Proposta Gaia

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Proposta Gaia
La Commissione europea ha promosso una consultazione pubblica “per raccogliere pareri sulla strategia da adottare per impostare in modo nuovo e ambizioso la transizione verso l’economia circolare” specificando:
“Poiché le risorse, in particolare le materie prime essenziali, sono concentrate al di fuori dell’Unione europea, l’industria e la società europee dipendono dalle importazioni e sono sempre più vulnerabili all’aumento dei prezzi, alla volatilità dei mercati e alla situazione politica dei paesi fornitori. Al tempo stesso in tutto il mondo le risorse naturali vengono spesso utilizzate in maniera non sostenibile, il che provoca ulteriori pressioni sulle materie prime, degrada l’ambiente e mette a repentaglio gli ecosistemi. Questa tendenza rischia di accentuarsi con l’evoluzione della popolazione mondiale e dei modelli di crescita economica”.
Scenari
Mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci sono più che dimezzati in soli 40 anni. Il Living Planet Report 2014 del WWF denuncia il declino della biodiversità e l’eccessiva crescita dell’impronta ecologica, il consumo di natura causato  dall’umanità che per l’Italia è 2,6 – in linea con quella dell’Europa. Per soddisfare le nostre necessità di risorse naturali occorrerebbero più di due pianeti Terra e mezzo.
In California, nella Central Valley, gli agricoltori sono arrivati ad attingere a riserve di acqua vecchie di 30.000 anni. In Kenya stanno scavando pozzi (a mano) per raggiungere la falda acquifera che si ritira. Una conseguenza è la desertificazione – povertà dei terreni in materiale organico e in flora batterica che implica, soprattutto, la capacità di trattenere acqua. Il 51,8% del territorio italiano, in base ad elaborazioni climatiche e pedoclimatiche, è potenzialmente a rischio di desertificazione, in particolare la totalità di Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria, Basilicata e Campania e parte delle regioni Lazio, Abruzzo, Molise, Toscana, Marche e Umbria. (Atlante Nazionale delle aree a rischio di desertificazione. C.R.A. ed I.N.E.A.).
L’impronta idrica è il volume di acqua dolce utilizzata per produrre o consumare beni e servizi e per un cinese è di circa 700 m3 l’anno, per un giapponese 1150 e per un americano di 2500.
Per uno smartphone occorrono 13.000 litri di acqua e 18 metri quadri di terreno, per un paio di stivali da 14 a 25.000 l. di acqua e 50 m2 di terreno: è l’impronta ambientale. 18 m2 per uno smartphone non è molto!? Anche se gli smartphone hanno raggiunto un miliardo di pezzi 2 anni fa!!!
L’acqua virtuale è il volume d’acqua necessario per produrre una merce o un servizio. Un kilo di carne di manzo richiede 16 mila litri di acqua, una tazza di caffè 140 litri, 120 litri per un uovo, 2.400 per un hamburger e 1924 per ogni chilo di pasta secca.
Il 70 per cento dell’acqua dolce del pianeta è consumato per attività agricole ed allevamento, pressoché tutti alimentari. Circa il 40% – in USA – e il 30% negli altri Paesi sviluppati, del cibo prodotto finisce nei rifiuti. Quanta acqua buttiamo nell’immondizia?!
Le proiezioni del trend attuale indicano che entro il 2030 il mondo soffrirà di un deficit di acqua del 40 per cento.
Eppure il livello dei mari sta salendo e i ghiacci dell’Antartide si stanno sciogliendo con una perdita di 160 miliardi di tonnellate l’anno, dal 2010 al 2013. Il doppio delle quantità registrate dal 2005 al 2010. L’inevitabile conseguenza è il collasso dei ghiacci dell’Antartico Occidentale.
Contesto
“Un cittadino degli Stati Uniti consuma energia come due europei, sei cinesi, ventidue indiani o settanta abitanti del Kenya. Intanto nei prossimi trent’anni dovranno avere accesso all’energia altri 2,5 miliardi di persone”(Rapporto Annuale del Worldwatch Institute “State of the World 2010”).
“Un’azione urgente e concreta” per affrontare il problema del riscaldamento globale, è la conclusione dell’ultimo G7 – ai primi di giugno a Elmau, in Baviera – ammettendo, implicitamente, che finora si sono prodotte solo teorie. A conferma, un report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, che traccia un bilancio fra quanto è stato detto e quanto è stato fatto, per concludere che sarà difficile contenere il riscaldamento globale nei limiti dei 2 gradi.
L’Ipcc, l’organo intergovernativo chiamato a monitorare il riscaldamento terrestre e a proporre strategie per contenerlo (Premio Nobel per la Pace 2007), analizzando i rilievi degli ultimi 18 anni aveva concluso che c’era stata una pausa – il cosiddetto iato – nel ritmo di aumento delle temperature. Gli scienziati della Noaa, con calcoli più precisi, smentiscono l’Ipcc. Anche l’innalzamento dei mari, con stime più precise, si è dimostrato stia accelerando.
La Terra – Gaia, il pianeta vivente – ha le sue difese. Ma che succede se 7.2 miliardi di suoi ospiti taglia legname più rapidamente di quanto gli alberi riescano a ricrescere, pompa acqua dolce più velocemente di quanto le acque sotterranee riforniscano le fonti e rilascia CO2 più velocemente di quanto la natura sia in grado di sequestrare? Che succede se i danni fatti dall’uomo cominciano ad interagire fra loro? Un effetto domino incontrollabile?
Con un’economia che ha una sola regola, per mantenere l’attuale livello di benessere dei popoli ricchi e per far sviluppare quelli poveri: sempre più gente deve consumare e ognuno deve consumare sempre di più. Altrimenti il sistema va in crisi. E un sistema economico basato sul mercato, quindi sulla competizione, alle crisi risponde … aumentando la competizione. Tutti contro tutti.
Con lo stile di vita statunitense, la Terra potrebbe reggere solo 1,4 miliardi di persone. Suicida pensare che possano uniformarsi ai canoni occidentali i circa 7 miliardi attuali e ancor meno i 2 miliardi prossimi venturi.
Che prospettive otteniamo se moltiplichiamo gli scenari per il contesto?
Vertici
Pochi giorni prima del G20 di Brisbane (Australia) i presidenti dei due Paesi maggiori produttori di CO2 – Barack Obama e il cinese Xi Jinping, – hanno raggiunto un accordo non vincolante per tagliare le emissioni di gas serra nei prossimi decenni (Pechino, 12/11/14). Obama l’ha definito un accordo storico nella conferenza stampa congiunta con Xi. Eppure le due superpotenze non hanno in programma nessun progetto per ridurre le emissioni. Anzi, il parlamento degli U.S. sta negando il problema, per non gravare le industrie di eventuali carbon tax. Peggiore la situazione della Cina, in pieno guado verso la sponda dei Paesi sviluppati: l’obbiettivo è anticipare il picco massimo, per poi cominciare a ridurre.
Chris Hope, analista delle politiche climatiche presso l’Università di Cambridge, ha elaborato i nuovi impegni di Stati Uniti e Cina: “La probabilità di mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto la fatidica soglia di due gradi entro il 2100 è inferiore all’1 per cento; è più probabile che l’incremento sarà di circa 3,8 gradi”.
Se gli sforzi dei vertici mondiali non stanno dando i risultati sperati, perlomeno, si sta delineando la strategia per affrontare il riscaldamento: l’IPCC ha dato un prezzo alle emissioni di CO2: 100 miliardi di dollari che dovrebbero pagare i produttori di CO2 a chi attua misure per ridurla. Un autorevole endorsement arriva, a Brisbane, dal Presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim e al G7 dalle grandi compagnie petrolifere europee, Eni, Bp, Shell e Total (sic!!!?).
Contabilità carbonica
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2015 Anno internazionale del suolo riconoscendogli, così, il gran merito di mitigare l’effetto delle emissioni antropiche di gas serra, immagazzinando elevate quantità di carbonio (C).
A livello planetario il suolo contiene il doppio della quantità di C contenuto nell’atmosfera ed il triplo di quello contenuto nella biomassa vegetale viva.
L’agricoltura intensiva e le attività umane portano – direttamente o indirettamente – ad un impoverimento di sostanza organica, di eccezionale entità, nel suolo (Bellamy et al. 2005).
In molti suoli agrari del nostro paese la concentrazione di sostanza organica è inferiore al 2%. La sua reintegrazione presenta importanti benefici ambientali, quali una maggiore capacità di ritenzione idrica e una maggiore resistenza al dilavamento ed all’erosione per effetto degli eventi meteorici; riduce l’uso di concimi azotati (ogni tonnellata di rifiuti umidi comporta 20 Kg di CO2 in meno in atmosfera e 298 kWh di energia risparmiata) e diminuisce la CO2nell’atmosfera (Pete Smith, 2012).
Un aumento di solo lo 0.14% del carbonio organico in tutti i suoli arabili italiani, fissa nel terreno la stessa quantità di C che attualmente, in Italia, è rilasciata in atmosfera, ogni anno, da tutte le attività antropiche (Paolo Sequi)!
Se dirottiamo il C nel suolo lo sottraiamo all’aria! Il C del suolo nutre le piante che sono la più grande fabbrica di ossigeno.
Cambiare strategia?
L’Italia dispone ogni anno di 160 milioni di tonnellate di rifiuti organici e precisamente: 130 milioni di tn. di deiezioni animali, 10 di frazioni organiche di rifiuti urbani, 8,5 di residui colturali, 5 di scarti agro-industriali, 3,5 di fanghi di depurazione e un milione di tn di scarti di macellazione (da una web search).
Da questi si ricavano i bioprodotti, un mercato in continua espansione (BioEnergy Italia a CremonaFiere), ma soprattutto compost per ammendare, restituire ai suoli le risorse sottratte.
Se questa enorme massa di C viene trasformata in energia, aumenta il riscaldamento globale, se reintegrata nei suoli può contribuire – strategicamente – a migliorare gli scenari esaminati.
Ad Lansink nel 1979 ha ideato la scala – che porta il suo nome – per la gestione corretta dei rifiuti: al primo posto la prevenzione – produrre meno rifiuti possibile – altrimenti il riuso e infine il riciclo. Se non sono possibili queste soluzioni può convenire il recupero energetico e, infine, lo smaltimento in discarica.
Per ammendare tutta la superficie agricola utilizzabile (SAU) italiana dello 0,14% occorrono circa 100 milioni di tonnellate di materiale organico (dedotto dai calcoli in “Emergenza Riscaldamento Globale”, P. Sequi e L. Leita).
Proposta Gaia
Già dal 2013 l’UE ha introdotto il c.d. Lulucf accounting (529/2013/EU) che sancisce l’obbligatorietà della contabilizzazione delle emissioni e degli assorbimenti di carbonio delle terre coltivate e dei pascoli.
Finora i proventi della carbon tax europea, i certificati verdi, sono andati per sostenere le energie rinnovabili. Perché non incentivare anche l’immissione di materiale organico nei terreni?
La proposta Gaia è una contabilità alla pari: dare lo stesso valore alle immissioni di C e al suo reintegro. Chi inquina paga, per ogni kg di CO2 immesso in atmosfera, la stessa cifra che prende chi immagazzina C nel suolo.
Il 2015 è l’Anno Internazionale dei Suoli, nonché l’anno dell’Esposizione Universale dal titolo “Nutrire il pianeta – Energia per la vita”.
L’Expo è una vetrina mondiale delle parole e delle intenzioni, ma l’implementazione?
Non sarebbe questo un buon segnale di riconciliazione verso Gaia?

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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Medico di Medicina Generale, Specialista in Gastroenterologia, già Ricercatore presso l'Unità di Ricerca Gastroenterologica dell'Università "Alma Mater Studiorum" di Bologna. Nel mio impegno a perseguire una carriera nel campo della ricerca, che ho sempre considerato di grande interesse, mi sono confrontato con un periodo in cui il percorso del dottorato non era ancora formalmente strutturato e le selezioni erano regolate da criteri "soggettivi". A causa di impegni familiari e responsabilità, ho dovuto interrompere temporaneamente il mio percorso nella ricerca. Tuttavia, l'esperienza acquisita come ricercatore ha influenzato in modo significativo il mio approccio critico e le mie valutazioni in campo medico. Perchè la Verità è come l'orizzonte, più ti avvicini ...

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