L’idra a tre teste

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1941

Economia, tecnica e potere politico accompagnano di fatto l’uomo fin dagli albori della civiltà: l’economia intesa come regolazione dello scambio di beni e servizi; la tecnica come realizzazione di strumenti capaci di ampliare le capacità umane; il potere politico come attività volta al coordinamento di gruppi umani eterogenei.

 Tuttavia, a partire dell’era moderna, questi importanti mezzi per lo sviluppo della società  hanno assunto un carattere sempre più autoreferenziale diventando fini a se stessi, trasformandosi in veri e proprio sistemi dotati di una logica interna che, entro certi limiti, sembra trascendere le capacità di controllo umane. Possiamo delineare brevemente questi tre sistemi:

  • sistema economico: a partire dalla nascita del capitalismo – un periodo che si può far risalire alle enclosures inglesi del XVII secolo – il fine dell’economia è diventato la crescita infinita;

  • sistema tecnico: dalla prima rivoluzione industriale, ogni aspetto della tecnica è stato pervaso dall’ideologia del progresso e dello sviluppo, secondo cui ogni potenzialità tecnica deve necessariamente concretizzarsi, mentre la Natura rappresenta una fonte di materie prime da dominare;

  • sistema politico: dalla nascita dello Stato-nazione, la politica ha mirato all’accentramento del potere, alla standardizzazione sociale e alla stabilità intrinseca, a prescindere dalla volontà del corpo sociale che dovrebbe rappresentare.

Questi tre sistemi sono interdipendenti tra loro: il mito del progresso tecnico indefinito alimenta quello della crescita infinita; la ricerca tecnica ha bisogno di cospicui finanziamenti economici; la politica può favorire o sfavorire crescita economica e sviluppo tecnico, e questi a loro volto possono legittimare o delegittimare il potere politico.

Nulla di nuovo sotto al sole: qualsiasi autoproclamato homo novus della politica – pensiamo ad esempio all’astro nascente italiano Matteo Renzi – è solito ripetere giaculatorie sulla necessità di crescere, di favorire l’innovazione, di garantire la stabilità di governo; tutto questo in modo vago e generico, senza specificazioni sui settori economici da far crescere, su quali prodotti siano realmente necessari per la società, e senza riflessioni sulla reale tenuta democratica delle istituzioni. Sull’altare di questo idra a tre teste, ci dicono, bisogna sacrificare le tutele sul lavoro – anch’esso sempre più autoreferenziale – accettare la distruzione dell’ambiente e del mondo vissuto, rinunciare a tradizioni consolidate, anteporre la concorrenza alla cooperazione, delegare la sovranità popolare concentrandola in mani sempre più ristrette e difficilmente controllabili. Non farlo significa ‘rimanere indietro’, senza che si capisca esattamente che cosa ci sia ‘davanti’ di tanto speciale: per il resto, non sussiste alcuna considerazione sulla felicità umana.

Questo triplice sistema, con le sue logiche irragionevoli, inevitabilmente tende a produrre mutamenti antropologici che possono solo valorizzare il peggio dell’essere umano. Come disse Keynes riguardo alla necessità di espansione dell’economia, si deve “fingere con noi stessi e con tutti gli altri che il giusto è sbagliato e che lo sbagliato è giusto, perché quel che è sbagliato è utile e quel che è giusto no”, con il serio rischio di immedesimarsi troppo in questa condizione e dimenticare la finzione.

Ecco quindi che avidità, materialismo, delirio di onnipotenza (travestito da ragionevolezza), aggressività diffusa, narcisismo, obbedienza cieca, disprezzo del passato, della tradizione e della vecchiaia, diventano i valori dominanti della nostra epoca. Gli ideali e i rapporti umani, in modo simile a quanto avviene con la logica usa e getta della produzione, si svalutano e rischiano, se troppo consolidati, di diventare inutili zavorre in un mondo che non ammette legami profondi.

L’idra a tre teste ci sta trascinando a grande velocità verso la disintegrazione sociale, la catastrofe ecologica e l’autoritarismo. Per evitare il disastro, è necessario che economia, tecnica e politica ritornino a essere dei mezzi per il bene comune, liberandole dell’autoreferenzialità che le ha trasformate da strumenti a padroni dell’umanità, e ciò comporta un reindirizzamento dell’uomo verso finalità superiori a quelle attuali.

Lewis Mumford, nel libro Per una una civiltà umana, intravedeva la soluzione nella valorizzazione di quegli aspetti della psiche umana capaci di elevarla verso finalità superiori agli aspetti propriamente biologici e all’irrazionalità animale, che secondo Mumford si possono ritrovare in religione, arte, filosofia e scienza.

Sicuramente si tratta del passo nella direzione giusta, anche se non si può dimenticare che tutte queste discipline spesso si sono prostituite con il potere o hanno mostrato pure esse la tendenza ad autoreferenziarsi. La religione ha dato legittimazione divina ai potenti, è degenerata in bigottismo o al contrario in un misticismo egocentrico; l’arte ha mostrato una tendenza all’elitarismo e alla pura ricerca estetica svincolata da considerazioni sociali e morali; la filosofia, nelle sue varianti idealiste e materialiste, ha alimentato alcune delle ideologie più crudeli che la storia umana ricordi; la scienza si è fatta semplice ancella della tecnica, convincendo anche persone mosse da nobili ideali (quali Alfred Nobel, Albert Einstein, Andrej Sacharov) a contribuire alla creazione di opere abbiette.

Una soluzione peggiore del male deriva invece dal passatismo, la tendenza a tornare a un’età mitica precedente alla modernità dove l’umanità non era tormentata dall’idra a tre teste ma da altri mostri non meno feroci e brutali: nazionalismo, fanatismo religioso, tradizionalismo, dispotismo, razzismo, discriminazione sessuale e svariati generi di oppressione sociale permeano ancora abbondantemente la società contemporanea senza bisogno di farli assurgere a rimedio universale.

Si deve semmai prendere atto delle istanze alle base di questi fenomeni – che sono la risposta sbagliata alle pretese dell’idra – le quali chiedono a gran voce di uscire dalle astrazioni legali, intellettualistiche ed economiche (Stato e Individuo; umanità, nazione e razza; classe sociale, crescita, innovazione) per tornare alla vita vera, con i suoi bisogni reali e le aspettative concrete; tornare a occuparsi insomma del bene comune, del progresso sociale e della difesa dell’ambiente senza immolare l’umanità sull’altare dell’idra. Ma per fare ciò occorre interessarsi effettivamente di città, regioni, villaggi, campi, ambienti di lavoro, habitat naturali. In tal senso, le ideologie dominanti degli ultimi due secoli non ci lasciano fondamenta particolarmente solide su cui edificare nuove prospettive, ma solo intuizioni di qualche mente brillante.

A livello individuale, l’atteggiamento corretto consiste in una miscela opportuna di ribellione ad assurde astrazioni imposte come dogmi di fede e di accettazione consapevole dei limiti naturali. Occorre superare sia l’esuberanza impulsiva del superuomo nietzschiano (rielaborata in chiave attuale dal famoso motto “stay angry, stay foolish” di Steve Jobs, uno dei guru della nostra epoca) sia la passività del cittadino-robot, intento solo a ‘non alzare i toni’, a ‘rispettare istituzioni’ di cui è solo succube, ad accettare sulla propria pelle compromessi al ribasso in nome di non meglio precisate finalità superiori.

Significa quindi agire con equilibrio cosa che, sulla carta, non dovrebbe essere troppo complicata se siamo ancora creature naturali e non ci siamo lasciati corrompere dall’artificiosità con cui abbiamo riempito la nostra esistenza: l’equilibrio è infatti la logica immanente ai sistemi naturali. Se si può astrarre un’etica dalla natura, è proprio questa tendenza all’equilibrio.

 

Immagine: L’idra di Lerna, di Gustave Moreaux (fonte: Wikipedia)

 

 

 

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

3 Commenti

  1. Buon Anno Igor,
    sono abbastanza in linea con cio` che dici.
    Ma mi chiedo se valga la pena di includere la “conoscienza” come quarta componente della societa` umana.
    La conoscienza, intesa come rappresentazione il piu` possibile fedele della realta`, ovviamente basata sulla scienza, la storia, la filosofia… quelle vere pero`.
    E in particolare mi interessa la posizione della Scienza.
    Piu` che ancella, sembra che al giorno d’oggi una gran parte di essa si stia ampiamente prostituendo a qualunque fonte di guadagno anziche` alla ricerca della conoscienza… gli accademici fanno scrivere articoli a raffica ai giovani ricercatori, borsisti e schiavi vari per aumentare il numero di citazioni e far carriera, le universita` riducono la qualita` degli studi e corrompono i programmi per aumentare il numero degli studenti e cosi` aggiudicarsi i finanziamenti, i progetti di ricerca si piegano alle esigenze di breve termine dell’industria perche` lo stato non ha soldi… e cosi` via.
    In effetti sembra una versione amplificata dell’astrologo di corte dei secoli scorsi che faceva l’oracolo di re e potenti prevedendo eclissi e vittorie mentre studiava il moto degli astri, ma almeno ogni tanto si facevano scoperte fondamentali…
    Ed allora continuo a chiedermi, esiste una posizione piu` elevata per la conoscienza? Vorrei vederle fare da ponte tra le tre teste dell’idra, ma mi chiedo se ci siamo spinti troppo avanti e l’equilibrio che tu invochi sia irrimediabilmente perso ed irragiungibile.
    Cosa ne pensi ?

    • Innanzitutto buon anno anche a te Giulio.
      Sì, sono d’accordo con te: la conoscenza, che dovrebbe essere una visione di insieme più complessa della specializzazione (che equivale a vedere il mondo con un microscopio: ottimo strumento per studiare molti fenomeni, ma non tutta la realtà), e se notiamo le storture dell’economia, della tecnica o della politica è proprio grazie a questa facoltà, che ci permette di notare se stanno prendendo una piega autoreferenziale.
      Per quanto riguarda la scienza il ritratto che dipingi tu non fa una grinza, direi anche che gran parte di quella che oggi chiamiamo ‘scienza’ in realtà è tecnica camuffata: saperi che non danno origine a applicazioni pratiche – e commercialmente efficaci – fanno poca strada. Meglio concentrarsi su conoscenze che si sanno essere fallate ,ma danno riscontri immediati (in fondo l’uomo non è andato sulla luna con le leggi della fisica classica malgrado la confutazione di Einstein? 🙂 )
      Come dici tu, l’attuale Accademia, a parte qualche mente brillante e anticonformista, non sembra la sede ideale per questo rinnovamento del sapere; servirebbero istituzioni indipendenti (una che mi viene in mente l’Institute for Socia Ecology di Burlington, Vermont). Se ci siamo spinti troppo avanti… possibile, ma è meglio agire in ogni caso come se la questione fosse rimediabile!

  2. Bell’articolo Igor!

    Rilancio con questa riflessione di Husserl, in cui si esprime il famoso aforisma “Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto”:

    L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo odierno accetto di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lascio abbagliare dalla “prosperity” che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica. Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto. […] Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso.

    Ciao
    Simone

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