Biochar: il carbone che aiuta l’ambiente

1
5356

Lte4fAFfcQbi5p4LJwLD1wpJDZIVB9Lo_grE3v8rJeo“Siamo polvere di stelle, siamo dorati, siamo carbonio che ha miliardi di anni,
e dovremmo metterci in cammino per far ritorno nel giardino”
(Joni Mitchell)

Il Biochar, traducibile come “carbone biologico” ma comunemente definito carbone vegetale, è considerato ormai da un ampio numero di ricercatori un mezzo formidabile per migliorare la fertilità dei suoli e per aumentare la ritenzione di acqua e nutrienti in terreni desertificati o degradati. Ma altrettanto importanti sono le sue potenzialità nel contrastare i cambiamenti climatici, poiché permette di sequestrare nel suolo quantità considerevoli di anidride carbonica.
Normalmente quando bruciamo della biomassa, residui di potatura per esempio, re-immettiamo in atmosfera la quasi totalità del carbonio che le piante hanno immagazzinato durante la loro crescita. Attraverso un processo termochimico chiamato pirolisi, invece, riusciamo quasi ad invertire questo meccanismo: il risultato è biochar, carbone vegetale che ha la straordinaria capacità di mantenere fino al 90% del carbonio presente originariamente nella pianta. E del tipo “recalcitrante”, tanto stabile che per decomporsi impiega secoli, persino millenni. Se interriamo il biochar, praticamente “sequestriamo” il carbonio nel suolo per lunghissimo tempo invece di aumentarne la concentrazione in atmosfera. Usando correttamente la pirolisi al posto della combustione a fiamma aperta, inoltre, otteniamo dei benefici anche sul piano sanitario: non si producono fumi tossici, una delle prime cause di mortalità a livello mondiale, specie nei paesi in via di sviluppo.(1) Inoltre, utilizzando il carbone ottenuto come filtro per l’acqua si riducono drasticamente i costi per la potabilizzazione, fattore determinante per la sopravvivenza in molte zone del globo. Vi sono infine anche vantaggi economici: la pirolisi consente risparmi notevoli sui costi del combustibile per riscaldare e per cucinare perché funziona con qualsiasi tipo di residuo vegetale ed ha un’elevata efficienza di combustione (minor consumo); inoltre si riduce il tempo impiegato nella raccolta del combustibile (2), possono essere usati scarti vegetali altrimenti considerati rifiuti da smaltire, e interrando il biochar la fertilità del suolo migliora aumentando qualità e rese dei raccolti e diminuendo le concimazioni, il che equivale a minor consumo di risorse e di energia.

Ridurre la CO2 “un pasto al giorno”

Esistono al mondo almeno 20 aziende che producono pirolizzatori di svariate misure. Ci siamo messi in contatto con la realtà che abbiamo trovato più interessante, sia per l’innovazione e l’altissima efficienza delle loro stufe – ciononostante alla portata di tutti – sia per la straordinaria esperienza di cooperazione e di sostegno ai paesi in via di sviluppo che sono stati in grado di innescare. Accanto ai già citati effetti positivi globali del biochar, i rivoluzionari programmi della WorldStove stanno riuscendo anche su scala locale a mitigare gravi problematiche ambientali e sociali: aiutando comunità di piccoli agricoltori nei villaggi rurali, incrementando la sovranità alimentare e l’indipendenza energetica delle popolazioni più povere, si contribuisce anche a diminuire l’impatto devastante della deforestazione e a preservare gli ecosistemi in zone fragili del pianeta.
Secondo Nathaniel Mulcahy, fondatore della WorldStove e inventore delle Lucia Stove: “Il miglior combustibile per la pirolisi e la produzione di biochar sono gli scarti agricoli e vegetali locali, che altrimenti verrebbero bruciati in fuochi aperti producendo anidride carbonica e fuliggine, oppure lasciati sul terreno generando l’emissione di metano e altri gas serra”.
In una cittadina del Burkina Faso ad esempio, molte famiglie spendevano 3 Euro al giorno per comprare legna da ardere dal vicino Ghana. E questo nonostante che nei campi attorno alle case vi fossero montagne di gusci di noci di karité, scarti di un impianto di produzione. WorldStove ha pensato di costruirvi una piccola fabbrica dove la gente del posto potesse gradualmente avviare la propria azienda produttrice di stufe ad alta efficienza, e di pellet a base di gusci di karité per farle funzionare. “Quello che facciamo non è vendere stufe” prosegue Mulcahy. ”Ci interessa molto di più contribuire al miglioramento delle condizioni di vita in questi paesi, e questo vuol dire anche lavoro: con i nostri 5 step program l’obiettivo è di creare in cinque passi delle mini-fabbriche autosostenibili, gestite interamente dalla popolazione locale senza dipendere da sostegni esterni. Noi produciamo solo i componenti di alta precisione, piastre a iniezione e in lamiera inox con tagli specifici, che poi spediamo alle aziende locali le quali le assemblano sul posto (nello spazio di una stufa ce ne stanno 16 non assemblate).
Fare una stufa pirolitica in modo artigianale è possibile, ma si perde il 30% di efficienza – con maggiori consumi ed emissioni – ed il costo di manodopera incide molto sul prezzo perché se ne fanno al massimo 4 al giorno. Con un po’ di formazione due persone arrivano a costruire al giorno fino a 100 stufe ad alta efficienza, che durano almeno 5 anni invece dei 6-12 mesi di una stufa artigianale. Ti ricordo che buona parte delle persone a cui sono destinate le stufe dispongono di meno di 1 dollaro al giorno, quindi il costo di acquisto e di esercizio è molto importante”. Infatti in alcuni paesi le stufe vengono distribuite con un sistema di micro-finanza, che permette di ripagarle in pochi mesi.
Un fatto molto importante è che le Lucia Stove vengono progettate per adattarsi alle abitudini e tradizioni alimentari del luogo, non viceversa. Inoltre sono prodotte con materiale riciclato e interamente riciclabile (la piastra è fatta con l’alluminio di 28 lattine), e tarate per funzionare con i pellet da biomassa locale. L’inserimento della produzione di pellet in questa filiera non solo crea ulteriori posti di lavoro permanenti, ma permette anche di controllare la qualità del combustibile, quindi anche la purezza del biochar che viene poi immesso nel terreno. Gli abitanti delle zone rurali che raccolgono e consegnano biomasse ricevono in cambio gratuitamente i pellet per le stufe (in rapporto di circa 2 a 1 in peso), mentre quelli delle zone urbane li acquistano a prezzi comunque inferiori rispetto ad altri combustibili sul mercato. Grazie a degli incentivi infine, il biochar prodotto viene riportato alla fabbrica, che lo quantifica e lo distribuisce agli agricoltori come ammendante. I crediti di carbonio ottenuti con questo sistema sono interamente intestati alle mini-fabbriche locali e quindi fonte di ulteriore reddito.(3)
La WorldStove ha portato le sue stufe in moltissimi paesi in via di sviluppo ed ha avviato programmi del tipo Five step in Ghana, Burkina Faso, Togo, Sierra Leone, Kenya, Zambia, Uganda Haiti, Senegal e in Ruanda, dove è stato attivato un progetto a livello nazionale.(4) Altrettanto in Messico, dove è stato anche costruito un centro internazionale di ricerca e formazione. Inoltre è stata avviata da poco la produzione di pirolizzatori che funzionano anche per il riscaldamento. Conclude Mulcahy: “Se a livello mondiale utilizzassimo anche solo un quinto delle biomasse da residui vegetali e agricoli per riscaldarci, cucinare e per farne biochar, potremmo sequestrare ogni anno più di 700 milioni di tonnellate di CO2, senza tagliare un solo albero”.

1: Secondo l’OMS a causa del fumo di stufe e fornelli da cucina muoiono quasi 2 milioni di persone all’anno (più che per malaria e AIDS) soprattutto donne e bambini.
2: Oltre al beneficio economico ne esiste anche uno di sicurezza: nei PVS donne e bambine impiegano circa 20 ore alla settimana nella raccolta di combustibile, il che le espone a molti rischi specialmente in zone di guerra
3: le riduzioni di CO2 ottenute sono certificate da Bios, www.carboneutrality.it / www.measurableoffsets.com
4: il programma prevede la distribuzione su tutto il territorio nazionale, il monitoraggio degli effetti sanitari e sulla deforestazione; obiettivo è rendere il paese “carbon negative” e a “zero povertà” entro il 2020, http://inyenyeri.org
5: vedi anche l’articolo su TerraNuova di Settembre 2009

FONTI
International Biochar Initiative, www.biochar-international.org
Global Alliance for Clean Cookstoves, http://cleancookstoves.org
Biochar for Climate Change Mitigation: Facts, NOT Fiction. WorldStove, 2009
Albert Bates, The Biochar Solution, New Society Publishers, 2010
Johannes Lehmann & Stephen Joseph, Biochar for environmental management, Earthscan, 2009
AA.VV. Atti del convegno “Il biochar come strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici”, CNR-Ibimet e Associazione Ichar, 2011

CONTATTI UTILI
Associazione Italiana Biochar, www.ichar.org
Fuoco Perfetto, una rete che si occupa di combustione efficiente, pirolisi e decrescita felice, http://fuocoperfetto.altervista.org
Progetto Carbomark, www.carbomark.org
Associazione Orto di Carta, www.ortodicarta.eu

DA VEDERE
Paola Rosà & Antonio Senter, Perfect Fire, www.perfectfire.altervista.org, 2011

[pubblicato sulla rivista Aam TerraNuova di Marzo 2012]
Leggi anche “Come funziona una stufa a pirolisi

CONDIVIDI
Articolo precedenteVaghe impressioni sulla decrescita
Articolo successivoQuando il superfluo diventa indispensabile
1975 Norimberga / dal 1985 Firenze. Trascorsi in Greenpeace, nel Gruppo Consumo Critico del Firenze Social Forum, come educatore ambientale per bambini e adulti, oggi lavoro in un centro di materiali per la Bioedilizia e scrivo per la rivista Aam TerraNuova. GASista da quasi tre lustri, ho collaborato alla nascita dell'associazione Cohousing in Toscana e raccolgo esperienze di comunicazione empatica e di facilitazione per gruppi con il metodo del consenso. Amo il concetto di Wendel Berry "Investi nel millennio… pianta sequoie". www.twitter.com/Ollipaz

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.