Riflessione dopo i fatti della Grecia

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Un blogger legato alla variegata galassia della decrescita, che prima del referendum del 5 luglio profetizzava la sconfitta del NO causa sostanzialmente la vigliaccheria del popolo greco, non risparmia toni sarcastici dopo il vertice della UE che ha praticamente imposto alla Grecia di trasformarsi in una sorta di colonia, prendendosi la sua rinvincita contro i ‘professionisti dell’invidia’ – espressione presa in prestito dal vocabolario di Renzi, immagino – rei di avergli consigliato qualche scusa ai Greci per l’esito opposto alla previsione. Io ero tra questi, così come sono tra coloro che sarebbero stati sbugiardati per la piega che hanno preso gli eventi.

Rosicata per rosicata, potrei difendermi sostenendo che già prima delle elezioni politiche e dell’affermazione di Syriza avevo molti dubbi sulle possibilità reali di affrontare a muso duro i potentati europei e internazionali, senza accettare pericolosi abbracci come quello con Putin. Ma forse conviene mettere da parte i flame in stile Facebook e ragionare a mente fredda su quanto sta accadendo.

Il titolo di questo post è volutamente ricalcato sulle ‘Riflessioni dopo i fatti del Cile’ scritte da Enrico Berlinguer dopo il colpo di stato militare che nel 1972 portò al potere Augusto Pinochet: il segretario del PCI deduceva da quel golpe l’impossibilità di una forza politica di ispirazione socialista di prendere il potere anche dopo una regolare vittoria elettorale, ragion per cui bisognava cercare un compromesso storico con le forze politiche democratiche al di là dell’area della sinistra. Non so se l’ex ministro delle finanze Varoufakis abbia mai letto anche solo una riga di quelle riflessioni, ma per certi versi – con toni più emotivi di Berlinguer – nelle sue recenti esternazioni, secondo cui oggi il sistema finanziario ha reso superflue le opzioni militari, suona una certa continuità di pensiero.

Sicuramente, la lezione greca insegna che non basta delegare una forza politica, per quanto onesta e ‘diversa’, per farla giocare a Davide e Golia contro il gotha europeo e internazionale. Liberi di pensare che Tsipras avrebbe potuto agire diversamente, in qualsiasi caso si è trovato nella sgradevolissima situazione di scegliere tra mali differenti ognuno dei quali prevedeva ‘lacrime e sangue’ per il suo popolo. Che fare adesso allora?

Il blogger di cui parlavo in precedenza, che alla fine può essersi rivelato più lungimirante di me, propone una strategia in quattro fasi:

– scegliere a chi credere;

– puntare su ciò che ci riesce meglio;

– svincolarci dai ricatti psicologici secondo cui un altro mondo non è possibile;

– focalizzarci sui nostri bisogni primari e, una volta sufficientemente consapevoli, staccare la spina e mettersi in moto.

In realtà, il blogger in questione ha scritto un intero libro di proposte per cui, malgrado il mio status di invidioso professionista, non voglio accapigliarmi criticando una sintesi riduttiva postata su di un blog. Evito anche le polemiche facili, come quella sui ‘bisogni primari’ – è molto più facile concentrarsi su questi per persone, come me e il blogger, che potrebbero in ogni momento abbandonare la decrescita e farsi qualche giorno al Billionaire senza dover aprire un mutuo (sarebbe un’esperienza di decrescita cerebrale!). Partendo da un aneddoto, voglio però tornare sul percorso in quattro fasi proposto.

Qualche giorno fa, un articolo del blog skeptcal science spiegava che l’umanità, anche se tutti i suoi abitanti vivessero in ecovillaggi, sarebbe ancora ecologicamente parlando nei guai. Qualcuno ha reagito in modo stizzito, per quanto mi riguarda l’articolo mi è sembrato semplicemente lapalissiano. Del resto, non vivremo mai tutti in ecovillaggi, come non saremo mai tutti autoproduttori o i GAS non saranno mai l’unica forma di scambio commerciale.Tutto ciò, ovviamente, non inficia minimamente i meriti e le potenzialità di ecovillaggi, autoproduzione o GAS, ma costringe a interrogarsi sulla sorte di coloro che sono fuori da queste realtà e per cui ‘staccare la spina’ suona come una minaccia di morte.

Non posso leggere nella mente di Tsipras, immagino solo che nel mandare giù l’euro-diktat abbia pensato al disastro che sarebbe accorso a queste persone. Come scrissi nell’articolo che ho citato precedentemente, la Grecia è legata a doppio filo alle importazioni. Se vuoi sfuggire ai diktat tedeschi, europei o di chicchessia, devi essere il più possibile autosufficiente, almeno per quanto attiene ai beni fondamentali. Gli ecovillaggi non bastano, ma qualche idea in mente ce l’hanno. Dalla dichiarazione della federazione di ecovillaggi GEN20:

“Lo abbiamo sperimentato in tanti progetti e aree del mondo: un nuovo sistema può essere creato solo dai cittadini che si mettono insieme in luoghi e livelli per costruire comunità autonome decentralizzate e cooperare con le forze della natura. L’uscita dai vecchi sistemi sociali, educative ed economici può avere successo solo se si sceglie e si mette in pratica un’alternativa globale veramente efficace. Qual è la strada? Regioni autonome, industrie che non producono rifiuti e non distruggono risorse, cicli virtuosi dell’acqua, autonomia energetica, riforestazione e auto-sostenibilità sia monetaria che amministrativa”.

Si tratta di una dichiarazione politica e che intende articolare un discorso politico. I buoni propositi del nostro blogger, però, valgono per la minoranza privilegiata per cui ‘staccare la spina’ è un’opzione possibile senza troppi problemi. Tali propositi non vanno scartati, ma potrebbero meritare qualche integrazione:

– scegliere a chi credere ma cercare di capire perché molte persone si aggrappano a certe illusioni, scartando le risposte narcisistiche che tendono esaltare una nostra presunta saggezza o superiorità morale e concentrandoci su quelle che evidenziano nostri eventuali privilegi sociali e svantaggi altrui;

– puntare su ciò che ci riesce meglio e su come l’azione collettiva possa aiutare in ciò che riesce peggio;

– svincolarci dai ricatti psicologici secondo cui un altro mondo non è possibile e sforzarsi di capire la natura di quei ricatti e a quale livello agiscano nell’immaginario collettivo, ma anche come costrizione oggettiva;

– focalizzarci sui nostri bisogni primari e, una volta sufficientemente consapevoli, staccare la spina e mettersi in moto. Io invece prima di partire mi fermerei un attimo e guarderei bene intorno la situazione intorno alla spina.

Forse si può fare un ulteriore integrazione con le riflessioni di Berlinguer. La vicenda greca testimonia che, al di là di faccende di debito sovrano, rapporto debito/PIL, ecc. di mezzo c’è la sopravvivenza stessa della democrazia. Forse anche oggigiorno sarebbe auspicabile un’alleanza dei decrescenti con le forze democratiche, non sempre facili da identificare – anche perché ho l’impressione che molte di quelle che presentano la parola ‘democratico’ nel nome o ne blaterino a vanvera abbiano poco a che spartire con la democrazia. Per anni, la crescita economica è stata sinonimo di sviluppo il quale a sua volta è stato considerato il motore della democrazia, un ragionamento che entro certi limiti e in determinati contesti storici si è rivelato corretto. Far capire che oggi il sovra-sviluppo è la principale minaccia della democrazia in Occidente potrebbe rappresentare il punto di svolta per catalizzare un maggior numero di persone intorno alla decrescita.

Non si può negare che l’idea di democrazia sia stata svalutata negli ultimi decenni di esaltazione del pensiero unico neoliberale, l’inutilità di fondo del referendum del 5 luglio non farà che accentuare tale tendenza, ma è comunque un’idea forte, per quanto la più travisata e strumentalizzata del mondo. Ma, al di là delle ratifiche parlamentari, occorre ripartire da quel voto popolare, che indicava una volontà precisa e il desiderio di recuperare sovranità. Allora pensiamo alla decrescita come riduzione del PIL e aumento della sovranità, non solo sulla propria vita ma anche nella società. Più che a una disconnessione, immaginiamo una riconessione su nuove basi.

Un grosso impegno per i decrescenti: la differenza tra comunità prefigurativa capace di aprirsi  all’esterno e ghetto utopistico può essere molto, molto labile.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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