Tre equilibri imprescindibili

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equilibrioIl disastro ecologico planetario in corso, il prossimo esaurimento delle risorse non rinnovabili, la prorompente crescita demografica, il fallimento ormai conclamato del capitalismo anche sul piano economico dopo gli evidenti perversi effetti politici sociali, culturali e più in generale in termini di benessere individuale rendono ineluttabile il tramonto dell’attuale sistema socio-economico-politico.

Ne facciamo volentieri a meno. Il passaggio ad una nuova situazione non sarà però indolore e potrebbe condurci ad un incubo peggiore dell’attuale: un mondo distrutto in cui gli uomini si dilaniano per garantirsi le ultime possibilità di sopravvivenza.

Oppure questo cambiamento potrebbe aprire la strada ad un mondo migliore, più equo, più integrato nella natura, più felice.

Molto dipenderà dalla capacità di guidare la transizione dal vecchio al nuovo rendendola al contempo meno traumatica e foriera di un nuovo ordine globale basato su maggiori libertà locali e personali.

L’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che realizzi compiutamente una società della decrescita implica il raggiungimento di tre equilibri.

1) Il rientro della razza umana nell’equilibrio ecologico planetario;

2) l’equilibrio spirituale della persona umana;

3) l’equilibrio nelle relazione umane tra gli individui all’interno delle comunità locali e delle comunità stesse tra di loro.

Ciascun equilibrio permetterà di raggiungere diversi obiettivi di grande importanza. I principali sono rispettivamente:

1) salvare la biodiversità residua, interrompere il mutamento climatico antropico, ripristinare gli habitat ancora recuperabili;

2) liberarsi delle compulsività consumistiche, re-impadronirsi del tempo sociale e individuale,

3) riscoprire il valore della comunità, elevare il bene comune a principio etico universale, collaborare nel rispetto delle diversità.

Tutti e tre gli equilibri sono metastabili, dinamici e strettamente interconnessi, tanto che non è possibile raggiungerne nessuno singolarmente. Vanno pertanto perseguiti simultaneamente e attivati congiuntamente.

Il primo equilibrio richiede l’adesione mondiale ad un percorso di decrescita perché non vi siano predatori superstiti che vanificano il lavoro altrui, ma altrettanto importanti saranno le azioni locali, soprattutto nelle aree ancora più ricche di biodiversità, ma non solo.

La gestione pubblica del territorio finalizzata alla sua autentica salvaguardia dovrà coniugarsi ad un mutamento nel campo privato degli stili di consumo, a partire dal campo alimentare (cibo locale, consumi stagionali, prodotti biologici o naturali, autoproduzioni, orti pubblici, disincentivi agli allevamenti) fino a quello tecnologico (ad esempio in campo informatico utilizzo di macchine a basse prestazioni e di software libero).

Il cambio nei consumi si ripercuoterà sul campo produttivo decretando la dismissione di molte industrie, con il riassorbimento della manodopera nell’agricoltura a bassa intensità senza chimica (fertilizzanti e presidi fitopatologici), poco meccanizzata e con uso di sementi antiche, mentre il tele -lavoro e i servizi in rete (il cui accesso sarà gratuito) potrà permettere di eliminare tutti gli spostamenti lavorativi in campo impiegatizio e per accedere ai servizi amministrativi

Durante il processo di ridefinizione profonda dell’impatto umano sull’ambiente sarà necessario intensificare le azioni di tamponamento. Le azioni più urgenti di ecologia superficiale sono:

1) la tutela integrale delle foreste pluviali residue,

2) una drastica riduzione della pesca per permettere almeno un parziale ripristino degli stocks ittici,

3) la messa al bando dei pesticidi con azione tossica nei confronti degli insetti impollinatori,

4) una tassazione ecologica su tutti i prodotti a partire da energia, combustibili e mezzi di trasporto,

5) la riduzione immediata delle emissioni di gas serra.

Il secondo equilibrio, pur individuale necessita di un tessuto sociale di supporto, ovvero di un mutamento culturale che può insorgere dal basso grazie alle nuove possibilità di comunicazione di massa. Ad esempio video spiritosi e accattivanti postati su you tube possono diffondere idee anche molto importanti a costo limitato, ma con grande efficacia e diffusione enorme.

E’ chiaro che ideale sarebbe poter coinvolgere i media tradizionali (radio-televisione, stampa, editoria), ma il controllo di questi canali da parte dell’attuale establishment economico -politico rende tale prospettiva di difficile realizzazione e non esente da rischi.

Molto però può essere fatto anche tramite il contatto diretto: con la promozione di conferenze, proiezioni di video, eventi ludico – culturali che veicolino pratiche e idee di decrescita.

E’ importante coinvolgere un grosso numero di persone, anche quelle non interessate o attualmente ostili alla decrescita e ciò è possibile organizzando incontri su temi specifici di interesse generale – come alimentazione naturale, erbe spontanee, riciclo dei rifiuti, prodotti locali, filosofia e spiritualità, tecniche di meditazione – introducendo concetti di decrescita in modo morbido e graduale.

Tutti gli eventi dovranno però essere pensati fin dall’inizio come tappe di un percorso che dovrà sfociare in una vasta campagna di sensibilizzazione e ri-alfabettizzazione socio-ambientale degli adulti.

Ancora più fondamentale però sarà educare i bambini, per questo sarà indispensabile una serie di azioni che abbiano come target il corpo insegnante a tutti i livelli scolastici ed un’altra serie di azioni da svolgere direttamente nelle scuole ad opera di volontari qualificati.

Anche qui l’opzione ideale sarebbe lo sfondamento politico che permetterebbe di mettere mano ai programmi ministeriali.

Scuole filosofiche e religiose, recenti o antiche, che permettano agli individui di ritrovare se stessi e il proprio posto nell’ecosistema, una volta interrotto il circolo vizioso di consumo/lavoro, non mancano e nuove sintesi o visioni innovative non tarderanno a presentarsi se il mondo intellettuale prenderà maggiore coscienza dell’urgenza del cambiamento.

Il terzo equilibrio è per certi versi quello più complesso perché prevede la sostituzione delle attuali istituzioni o il loro drastico cambiamento per consentire un livello efficace di sintesi tra istanze locali, regionali e globali.

Il modello di riferimento sarà quello delle comunità locali, le uniche in grado di gestire efficacemente il territorio e preservarne le ricchezze naturali.

Non tutte le comunità dovranno essere uguali, anzi sarà utile il contrario.

Per ognuno dei molteplici aspetti su cui si basa un’organizzazione sociale un equilibrio può essere trovato su punti differenti all’interno di determinati ambiti di variazione compatibili con la realizzazione dei tre equilibri fondamentali.

Ad esempio per i consumi alimentari si possono immaginari comunità integralmente fruttariane o comunità in cui convivono veghiani, vegetaliani e altri vegetariani, ma anche comunità in cui limitati consumi di carne e / o pesce risultano sostenibili e desiderabili, sopratutto in aree con vincoli ambientali molto rigidi (si pensino ad esempio a comunità inuit o di alta montagna o popolazioni ancora “primitive” nelle foreste pluviali).

Fig 1 – Attitudini alimentari

Fruttariani —-*——–*——*————————————- Carnivori spinti
* punti di equilibrio in differenti comunità locali

O nel campo delle attività economiche possiamo immaginare comunità locali indirizzate integralmente ad attività agricole e di produzione artigianali di uso locale o regionale e comunità che mantengono produzioni manifatturiere altamente specialistiche – come distretti elettro-medicali o di produzioni di celle fotovoltaiche o di centraline eoliche o di bruciatori di biomassa o ancora di lavorazione di materie prime (in massima parte provenienti dalle discariche)– destinati agli scambi su ampia scala.

Fig 2 – Attitudini commerciali

Distretto autarchico ——*—–*————-*———– Distretto specialistico vocato all’esportazione

Così nel campo dell’organizzazione politico alcune comunità potranno rifarsi a modelli collettivistici – ad es. Kibbutz – altre trovare efficienti relazioni di cooperazione in un quadro di maggiore autonomia personale.

Gli scambi economici potranno essere affidati in piccole comunità agricole al baratto, in comunità più estese dovranno utilizzare monete con un corrispettivo reale. Ossia solo beni esistenti e servizi erogati creeranno la moneta, che sarà dunque un credito in mano a chi la possiede e non un debito. La moneta potrà essere virtuale ed espressa anche in forma non convenzionale come ad esempio tempo o prodotti reali. Ciò significa che più monete potranno circolare parallelamente e la loro diffusione sarà limitata solo dalla diffusione della fiducia che incontreranno negli utilizzatori.

Così le varie comunità avranno anche un posizionamento in ambito monetario.

Ancora differente potrà essere il modello insediativo: dal popolamento diffuso in fattorie isolate ai villaggi rurali, fino ai piccoli centri urbani.

Variei saranno le scelte per l’approvvigionamento energetico, la gestione dei rapporti sociali, la giustizia, il sistema educativo, i metodi sanitari per le cure di base, le forme di intrattenimento e le attività sportive, etc.

 L’insieme dei posizionamenti delle comunità sui singoli aspetti porterà ad un posizionamento complessivo della comunità (ragnatela sociale).

ragnatela sociale
Fig 3 – Ragnatela sociale

 A titolo esemplificativo in Fig 3 il segmento aa potrebbe rappresentare le attitudini alimentari, bb le attitudini commerciali, ee le attitudini politiche, dd le attitudini nel campo educativo, hh nel campo energetico, etc.

Le relazioni tra le differenti comunità saranno determinate dalle loro reciproche caratteristiche, con ampie possibilità di relazioni culturali ed economiche anche, o forse addirittura soprattutto, tra comunità dal profilo dissimile.

Dovranno esistere comunità specializzate in campo sanitario, che potranno offrire servizi di altissimo livello a tutte le comunità limitrofe e anche oltre. Così vi saranno comunità che produrranno nel massimo rispetto dell’ambiente e con il massimo riciclo di elementi di base prodotti tecnologici come computers o attrezzature scientifiche.

Così i campus universitari diverranno comunità dedicate all’educazione di alto livello e alla ricerca.

Regolare l’accesso delle persone più valide, creative e collaborative ai posti di comando in queste comunità sarà una delle sfide da affrontare.

Potranno esistere anche comunità itineranti. Possiamo immaginare ad esempio che gruppi di appassionati della bicicletta costituiscano delle reti di trasporto che muovano le merci su carri a pedali, da scambiare in mercati che diverranno di nuovo punto di incontro di culture, mentre per le lunghe distanze verranno rivalorizzate grosse barche a vela da trasporto.

Sistemi innovativi come il trasporto pneumatico potranno affiancarsi nel tempo e/o per utilizzi specifici.

Tutte le comunità cercheranno la massima autonomia energetica e alimentare, bandiranno i mezzi di trasporto più inquinanti e limiteranno l’utilizzo di energia per il trasporto ai mezzi di emergenza (ambulanze, vigli del fuoco, protezione civile).

Come all’interno di ciascuna comunità le attitudini individuali dovranno essere mediate per giungere ad una sintesi efficiente nell’insieme e non frustrante per gli individui, così la rete di relazioni tra le comunità dovrà consentire oltre alla libera affermazione delle vocazioni locali l’efficienza e la sostenibilità a livello regionale e globale.

Per realizzare ciò lo scambio costante di idee e la disponibilità a considerare sempre le ricadute su più ampia scala di ogni decisione su piccola scala e l’opportunità di attivare sinergie regionali saranno elementi imprescindibili.

Il confronto con l’esterno potrà aiutare l’evoluzione delle singole comunità, mentre il percorso dell’umanità sarà dato dalla somma dei processi di trasformazione locale, differenti sia nelle velocità sia nei punti di arrivo, ma tendenzialmente non conflittuali poiché il quadro di riferimento sarà condiviso da tutti.

L’alternativa, cioè l’apertura di conflitti, in grado di vanificare in larga parte tale cammino, è il pericolo da scongiurare. Anche per questo risulta importante la discussione delle basi teoriche del cambiamento verso una decrescita felice per giungere alla più ampia convergenza di vedute su scala globale.

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Laurea in scienze agrarie, dottorato di ricerca in economia del sistema agroalimentare, sta avviando un'attività agricola autonoma. Scrittore dilettante pubblica racconti e poesie nel suo blog (http://debolisegnali.blogspot.it/). Fortemente orientato a decrescere felicemente.

5 Commenti

  1. Il problema è b che questa sembra essere solo una scelta più “carina” su come morire.
    ora ci rendiamo conto che dovevamo comportarci equamente con rispetto ecc e cerchiamo di farlo, pensando sia la soluzione.
    Invece la soluzione è solo in un calo demografico, pianificato o no poco importa. Se non scegliamo noi lo farà la natura per noi.
    bisogna pianificare in contenimento delle nascite fino a tornare a 3 miliardi al massimo di persone.
    tutto il resto verrà anche di conseguenza.

    • Dire che la soluzione è ‘solo’ nel calo demografico è profondamente sbagliato; l’impatto sul pianeta è dato da popolazione, consumi e tecnologia, un paese come l’Italia è in saldo demografico negativo ma l’impronta ecologica di un italiano è di svariate volte superiore a quella di un nigeriano, di un bengalese o di un altro paese sovrappopolato povero. Basterebbe una popolazione globale di solo 1 miliardo e mezzo di persone ma con stile di consumo statunitense per mandare tutto in overshoot. Personalmente, oramai sono allergico a tutte le soluzioni ‘universaliste’ e ritengo che ogni regione del pianeta debba concentrarsi sui suoi punti deboli ecologici: da noi l’enfasi sulla sovrappopolazione sarebbe solo un modo per presentare tutto come un problema ‘degli altri’, quindi ha più senso concentrarci su consumi e tecnologia.

      • Che ogni regione debba puntare sulle sue debolezze e risolverle è giusto.
        ma secondo me il fattore demografico sarà un problema poco risolvibile anche ammettendo un salto tcnologico e virtuosismi ecologici vari.
        E non è un problema degli altri solo perché noi siamo già a crescita zero: io ragionavo considerando la Terra, l’umanità. Non è che se si salva l’Italia e basta è risolto il problema…
        E non è mia intenzione fare teorie universali ma volevo rilevare solo che la Terra può anche contenere 1mld di americani consumoni o 3 mld di decrescionisti ma sempre un limite ce l’ha.
        Lo puoi spostare ma non rimuovere.
        Tornando al mio paragone iniziale, magari mal spiegato, è come scegliere di vivere all’eccesso o in modo salutista: prima o poi si muore lo stesso.
        Non si può evitare, si può solo giocare a posticipare il momento: la specie umana (che il singolo dovrebbe cercare di preservare dall’estinzione applicando la decrescita) durerà di più ovviamente in base all’equilibrio che tutti insieme riusciremo a costruire tra popolazione e tecno-ecologia. Ed è dinamico.
        il fattore demografico spesso non è un argomento facile… e con quanto sopra non voglio dire che mi auguro un meteorite o una politica mondiale rigida a zero crescita per 10 anni o una guerra nucleare ma è proprio questo il punto…
        Ammettendo di essere arrivati tutti al massimo dell’efficienza di tutto l’unica variabile che resta da ottimizzare è quella: quanti siamo.
        Ed è scomoda. Molto scomoda.
        Se per salvare a Terra e la specie umana dovessimo fare come anni fa la Cina ci sarebbero tante persone che non capirebbero e non accetterebbero.
        Non crede?
        oggi pensiamo che avere figli sia un diritto e non un dono o un evento naturale che può non verificarsi.
        dice che arriveremo ad essere spiritualmente pronti per autolimitarci?
        Spero tanto che basti decrescere economicamente (meno consumi, produzioni efficienti e blabla ) e di avere il tempo per farlo tanto da ottenere qualche miglioramento visibili. Ma quando guardo Cina India e compagnia bella fare altro per i soliti soldi, abbia pazienza mi viene qualche dubbio.

        • Mi sembra azzardato affermare che siamo giunti al massimo di efficienza possibile, il problema grosso è che in un’economia orientata alla crescita continua l’efficienza finisce per aumentare il consumo totale (paradosso di Jevons) e si vanifica. Comunque c’è un problema di sovrappopolazione ed è giustamente delicato parlarne, per il motivo molto semplice che per un occidentale come me è molto facile non avere figli (e per certi versi edonisticamente invitante) perché vivo in una società con uno welfare state e dei servizi che si prenderanno cura di me da vecchio. In altre parti del mondo dove queste cose non esistono, invece, significa condannare a morte anzitempo centinaia di migliaia di persone. Quindi per fortuna che c’è delicatezza su questo argomento – che non vuol dire tabù, intendiamoci.
          Se parliamo di Cina poi, si vanno a proporre soluzioni peggiori dei mali che vorrebbero curare: siccome hanno guardato solo al numero delle teste disinteressandosi ai consumi, il risultato è che oggi una famiglia nucleare cinese urbana mamma-papà-figlio unico impatta di più di una famiglia allargata contadina. Perché consumi e tecnologia rientrano nell’impatto, non sono dei bla bla bla e se non lo capiamo non arriveremo da nessuna parte.
          Evitei anche di demonizzare Cina e India, perché più che fare le cose per i ‘soliti soldi’ stanno semplicemente copiando lo sviluppo occidentale e sono per altro ancora abbastanza lontani (e secondo me lo saranno per sempre). Un cinese o un indiano medio ha un’impronta ecologica minore della mia e della sua, per cui insisto: invece di guardare il lato ecologicamente oscuro ‘degli altri’, sarebbe meglio che ognuno lavorasse sui propri, altrimenti in occidente rinfacceremo la natalità africana e asiatica e questi viceversa attaccheranno gli occidentali per i consumi, in un circolo vizioso senza fine.Ricordando sempre che la transizione + più facile per chi sta meglio.

      • Ho bisogno di fare alcine precisazioni per chiarezza di chi ci legge.
        Con Blabla non intendevo sminuire la decrescita, era x “riassumere argomenti noti” al pari di un ecc. Mi scusi.
        Demonizzare gli stati come India e Cina no no, le mie erano solo riflessioni in corso osservando anche gli altri”compagni di viaggio” che oggi mi paiono più rilevanti di noi nello spostare l’ago della bilancia.
        come dice lei avremo un’impronta maggiore nonostante siamo nemmeno un decimo di loro.
        ma soprattutto “essere arrivati al massimo dell’efficienza” come condizione attuale non l’ho mai detto: ho formulato un’ipotesi per cui SE anche fossimo in tale condizione secondo me ci sarebbe semore la demografia da considerare e gestire.
        Solo un mio pensiero.
        Grazie per lo scambio.

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