescita come contro-potere sociale, stiamo ‘solo’ favorendo il downshitfing, attività buona e giusta, ma che sostanzialmente non è altro che una versione post-moderna della vecchia cultura contadina. Il downshifting è certamente una pratica di sostenibilità ambientale, ma non risolve il problema della drammatica atomizzazione sociale degli individui, potrebbe anzi paradossalmente rafforzarla. Singole persone ‘scollocate’ dal sistema possono ottenere una vita migliore per se stessi, ma l’effetto sociale è minimo, e quello politico – nel senso di aprirsi all’esterno analizzando la correlazione esistente tra diversi problemi – è insignificante. Dubito che basti trasformarsi in tanti novelli Thoreau per affrontare la drammatica situazione che stiamo vivendo.

Se pensiamo realmente che ‘l’unica decrescita possibile è quella individuale’ (1), di fatto neghiamo la possibilità stessa della decrescita, rimaniamo relegati a un atto di testimonianza individuale che può essere certamente importante e prezioso, ma solo per chi lo vive in prima persona. E, anche se dissento dall’immagine dei ‘bambini ricchi di società di ricche’, il fenomeno del downshifting potrebbe correre il rischio di trasformarsi in una specie moda (non so come, ma sono notoriamente infinite le risorse del business, novello Re Mida capace di trasformare tutto quello che tocca in merda).
La decrescita può assurgere a contro-potere solo uscendo dall’individualità e inserendola nel progetto politico della società dei beni comuni. Si può discutere all’infinito su come realizzarlo, se siano necessari approcci nelle istituzioni politiche esistenti (in stile M5S), oppure se sia il caso di seguire il precetto anarchico di ‘costruire la nuova società nel guscio della vecchia’; esistono però alcuni punti imprescindibili:

– ci deve essere una ‘società’ e un orizzonte comune di riferimento, basati sul valore della cooperazione e del mutuo appoggio;
– se ci sono dei ‘beni comuni’ allora deve esserci anche un ‘comune’ da valorizzare, come espressione culturale e sociale;
– dobbiamo prendere atto che esistono soggetti esterni (istituzioni statali e private) nei confronti dei quali possiamo proclamare un distacco unilaterale, ma che ugualmente continueranno a influenzare la nostra vita. Possiamo decidere di ignorare deliberatamente le loro prescrizioni ma non fingere che non esistano. Allo stesso modo, non possiamo ignorare che l’antagonista attuale alla nostra visione è il capitalismo nella versione post-neoliberista (altre ideologie produttiviste come la socialdemocrazia o il comunismo si sono praticamente estinte);
– se una società esiste allora deve esercitare anche una forma di controllo e riflessione critica su tutto ciò che la riguarda direttamente, in primis la tecnologia (mi ricollego alla seconda obiezione di Pierfranco). Un punto su cui si aprono note molto dolenti, perché le competenze in materia di una ‘tecnologia della decrescita’ possono provenire da autodidatti oppure da persone formatesi nell’istruzione ufficiale ma in grado di reinterpretare in modo autonomo e originale il sapere appreso.

Il senso di questo mio articolo non è né una polemica sul downshifting (di cui posso solo auspicare la diffusione ammirando chi lo pratica) né una critica a coloro che, nuotando ostinatamente controcorrente contro la derisione quasi generalizzata, portano avanti le idee della decrescita. Semplicemente, ritengo maturi i tempi per uno step successivo (2), che vada oltre la ripetizione delle medesime analisi e delle solite pratiche. È un atto di coscienza che si impone a tutti, me per primo.

(1) Mi sto ovviamente riferendo all’articolo di Manuel Castelletti L’unica vera forma di decrescita possibile è quella individuale (http://www.decrescita.com/news/?p=3988). Se da una parte sottoscrivo al 100% la prima parte, in particolare l’idea per cui la soluzione al grave problema ecologico non può venire dallo Stato, non posso però condividere la conclusione che “Gli unici che possono fare qualcosa per invertire tutto questo ed evitare il peggio per sé, i propri figli e il proprio pianeta sono i singoli individui, i liberi pensatori, in poche parole gli uomini e le donne che hanno conservato ancora qualcosa di “umano”. L’unica vera forma di decrescita che ritengo possibile è quella a livello individuale o di piccoli gruppi di “illuminati”, perché la decrescita presuppone un certo livello di consapevolezza, che l’umanità sembra aver smarrito in questa folle corsa verso la propria distruzione”. Manuel sembra sottostimare l’importanza di quel corpo intermedio tra lo Stato e gli individui che è la società, fondamento della civilizzazione umana.

(2) Sia chiaro che con questo non intendo riferirmi a qualche concetto pseudo-maxista tipo la ‘consapevolezza delle masse’, abbastanza assente; semplicemente la crisi economica, politica e sociale sta degenerando in modo molto più rapido del previsto.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

4 Commenti

  1. Io penso che l’orizzonte buono per una “decrescita” (termine che continua a non piacermi, preferisco “un bella vita sana e felice per tutti e tutto”) sia quella di un’affermazione individuale di consapevolezza in una prospettiva di un’azione diretta (quasi) necessariamente comunitaria, collettiva, di rete.

    Ovviamente, rigorosamente, provando raccapriccio che ogni idea di “decrescita calata dall’alto…

  2. Ritengo che “contestualizzare” il desiderio di decrescita, sia non solo pragmatico e/o necessario, ma anche un anelito profondo di chi cerca di viverla in prima persona. Essere parte di una Comunità, comunque intesa, è nello spirito dell’essere umano. Lo scatto in avanti è obbligatorio, sottoscrivo quello che dice Igor. A proposito, Igor, sono a metà del tuo libro “Una svolta radicale”: lo trovo pieno di intelligenza e, nonostante la complessità dei dati e delle tematiche affrontate, divulgativo al punto giusto. Per me, che non ho un background storico-filosofico-economico adeguato, è stata una grande scoperta. Mi hai al contempo invitato e costretto ad approfondire. Grazie!

    • Ti ringrazio Miriam, insieme agli altri duecento circa che l’hanno scaricato e a DFSN che lo ha accolto sul suo sito. Sapendo di non inventare nulla, ho cercato di mettere insieme cose che altre persone avrebbero dovuto cercare fra più libri, cercando di essere divulgativo; contento di sapere che qualcuno ha apprezzato!

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