Suspense fra decrescita e glocalismo/3

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Che fine faranno i pesciolini rossi nell'oceano?
Che fine faranno i pesciolini rossi nell'oceano?
Che fine faranno i pesciolini rossi nell’oceano?

Il tempio, il parlamento, il tribunale, il mercato: il layout dell’agorà esplicita la civiltà che ha coniato i termini, ancora usati ma con tutt’altra valenza, politica (amministrazione della Polis), democrazia (potere … ma che lo dico a fare?).

L’americano Lewis Mumford si stupiva per la bruttezza delle case ateniesi. Tanto brutte quanto bella era l’agorà, come a rimarcare la supremazia del pubblico -la Polis- sul privato. Complice anche il clima mite, la vita si svolgeva più in piazza che nelle anguste case.

Se l’agorà è il simbolo della democrazia, le piramidi –sotto varie forme ed espressioni- materializzano il potere assoluto, verticistico -l’impero- specie se teocratico. Emblema dell’imperatore uno e trino: massima autorità teologica, giudice supremo e dittatore (1).

Viceversa, l’ambiemeksika-turu10nte non è solo lo specchio del pensiero e dei costumi dell’epoca: il cemento, l’asfalto, l’architettura e l’urbanistica incidono sull’emarginazione, la ghettizzazione dei giovani dei quartieri periferici e contribuiscono a farli rifugiare in “paradisi artificiali” (2).

Siamo abituati a pensare in maniera lineare, causa-effetto, i mezzi e il fine … Ma la realtà è circolare, il fine è nei mezzi e il fare esplicita, rivela l’essere. L’essere, non quello che l’essere crede di essere.

Qualunque sistema è un circolo dove ogni componente interagisce ed implica altre. L’architettura, l’urbanistica, l’arte, la moda, il vestiario, la politica, le leggi, la/e medicina/e, le malattie, la storia, i cambiamenti geo-politici, la ricerca scientifica … nulla è casuale. Tutti amorfi di per sé, è l’uomo che gli dà forma, significato, scopi, finalità (3) (9).
Cambiare un particolare è possibile solo se quel particolare si inserisce nel sistema circolare senza contraddizioni.

Chi non fuma, pratica attività fisica con regolarità, assume alcool con moderazione e mangia almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno vive in media 14 anni di più e ha una probabilità di morire quattro volte inferiore –arrivando, in tarda età ancora autosufficienti- rispetto a chi non ha nessuna di queste abitudini (4).
Per capire l’importanza di questi risultati basti pensare che nessun farmaco ha mai dimostrato di allungare la vita, neanche di un giorno (5).

L’allarme sulla possibilità che le malattie derivanti dal benessere (diabete, ipertensione, “colesterolo”, bronchite cronica) mettessero in crisi il sistema consumistico risale al secolo scorso (6). Nonostante l’intervento di programmi internazionali, l’avanzata delle malattie croniche è stata peggio del previsto. Oggi in Italia assorbono il 75% della spesa sanitaria.
Perché per noi è possibile fare una dieta ma non cambiare stile di vita? Perché la dieta è un affare per il sistema, cambiare stile di vita porterebbe a gravi perdite.

Il cerchio magico. La circolarità del sistema presenta aspetti particolari: dalla cultura di un popolo derivano le sue scelte, stile di vita, mangiare, passare il tempo libero, metter su famiglia, ragionare, vestirsi, votare … per convenzione l’insieme di questi particolari lo chiamiamo cultura. In questo senso la cultura di un popolo è l’insieme dei pre-giudizi, pre-concetti da cui parte per giudicare gli altri: popoli, civiltà, altre culture. Passato, presente, futuro. Un cerchio magico: tutto origina dalla cultura popolare e tutto torna ad essa. Ho detto origina? Un cerchio non ha un punto di inizio né di fine.
La magia sta nel fatto che è capace di divorare qualsiasi particolare voglia cambiarlo:
conoscete una rivoluzione che ha cambiato il corso della storia? O una filosofia , un partito … Fascismo, comunismo, nazismo, libero mercato o quant’altro sono servite come contrapposizione dialettica in una spirale che è andata avanti sempre con le stesse regole e con gli stessi obbiettivi. Le stesse regole di Sunzi, 2.600 anni fa (7).
Emblematico Ernesto Guevara, il “Che”: una vita di sacrifici disumani spesa per un preciso ideale, finito sulle t-shirt delle società contro cui ha lottato. Contrapporre ideologia ad ideologia corrisponde al dialogo fra due montagne.
Fatti, azioni, iniziative che possono pregiudicare il cerchio magico o vengono respinte già all’origine o vengono neutralizzate costruendoci sopra un business.
Jeremy Rifkin, in “Economia all’Idrogeno” propugnava auto alimentate ad idrogeno e la possibilità che ognuno diventava produttore di energia (idrogeno fatto in casa). Con voluta ingenuità mostravo sinteticamente in “Modello Glocal” una maniera diversa di intendere il cerchio prodotti-consumi (8). Ma per ora solo le multinazionali si possono permettere di investire sull’idrogeno come sui vari aspetti del modello Glocal.
Facile prevedere come andrà a finire: mentre noi ci masturbiamo sulla bontà delle microalghe che mangiano CO2 e rilasciano ossigeno una multinazionale brevetta un processo per produrre in casa il biofuel. Linfa nuova per il sistema.
Ma le alghe, come l’immondizia o le feci, non tifano per un sistema anziché un altro. Semplicemente si può fare biogas, dall’mmondizia e dai fanghi di fogna, per fare soldi oppure perché il metano è 23 volte più “effetto serra” della CO2. Trasformando una fonte di inquinamento in risorsa.
La decrescita, come la salute “naturale”, mette in crisi il sistema, fa perdere milioni di posti di lavoro e diminuisce gli introiti dello Stato. Ma il sistema riesce a fabbricare gli anticorpi.
Ma a livello globale siamo in un momento particolare: miliardi di persone sono a quel bivio che noi affrontammo 50 anni fa. Ricordo quando giungevano notizie che in America si buttava il cibo. Mentre da noi bisognava lavorare per mettere insieme il pranzo con la cena e in Bangla Desh o nel Biafra si moriva di fame. Eravamo avvisati che se ci incamminavamo sulla strada del benessere e del consumo andavamo incontro alle malattie derivanti dall’opulenza. Eppure ci siamo incamminati e l’abbiamo seguita tutta,  quella strada. Aiutandoci pure: aumentando a dismisura il debito pubblico per accelerare lo sviluppo.

È questo che mi rende ottimista: su 7 miliardi di persone 6 miliardi sono poveri. Se quei 6 miliardi capissero che il modello occidentale non è tutto buono. Se capissero che ogni civiltà ha le sue malattie, connaturate, dovute al sistema e imparassero a prendere solo il meglio del nostro sistema (9).

Chi l’ha detto che il consumismo è l’inevitabile conseguenza dell’evoluzione umana? La storia dell’uomo può essere letta anche come lotta per la sopravvivenza. In questo senso tutti i popoli hanno sviluppato sistemi integrati con l’ambiente naturale. Altrimenti scomparivano.
L’affrancamento dai limiti naturali, la globalizzazione dell’edonismo e della cultura dell’avere indicano un distacco dall’ambiente che non può durare. O se dura non può che essere un vicolo cieco. Concentrare le risorse solo sui consumi rende fragile e dipendente il sistema.

Può essere il glocalismo un sistema completo? “Think global act local” implica un fine preciso, reintegrarsi con l’ambiente. Globale. Ma anche una maniera per farlo.

Se vediamo le cose in maniera globale potremmo dire che abbiamo sufficiente tecnologia, sufficienti risorse -umane e materiali- per risolvere i grandi problemi dell’umanità. Ma non sappiamo organizzarci perché non abbiamo la cultura.

Con le potenzialità che abbiamo sembriamo … pesciolini rossi, nati e cresciuti in bocce sferiche, improvvisamente liberati nell’oceano. Continuiamo a girare in tondo, sempre nello stesso angusto spazio. Non ci siamo accorti che la boccia non c’è più perchè ci manca la cultura per andare oltre la boccia.

(1). Lewis Mumford “THE CITY IN HISTORY” Harcourt Brace and World, New York, 1961.
(2). Vittorio Spigai, “L’Architettura della non città – ridisegnare le periferie”, ediz. CittaStudiEdizioni, Milano, 1995. Oppure: Le Corbusier, “Ouvre Complète n.4, 1938-46” , Ed. Girsberger, Zurich, 1976
(3). Marshall McLuhan “THE GUTENBERG GALAXY” University of Toronto Press, 1962
(4). http://www.srl.cam.ac.uk/epic/
(5). Non è facile paragonare l’effetto dei farmaci con misure naturali perché quelli vengono valutati per singoli end point. Dire che un farmaco diminuisce un evento –mettiamo l’infarto- del 20% non significa che allunga la vita né tanto meno che aumenta i giorni/salute. L’end point che ritroviamo in quasi tutti i trials e che più si avvicina a anni di vita (o giorni salute) guadagnati potrebbe essere “mortalità per tutte le cause”. Nessun farmaco ha mai spostato questo parametro in avanti.
(6). https://www.facebook.com/notes/vincenzo-pisante/promemoria-per-il-ministro-della-salute/10151421477491267
(7). Sunzi (Sun Tsu) “L’arte della guerra” (scaricabile comodamente in pdf).
(8). http://www.decrescita.com/news/modello-glocal/

(9). http://rete-ecomedicina.blogspot.it/2013/04/ecologia-medica.html

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Medico di Medicina Generale, Specialista in Gastroenterologia, già Ricercatore presso l'Unità di Ricerca Gastroenterologica dell'Università "Alma Mater Studiorum" di Bologna. Nel mio impegno a perseguire una carriera nel campo della ricerca, che ho sempre considerato di grande interesse, mi sono confrontato con un periodo in cui il percorso del dottorato non era ancora formalmente strutturato e le selezioni erano regolate da criteri "soggettivi". A causa di impegni familiari e responsabilità, ho dovuto interrompere temporaneamente il mio percorso nella ricerca. Tuttavia, l'esperienza acquisita come ricercatore ha influenzato in modo significativo il mio approccio critico e le mie valutazioni in campo medico. Perchè la Verità è come l'orizzonte, più ti avvicini ...

4 Commenti

  1. Caro Vincenzo,
    ben detto.
    Essere globali significa capire il mondo nella sua globalita`, cioe innanzitutto le sue leggi fondamentali che sono uguali dappertutto…
    poi, una volta che abbiamo capito che le leggi sono le stesse ed un chilo di pane tedesco sfama tanto quanto un chilo di pane asiatico, quindi avendo rimosso i motivi storici per cui un’ora di lavoro in Birmania costa un decimo (o meno) che in Germania, ecco che tutto si aggiusta.
    E questo si puo` fare solo se si opera localmente.

    • Caro Giulio,
      probabilmente non ci sono riuscito ma volevo dire che il proplema è uno solo: ci sono miliardi di persone che lavorano per uno scopo che chiameremo profitto (lucro, guadagno …).
      Chi per piccolo chi per grande lucro.
      Si crea una spirale che riesce ad intrappolare tutto. In gioventù da anarchico ho frequentato anche una comune, in Toscana (Poppi, Arezzo). Tutto … asfaltato.
      La puoi pensare come vuoi, tranquillamente vieni risucchiato. E va avanti da sola perchè tutta la realtà è costruita per farla andare avanti.
      Il problema è: se vuoi raggiungere una finalità diversa metti a fuoco bene il target e costruisci una strategia per arrivarci.
      La carrellata che riportavo nel precedente post era un tentativo di approfittare di determinate occasioni per intrufolarci in questa spirale a maglie molto strette. Anche perchè l’attuale ambiente tecnologico potrebbe essere favorevole ad un target diverso.

  2. Caro Vincenzo,
    hai completamente regione.
    Nel tuo scritto intravvedevo anche la conclusione che in un mondo ideale potremmo essere capaci di essere culturalmente globali e produttivamente locali, cosa di cui sono convinto profondamente.
    Tu hai illustrato i rischi legati al profitto con immagini e sensazioni di una spirale perversa, ma putroppo assolutamente reale.
    Io penso che l’obiettivo di eliminazione del profitto possa anche essere dimostrato logicamente dalla comprensione delle leggi entropiche (forse le leggi piu` globali che esistano).
    Ne avevo accennato in una precedente nota… mi chiedo se abbia senso approfondirla.

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