Alienazione, cultura, emancipazione e rivolta/1

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Il mio ultimo articolo, Luci e ombre dell’ecologia profonda, ha suscitato diverse reazioni, tramite commenti pubblicati su DFSN o comunicatimi privatamente. Me l’aspettavo, perché molti decrescenti aderiscono alle tesi dell’ecologia profonda, in modo esplicito o seguendone di fatto i principi in una visione personale. In fondo, anche l’ecologia profonda presuppone una forma di decrescita, come per altro dovrebbe fare qualunque pensiero ecologista degno di questo nome.

In particolare, vorrei concentrarmi su alcune problematiche emerse nel dibattito con Daniele Uboldi e Giulio Manzoni (non prima di rimproverarli perché su DFSN agiscono più da commentatori che da autori!):

  • l’utilità dello ‘specchio rivelatore’ – descritto in quell’articolo – che bolla chiunque si accosti come l’animale distruttore del pianeta, condannato da Bookchin (e da me) per la sua genericità, da riabilitare invece in quanto tutti, chi più chi meno, collaboriamo al disastro ambientale;

  • la necessità di un cambiamento che passi per una classe dirigente ‘modello’, capace di esprimere comportamenti virtuosi degni di imitazione, svalutando così la possibilità di iniziative dal basso;

  • il ruolo fondamentale dell’educazione nella salvaguardia ambientale.

Queste tre obiezioni sono strettamente correlate al sesto assioma fondamentale dell’ecologia profonda, “si devono cambiare le politiche attuali. Tale cambiamento riguarda i fondamenti dell’economia e le strutture tecnologiche e ideologiche”. Sono tutte osservazioni di assoluto buon senso, pure troppo aggiungerei. È bene riflettere sul perché rimangano lettera morta, lasciando per un momento da parte la stupidità della razza umana e altre perle di misantropia; le avvaleremo nel caso non trovassimo altre spiegazioni plausibili.

Nel dibattito con i miei interlocutori ho constatato la stessa mancanza che rilevo nell’ecologia profonda: la totale trascuratezza del ruolo esercitato dalle istituzioni sociali sui comportamenti umani e sulla definizione delle strategie politiche, in particolare di quelle devastanti per le sorti del pianeta. Si ragiona come se vivessimo nel mondo della libertà e delle pari opportunità per tutti, dove ognuno può seguire i comportamenti desiderati – e più virtuosi – senza particolare intoppi. Come se non esistessero condizionamenti e coercizioni e, soprattutto, come se le istituzioni responsabili dei danni potessero di loro volontà intraprendere una conversione ecologica, sostituendo semplicemente chi tiene le fila del potere con persone più sagge e assennate. Premetto che non mi riferisco soltanto all’azione manipolatrice della pubblicità o alle storture per cui un cibo biologico è più caro di quello industriale; il problema è molto più strutturale.

Partiamo dal principale responsabile del degrado planetario, ossia l’attuale sistema di divisione internazionale del lavoro. Fior di specialisti hanno dimostrato come, a parità di prestazione, si potrebbero ottenere spesso gli stessi risultati attraverso filiere più corte, meno dispendiose, meno impattanti e con più ricadute sociali positive. Osservazioni a cui fanno eco quelle di manager, funzionari, tecnici ed esperti di logistica sull’irrazionalità di certe procedure aziendali riguardanti l’uso delle risorse e l’impiego della forza lavoro.

Tali ingenue obiezioni trascurano che, malgrado il carattere antieconomico e disfunzionale, questa metodologia produttiva rappresenta uno straordinario sistema di dominio, sul cui altare vale la pena di sacrificare una quota di utili aziendali (oltre alla coesione sociale e all’ambiente). Succede qualcosa del genere con lo stato e il sovradimensionamento della burocrazia: governi di ogni colore promettono di combatterlo senza quartiere, ma è raro che si proceda al di là di qualche piccola riforma, non certo perché manchi la consapevolezza su paralisi e storture che provoca nella società. La burocrazia – come ha insegnato magistralmente Max Weber – rappresenta un formidabile strumento di oppressione per il suo carattere anonimo e impersonale, per cui il potere, qualsiasi forma assuma, non può liberarsene a cuor leggero. [1]

Certo, in linea di principio è possibile opporsi a tutto questo. Si può dire di no, si può rifiutare il sistema per quanto esso cerchi di essere pervasivo, eppure la tendenza generale è di accettarlo. Come si spiega? Io punto il dito contro una delle protagoniste indiscusse della modernità: l’alienazione.

Quando Marx descriveva l’alienazione in termini economici, sotto forma di sottrazione ai lavoratori degli strumenti di produzione e di estrazione del plusvalore, il filosofo tedesco intravedeva solo una minuscola porzione di un’incognita molto più vasta. Hannah Arendt ha provato a inquadrare la questione nel libro Vita Activa, giungendo a conclusioni ben più profonde – e inquietanti – di Marx.

Per la Arendt la modernità industriale si caratterizza nelle vesti di trionfo della società, intesa come l’insieme di relazioni e comportamenti che permettono il funzionamento efficiente e la riproduzione della sfera produttiva: “…la società si aspetta da ciascuno dei suoi membri un certo genere di comportamento, imponendo innumerevoli e svariate regole, che tendono a ‘normalizzarli’, a determinare la loro condotta, a escludere l’azione spontanea o imprese eccezionali… Ciò che importa è questa identificazione con lo status sociale, e non fa alcuna differenza se la gerarchia è quella del rango sociale della società semifeudale del XVIII secolo, della posizione sociale delle classi del XIX, o delle semplici funzioni nell’odierna società di massa. L’avvento della società di massa, al contrario, indica solo che i vari gruppi sociali sono stati assorbiti in una società unica… e col sorgere della società di massa la sfera sociale è giunta finalmente, dopo diversi secoli di sviluppo, ad abbracciare e controllare tutti i membri di una data comunità in maniera uniforme e con la stessa forza. Ma la società rende eguali in tutte le circostanze e la vittoria dell’eguaglianza nel mondo moderno è solo il riconoscimento politico e giuridico del fatto che la società ha conquistato l’ambito pubblico, e che la distinzione e la differenza sono diventate faccende private dell’individuo.

Questa riflessione svela l’imbroglio di fondo celato nella versione liberale classica dell’uguaglianza, utile per legittimare la diseguaglianza degli eguali. [2] E personalmente trovo questa ‘logica sociale’ falsamente egualitaria perfettamente trasposta nello ‘specchio ecologico’ che trasforma chiunque si rifletta nell’animale più dannoso per il pianeta.

Secondo la pensatrice tedesca, l’era moderna presenta altre non trascurabili criticità. L’età preindustriale era caratterizzata da gravi disuguaglianze tra i gruppi sociali, tuttavia anche gli strati inferiori riuscivano a garantirsi un certo grado di autonomia culturale, attraverso una cultura popolare (o conviviale, per usare un termine caro a Ivan Illich) fatta di dialetti, tradizioni orali, competenze contadine e artigianali, giochi e attività ricreative. Tutto ciò permetteva di creare un mondo in comune tra i membri del gruppo, che faceva da contraltare alla sudditanza nella sfera politica. Un contadino feudale subiva una forte oppressione, viveva un’esistenza dura ma non era ‘l’ingranaggio di una megamacchina’ (Latouche). [3]

Le forze combinate dello stato, della tecnica e del mercato hanno gradualmente alienato questa autonomia secondo il concetto di ‘uguaglianza’ appena descritto, creando la società di massa, il cui carattere è radicalmente diverso da quello della comunità naturale. Secondo la Arendt, la caratteristica principale della società di massa consiste nell’emancipazione del lavoro – non dei lavoratori – dalla sfera privata a quella pubblica, elevando il ‘processo vitale’ della società – ossia la produttività del lavoro – da mezzo a fine in se stesso [4]. Il lavoratore, ben lungi dall’essere emancipato, non è certo homo faber in questa visione, ma più che altro animal laborans, espressione latina denotante lo schiavo. La società di massa distrugge la sfera pubblica intesa come politica (non serve più, basta applicare i principi che favoriscono il ‘processo vitale’, ossia l’economia) ma anche quella privata, ‘socializzando’ dapprima il lavoro e poi altre sfere intime dell’individuo. [5]

In tale contesto non esiste un mondo comune paragonabile a quelle delle epoche precedenti: “Marx aveva previsto giustamente, anche se con gioia ingiustificata, l”abolizione’ della sfera pubblica grazie allo sviluppo sfrenato delle ‘forze produttive’, e aveva ugualmente ragione – coerentemente con la sua visione dell’uomo come animal laborans – quando prevedeva che gli ‘uomini socializzati’ avrebbero impiegato la loro libertà dal lavoro in quelle attività strettamente private ed essenzialmente estranee al mondo che chiamiamo hobbies…Una società di massa di lavoratori, come l’aveva in mente Marx quando parlava di ‘umanità socializzata’, consiste di rappresentanti, privi di mondo, della specie umana, siano essi schiavi domestici, costretti alla loro condizione dalla violenza altrui, o siano liberi di assolvere le loro funzioni volontariamente”.

Se la Arendt ha ragione – a mio parere ha colpito brillantemente nel segno – ne possiamo concludere che accusare in modo indistinto le persone per il contributo al degrado planetario è come condannare i leoni del circo di collusione nello sfruttamento animale. E questo non perché non abbiano più coscienza di sé e capacità di intendere dei grossi felini.

L’essere umano, in quanto ‘animale sociale’ ha bisogno di una socializzazione, di un mondo comune da condividere con gli altri, è vitale per la sua esistenza quanto un ambiente ecologicamente sano. L’unica, vaga forma di socializzazione che la società di massa riesce a proporre, si basa sulla capacità del singolo di conformarsi al ‘processo vitale’ in qualità di produttore, consumatore o custode del sistema. Guadagnare denaro, comprare oggetti alla moda, partecipare alle ritualità commerciali, propagandare le virtù conformiste, dimostrarsi un lavoratore obbediente e produttivo, ecc sono i comportamenti che elevano lo status della persona, ma che soprattutto producono l’illusione di costruire un mondo in comune con gli altri. Ecco quindi che possiamo rimproverare il bambino che mangia l’hamburger di Mcdonald’s guardando il campionato di basket alla televisione (cito uno degli esempi di Giulio) per l’apporto alla devastazione planetaria, consigliandoli magari di abbandonare il fast food e di mangiare un’insalata biologica. Lui probabilmente ci risponderà di no, che “non vuole essere uno fuori dal mondo” o cose simili, rivelando un inconsapevole cultura arendtiana. La salute del pianeta è un problema a lungo termine, mentre la sue esigenze di socializzazione sono immediate. Di fatto gli stiamo proponendo di abbandonare gli amici e isolarsi, una condizione che (del tutto a ragione) non ritiene umana e sensata.

Se amiamo di più il rischio, possiamo rivolgerci ai taglialegna preposti al disboscamento dell’Amazzonia, agli operai della fabbrica di armi, ecc (gli esempi proposti invece da Daniele) e tuonare contro la loro accettazione del sistema. Probabilmente questi ci spiegheranno – non senza qualche imprecazione – che loro non hanno accettato proprio nulla, che all’interno del sistema vi si sono trovati loro malgrado ed esso, disprezzando qualità e talenti positivi, li ha ritenuti meritevoli di sbarcare il lunario solo per quelle attività riprovevoli che stanno svolgendo. In entrambi i casi, quello del bambino nel fast food e quello dei lavoratori impegnati in attività dannose, mi sorge il sospetto che si faccia la paternale alle persone sbagliate.

Dividere il mondo in alienanti e alienati, in modo rigidamente manicheo, è un errore: in realtà, salvo casi eccezionali (come la schiavitù), non esistono persone totalmente alienate e altre completamente immuni da alienazione. Dovremmo pensarci bene, però, prima di puntare pesantemente il dito contro gli atti di alienazione dovuti alla necessità di essere nel mondo (sotto forma di bisogni di sussistenza o socialità), senza per questo condividerli o non stigmatizzarli, ma dirottando l’attenzione sulle strutture sociali, politiche ed economiche responsabili di questa situazione [6]. Ma senza modificare radicalmente tali strutture, tenendo cioé un atteggiamento apolitico e sostanzialmente moralista, l’auspicio dell’ecologia profonda per ‘cambiare le politiche’ è destinato a rimanere pia illusione.

[1] La catena di montaggio e la monocoltura agricola sono altri esempi di sistemi strutturati più sul dominio dell’uomo sull’uomo che sulla reale efficacia produttiva. Si noti come in tutti i casi presentati i danni ecologici risultino effetti collaterali del dominio sull’uomo.

[2] Ad esempio “la legge è uguale per tutti” non perché “siamo tutti uguali”, ma perché “è uguale per tutti” la società in cui viviamo. Di conseguenza l’applicazione della stessa legge non ha i medesimi effetti sui singoli componenti del corpo sociale.

[3] Nel caso che Luca Simonetti – autore di Contro la decrescita – o altri ingenui critici leggessero questo articolo, meglio mettere le mani avanti: non ritengo che la condizione del contadino feudale fosse preferibile a quella del cittadino moderno, ma semplicemente che quest’ultimo viva peggio di quanto gli sarebbe possibile.

[4] Ecco un’ottima spiegazione del fatto che alcuni ‘lavori’, quelli legati indissolubilmente alla sfera domestica e privata, non vengano ritenuti tali, ragion per cui una persona che si prende cura della propria abitazione e della propria famiglia ‘non lavora’, mentre lo fa se offre questi servizio in pagamento a terzi.

[5] Il neoliberismo in questo senso è la fase estrema di un processo iniziato con il capitalismo stesso, rappresenta quindi non una degenerazione impropria ma la sua massima realizzazione.

[6] La pensava allo stesso modo Jacques Ellul, precursore della decrescita (si veda l’articolo Bisogni superflui… o no?, dove riporto una lunga citazione al riguardo del sociologo francese).

Immagine in evidenza: Hannah Arendt (fonte: Wikimedia Commons)

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

33 Commenti

  1. Vorrei, prima di tutto, complimentarmi con Igor per questa bellissima pagina, ricca di spunti e osservazioni molto interessanti.
    Mi permetto di aggiungere due keywords: “standardizzazione” e “semplificazione”.
    La standardizzazione è il modo col quale il capitalismo maturo presenta i prodotti “di qualità”.
    La qualità, sia delle merci che di attributi immateriali ruota attorno all’idea dello standard.
    Lo standard altro non è che la misura della tendenza centrale e coincide spesso con la media.
    Tutto deve essere ricondotto ai gusti medi, al consumatore medio, all’uomo medio di intelligenza media.

    Ciò fa il paio con la semplificazione. Le cose complicate sono riservate agli scienziati, agli intellettuali perditempo, alle persone grigie che trascorrono l’esistenza col teschio di Amleto in mano: “Essere o non essere, questo è il problema”.
    Mentre invece la vita deve essere piacere ( piacere, non gioia) divertimento, ostentazione dell’avere, bellezza esteriore e tonicità muscolare.

    Dentro lo standard e la semplificazione ci sta la quintessenza della “filosofia” della società alienata: roba da Truman Show, dove tutti sono allegri e beoti, il colore nero è bandito ed il cielo è sempre azzurro; mai che piova un solo giorno.
    Standardizzazione e semplificazione sono, in fondo, un “dono”: il modo, per stare in tema con le cose dette da Igor, per rendere accetto tutto quanto di negativo la vita riserva.
    Come un lavoro che non piace, le gerarchie tayloriste in fabbrica, la domenica che dura, ahimè così poco emmenomale che c’è la Domenica Sportiva.
    Il novellato Paese dei Balocchi ha bisogno di “una Foresta di Simboli”, così come ce la racconta Boudelaire, nei quali ciascuno possa godere e distrarsi, dimenticando che, dopo il Dì di Festa, tornerà il lavoro quotidiano.
    Sin da piccolo, passando tra le mani di zelanti educatori, fedeli al metodo Montessori, ti insegnano a giocare col “meccano” sei sei maschio o con le bambole, se sei femmina; perchè devi imparare in fretta i ruoli di genere ed essere pronto, come un soldatino o una brava fattrice, ad occupare il tuo posto nella società-alveare.
    Molti di questi simboli sono per fortuna decaduti. la società è andata avanti e, grazie a molte battaglie di civiltà, si è anche sottratta a certe inaccettabili soggezioni.
    Sembrano cose lontane e forse lo sono; ma c’è sempre una suora che allontani una ragazza dalla scuola perchè s’è tinta i capelli di azzurro. Portare il velo è segno di morigerazione e deve essere accolto come segno di devozione e rinuncia alle mondanità ma vivere con originalità la propria femminilità è uno sgarbo inaccettabile alle regole, fuori dal buon gusto.

    E’ in questo quadro di soggezione, dove qualcuno detta le regole, anche quelle non scritte e non consacrate nella Costituzione che, in modo subdolo, si forma l’idea dell’adesione acritica al modello.
    A persuadere ci pensano i media ma non certo solo loro.
    E’ solo tramite questa adesione acritica al modello economico, al modus vivendi che trovano giustificazione comportamenti deprecabili che offendono la coscienza di ogni individuo che abbia senso della misura.

    Citavo in altro articolo il caso dei lavoratori di un noto salumificio che confezionavano salsicce allo sterco di maiale.
    Il prodotto veniva confezionato e imballato, spedito con regolari fatture e poi disperso in mare o interrato da qualche parte; in modo da denunciare una perdita su crediti e portarli a bilancio, per ridurre l’utile di esercizio.
    Sono consapevole che esista un diverso peso ponderale nelle responsabilità. Non di meno è un fatto che, senza uno spirito alienato e subalterno vi sarebbe stato un corale rifiuto.
    Così come, a maggiore ragione, si dovrebbe provare crisi di coscienza nella produzione di armi, di mine antiuomo.

    Alla subalternità al modello non restano immuni nemmeno le organizzazioni sindacali.
    Quanti scioperi hanno fatto i sindacati per chiedere che venga bandito il traffico di armi; oppure per fare chiudere una fabbrica che libera in atmosfera una quantità di piombo superiore ai limiti di legge?
    Che l’ILVA inquinasse e producesse gravi danni alla salute lo sapevano tutti ma tutti , o quasi, tacevano perchè altrimenti si rischiavano posti di lavoro.
    Dunque la sudditanza è arrivata al punto tale da fare accettare anche ciò che , oggettivamente è contrario alle ragioni stesse per cui si lavora: una vita dignitosa e serena per se stessi e la propria famiglia.

    Ecco che allora ci starebbe bene un’altra keyword: “minore dei mali”.
    In ossequio al “minore dei mali” tutto diventa sopportabile e inteso come un doloroso inevitabile effetto collaterale dello sviluppo.
    Nessuno è perfetto e gli incidenti di percorso devono essere accettati perchè, in fondo, non esistono alternative.
    Da questo punto di vista mi differenzio da Igor.
    Credo, infatti che nessun modello sociale ed economico si regga senza il consenso o, nel peggiore dei casi, assoggettazione. Ogni regime ha i suoi sudditi: che siano incatenati alla terra, come i servi della gleba o, col guinzaglio elettronico che azioni col comando del televisore, sempre di soggezione si tratta.
    Alla violenza fisica è stata sostituita, spesso ma non sempre, la violenza psicologica e il controllo sistematico inoculato fin dalla nascita dal potere condizionatorio esercitato dalla cultura dominante.
    Non esito a dire che le idee della decrescita, dopo il Contratto Sociale di Rousseau, sono il nuovo patto tra la dimensione del sè e la società nel suo complesso.
    Se il Contratto Sociale è l’apoteosi dell’alienazione a corredo della sovranità collettiva, il nuovo patto sostanziato dalla decrescita deve essere la riappropriazione dei valori da sostituire alle merci.
    Se è vero, come è vero, che l’uguaglianza formale sta alla base dell’ineguaglianza sostanziale, la demercificazione del vivere sociale deve essere improntata a logiche di sussidiarietà piuttosto che di competizione; di scambio, piuttosto che di monetizzazione.

    E’ vero: l’essere umano ha bisogno di socializzazione.
    Ma i modi e le forme di tale socializzazione sono ora dettate da una cultura che è fattore funzione degli interessi dominanti.

    Non so se e quando si affermeranno le idee della decrescita.
    Ogni tanto mi sento paracadutato nella trilogia di aAsimov: in particolare ne “Il Crollo della Galassia Centrale”, dove ad alcuni uomini di coscienza e buona volontà è stato assegnato il compito, tramite la Fondazione, di redigere la Nuova Enciclopedia Galattica, al fine di ridurre a poche centinaia di anni il periodo di barbarie susseguente al crollo dell’impero che reggeva la Galassia.
    Fantascienza, naturalmente, ma quanto lo è?

  2. mentre aspetto la seconda parte con le soluzioni, mi limito ad aggiungere sull’esempio del bimbetto che mangia il panino ecc… non gli diremo solamente di allontanarsi dagli amichetti paninari, ma gli dovremo anche proporre valide alternative: educazione, educazione, educazione. Quindi, prima di tutto la TV si smonta per vedere come e` fatta dentro, poi si va al museo della scienza, gli si compra un kit di elettronica, un saldatore, un tornio, dei buoni libri da leggere e commentare assieme, ecc… poi lo si porta in campeggio in montagna, magari offrendo la stessa opportunita` anche agli altri bimbi del cortile… e se invece continua a voler frequentare gli amichetti del bar… beh, allora e` proprio colpa sua e lo specchio gli sta bene fine in fondo.

  3. Che l’uomo contemporaneo viva “peggio” di quanto gli sarebbe possibile è senz’altro vero, anche se è una verità puramente astratta nella misura in cui non ci si confronta con le concrete modalità storiche (i rapporti e i modi di produzione, per dirla con Marx) che gli impediscono di vivere meglio. E’ questa consapevolezza che mi sembra quasi sempre mancare nella decrescita. E manca pure nel tuo testo, visto che operi un confronto del tutto astorico fra il contadino “feudale” e il cittadino odierno. Sulla megamacchina di Latouche stendiamo invece un velo pietoso…
    Un saluto molto ingenuo.

    • Innanzitutto voglio ringraziare Luca Simonetti per avermi degnato di una risposta, è la prima volta che qualcuno dei contestatori della decrescita risponde a una critica e gli fa sicuramente onore, altri intellettuali – che sapevano di essere stati citati in dei nostri articoli – non hanno ritenuto meritevole di farlo. Mi auguro che questo possa essere l’inizio di un proficuo confronto e non una boutade occasionale.
      Anche perché è proprio sulle ‘concrete modalità storiche’ che mi vorrei confrontare. La ‘concreta modalità storica’ che stiamo vivendo è quella del picco del petrolio e delle materie prime, dei rendimenti decrescenti, oltre a quella del riscaldamento globale, della perdita costante di biodiversità… sarebbe bello sapere come i sostenitori della crescita intendono mantenerla in un quadro del genere, immagino che non siano simpatizzanti delle catastrofi. Se troveranno delle soluzioni concrete, vorrà dire che avranno confutato le leggi della termodinamica – quindi immagino si possa ambire al Nobel o qualcosa del genere.
      Il confronto ‘astorico’ tra contadino feudale e cittadino odierno è semplicemente per dibattere del problema dell’alienazione e di come nelle due epoche viene esercitato il controllo sociale. Se fare qualsiasi paragone tra epoche storiche differenti è ‘astorico’ immagino allora che lo sia, a questo punto però sarà astorica anche tutta la produzione di Michael Foucault che ha basato gran parte dei suoi studi sulla comparazione delle tecniche di controllo della popolazione nelle diverse epoche storiche. E della stessa Hannah Arendt, che in Vita Activa paragona la concezione di vita pubblica presso la società della polis a quella della modernità. Quindi ‘astorico’ sì, ma in buona compagnia, se mi passa la battuta! 🙂
      Un’ultima cosa sulla nozione di megamacchina. La frase che ho messo nel testo è di Latouche, ma il concetto risale a Lewis Mumford, che è stato uno dei più brillanti pensatori del 900. Invece di un velo pietoso ci dedicherei un po’ di studio, le assicuro che non sarà tempo sprecato. Un saluto molto sincero.

  4. Caro Giussani (ma ci diamo del lei?), io sono disponibilissimo al confronto. Tenga presente che, a dispetto del titolo (che, come ho spiegato al Festival della scienza di Genova, non è farina del mio sacco), il mio libro non è un pamphlet polemico, anche se certo è molto critico. Credo che le preoccupazioni che muovono i decrescenti siano in gran parte fondate e condivisibili; certo però non condivido né le premesse, né il metodo, né le conclusioni di quasi tutti… Non sono poi un sostenitore della crescita: ma non apprezzo chi la confonde con lo sviluppo. E mi creda – ma lo vedrà se leggerà il mio libro-, Illich, Ellul e Mumford li ho studiati abbastanza! Quanto alla termodinamica (immagino si riferisca a Georgescu), per ragioni di spazio dal libro ho dovuto espungere il capitolo in cui ne trattavo, ma se le interessa glielo posso far avere. Del Rapporto Meadows, invece, nel libro parlo eccome. Ma ripeto, ci saranno altre occasioni per parlarne più approfonditamente. Un saluto.

    • Ho visto il tuo libro in libreria, ci ho dedicato una decina di minuti e quando ho visto i soliti discorsi sul passatismo, l’elitarismo, l’antiliberalismo… sinceramente ho pensato che fossero le solite pippate e ho chiuso. Se mi sono perso pagine interessanti errore mio, chiedo venia. Ma visto il chiarimento a questo punto avanzerei la discussione verso uno step ulteriore magari superando altri steccati mentali. Ti pongo tre domande che seconde me tagliano la testa al toro a molti dubbi.

      1) Che cosa intendi per ‘sviluppo’ e il concetto che ne dai è indipendente dalla crescita? (nel senso che possa esistere una situazione dove il tuo sviluppo sale mentre il PIL scende) Forse è bene premettere che Latouche e noi altri per sviluppo intendiamo quello ‘realmente esistente’, non vaghe astrazioni. E per le agenzie internazionali (FMI, Banca Mondiale) l’indicatore di sviluppo principe è sempre stato il PIL, e sviluppo è stata la sostituzione tout court di sistemi produttivi locali con altri industriali. Anche se mi parli di ‘sviluppo sostenibile’, ti faccio notare che l’idea mainstream è quella portata avanti da gente come Jeffrey Sachs o Thomas Friedman (neoliberisti che hanno conosciuto una seconda giovinezza verde nello sviluppo sostenibile) oppure la World Business Council for Sustainable Development, che raggruppa le aziende più inquinanti del pianeta che dedicano qualche marginalissima attività alle energie rinnovabili. Se invece per te sviluppo è sostituire degli infissi tradizionale con quelli isolanti a doppi vetri con il gas… è un esempio che ripete spesso Maurizio Pallante anche se non si sognerebbe mai di chiamarlo ‘sviluppo’.

      2) Ritieni che la società attuale così come è strutturata economicamente, socialmente e politicamente possa emanciparsi dal dogma della crescita infinita?

      3) Ritieni che la soluzione dei molteplici problemi ecologici passi esclusivamente per un rinnovamente tecnologico?

      Quanto al capitolo espunto sulla termodinamica rendilo di pubblico dominio o riciclalo per qualche altre pubblicazione. Però, prima di dare per confutati certi studi del passato, verificherei se questi hanno solo sbagliato le date della crisi e del picco di produzione, mentre le conclusioni sono corrette. Prima che arrivino scienziati come Ugo Bardi a mettere i puntini sulle i, come ha fatto questa settimana con alcune analisi ottimistiche di Krugman. http://ugobardi.blogspot.it/2014/11/paul-krugman-e-la-tartaruga-perche-i.html

      • Caro Giussani,
        noto con piacere che quindi mi hai dato del “critico ingenuo” senza aver letto il mio libro. Dico ‘con piacere’ perché così, chissà, magari dopo averlo letto mi troverai meno ingenuo. Ciò detto, per questa volta ignorerò una regola aurea che recita, più o meno: “Non rispondere mai a delle domande che ti vengono poste come se ti stessero facendo un esame”, perché forse non era tua intenzione mostrare arroganza; e quindi provo a risponderti. In breve, naturalmente: certo mi scuserai se non mi metto a riassumere 260 pagine, che mi hanno portato via tre anni di lavoro e innumerevoli letture, in queste poche righe.
        1) Non so chi siano i “voialtri”: per quanto riguarda Latouche e Pallante, fanno ahimé parecchia confusione. Certo che sviluppo e crescita sono concetti indipendenti; e mi sorprende assai che un decrescente non ne sia convinto (la confusione tra le due cose è, facci caso, tipica dei liberisti). Il fatto che spesso si muovano di conserva peraltro non può sorprendere, dato che la crescita è fatta di fenomeni che sono, in parte, alla base anche dello sviluppo (e viceversa, naturalmente.) Ma restano comunque due cose diverse e che possono muoversi anche in direzioni opposte: il libro di Charles Kenny, tra gli altri, lo dimostra.
        L’esempio di Pallante da te richiamato, e che lo conduce a distinzioni (come quella fra merci e beni, a cui ho dedicato un intero capitolo) che eufemisticamente definirei farlocche, c’entra davvero poco sia con la crescita sia con lo sviluppo – in effetti, non è né l’una né l’altra cosa.
        2) Ritengo che la società attuale abbia ben poco a che fare con alcun “dogma”, ivi incluso quello della crescita continua (non “infinita”, dato che quest’ultima è senz’altro impossibile, anche se non per le ragioni che perlopiù vengono addotte). E credo che continuare a concentrarsi su presunti “dogmi” ci distolga dai veri problemi. E’ un classico caso di inversione ideologica, molto evidente sia in Latouche, sia in Pallante, sia in moltissimi altri (a partire ovviamente dai loro maestri: Illich, Ellul, eccetera). Il materialismo storico non è scomparso invano…
        3) A questo non so proprio rispondere. La tecnologia senz’altro aiuta, ma tenderei a non farne un feticcio né nel bene né nel male (come purtroppo invece accade spessissimo, da una parte e dall’altra). Mi chiedo però come possa una teoria come quella latouchiana-pallantesca, che mostra una grossolana (e questa sì, ingenua) diffidenza per la ragione e per la scienza, e una incomprensione imbarazzante di fenomeni cruciali, sperare di indicare una soluzione qualunque.
        Infine, quanto alla questione di Georgescu, senz’altro ne parlerò una volta o l’altra (in soldoni, sia i fisici sia gli economisti sono d’accordo sul fatto che il secondo principio della termodinamica *non* costituisca un limite all’attività economica; e se voi decrescenti leggeste anche un po’ di quel che si scrive oltre i recinti della vostra letteratura così autoreferenziale, ve ne sareste accorti). Dal canto suo, il professor Bardi tende, a mio parere, a essere un po’ troppo ossessionato dall’ansia di voler difendere a tutti i costi i Meadows, che non ne hanno bisogno: Limits to Growth è stato e rimane un gran libro, nonostante i suoi molti difetti.
        Un saluto

        • Caro Simonetti,
          evidentemente il mio occhio ha avuto la sfortuna di cadere sulla pagine ingenue. Chiedo ancora scusa. Se mi permette, mi sembra che anche certe sue critiche dimostrano che l’autoreferenzialità non è solo una pecca dei decrescenti. Per altro lungi da me qualsiasi interrogatorio o esame, era solamente per chiarirsi. Eviterò quindi di fare qualsiasi domanda e mi concentrerò sulle sue risposte.
          1) Charles Kenny è un ottimo studioso, peccato che non volevo ragionare di astrazioni. Come nel caso del socialismo, c’è stata la teoria astratta e il socialismo reale. Chiedevo di prendere appunto una posizione sullo sviluppo realmente esistente, che non è stata materia accademica quanto una pratica implementata da FMI, Banca Mondiale, ecc. Latouche ha preso posizione su quello.
          2) Forse la questione di liberarsi del dogma della crescita andrebbe rivolta a qualcun altro, specialmente a chi sostiene che per la crescita sia necessario rinunciare ai diritti e/o imbarcarsi in opere di dubbio valore. Sarò ossessionato io, ma tutte le parti politiche ed economiche all’unisono invochino la ripresa della crescita perché, come ci viene sempre puntualmente spiegate, è la crescita alla base dell’occupazione, dei diritti sociali, del benessere, ecc.. Concordiamo che la crescita infinita è impossibile ma il sistema in cui viviamo ragiona come se fosse possibile.
          3) Dopo Hiroshima, Nagasaki, il rischio di apolicasse atomica, il riscaldamento globale del pianeta, Seveso, Bophal, Chernobyl, ipotesi transumaniste, collusioni scienza-economia… forse forse un po’ di diffidenza è giustificata, non credi? Questo non vuole assolutamente dire essere degli oscurantisti, significa rifiutare la visione scientista per cui la natura è a nostro completa disposizione e che tutto quello che è potenzialmente fattibile deve essere fatto, senza una qualche forma di controllo sociale.
          3)Ti assicuro che i nostri ‘recinti’ sono più ampi di quanto crede, il fatto è che il bue di turno viene sempre azzoppato dallo scienziato che dimostra numeri alla mano che la crescita infinita (non parliamo genericamente di ‘attività economica’) non è possibile, che non esiste il ‘PIL angelificato’ (Herman Daly – ah, che non è decrescente!) che non è possibile il decoupling infinito delle risorse (Tim Jackson – ah, non è un decrescente!). Comunque, vista la scarsa considerazione per i decrescenti, la invito a sfidare Bardi – che immagino avrà più titoli ai suoi occhi .- e rispondere all’articolo che lo ho girato al commento precedente, confutandolo sul suo blog.

          Comunque credo che una cosa si sia capita: la tua contestazione della decrescita nasce principalmente che per lei la crescita ‘continua’ (chiamiamola così) è possibile. Direi che questo cambia moltissimo le prospettive. In attesa di vedere l’ottimo confronto tra te e Bardi, ti saluto, ti ringrazio ancora per il contributo e faccio ritorno al mio recinto.

  5. Caro Giussani,
    il tuo approccio è piuttosto singolare. Voglio dire: arrivo qui incuriosito da un commento sul mio libro; apprendo che questo commento è stato formulato da uno che il libro non l’ha letto ma si è limitato a sfogliarlo qualche minuto in libreria, posandolo subito perché pieno delle “solite pippate” (quindi, leggerlo no ma trinciar giudizi sì). Mi esorti alla discussione e, quando mi dichiaro disponibile, mi fai tre domande che “tagliano la testa al toro”, e quando ti rispondo, mi dici di andare a continuare la discussione altrove (però non era un esame) e a “sfidare Bardi sul suo blog”, neanche fossimo all’OK Corral… Qual è, esattamente, il modo in cui pensi di discutere con chi non è d’accordo con la decrescita? Pensi davvero di cavartela facendo un po’ di namedropping? Siamo al livello che se dico che Latouche e Pallante sono due pasticcioni (quali sono) mostrerei “scarsa considerazione per i decrescenti”? Ti offendi perché non venero gli idola tribus? Sono allibito.
    Ti rispondo ancora, perché non si sa mai; ma se non ti va di continuare, no problem – non sono stato mica io a chiedere una discussione, eh.
    1) Lo sviluppo è il miglioramento della vita dell’uomo e l’ampliamento delle sue capacità; come tale, ovviamente, non si riduce alla crescita economica, e si può anzi manifestare anche laddove la crescita non c’è (sono appunto i casi descritti da Kenny). Latouche non se ne è mai occupato, un po’ perché per lui crescita e sviluppo si identificano (e non è un caso: infatti Latouche condivide *tutte* le premesse degli economisti liberisti), e un po’ perché è un autore estremamente superficiale ed è incapace di andare oltre i nomi delle cose: così, di libro in libro, ripete instancabilmente le stesse cose, di solito senza nemmeno variare le parole – e sempre senza dire assolutamente nulla.
    2) Non ti invitavo affatto a liberarti dal dogma della crescita. Dicevo il contrario: che non esiste alcun dogma della crescita e che sarebbe il caso di concentrare l’attenzione non su presunti dogmi, ma su problemi reali. Ma questo è proprio uno dei difetti principali della decrescita: che essendo risolutamente antimaterialista, crede che tutto si giochi sul piano dell’ideologia, o di quello che Latouche chiama “l’immaginario”.
    3) La scienza (inclusa l’economia) non si è mai sognata di sostenere che la natura o il mondo sia “a nostra completa disposizione” né che “tutto ciò che è possibile debba essere fatto”. Tutto al contrario, la scienza (e l’economia) sono uno studio e una apprensione razionale proprio dei limiti, degli ostacoli che la natura e le cose oppongono al nostro operato. E’ la scienza che ci spiega cos’è l’inquinamento, cos’è la perdita di biodiversità, cos’è l’esaurimento delle risorse, e cosa fare per rimediare, perché la scienza (come dicono sia Bacone sia Adorno) è bifronte e reca con sé sia il veleno sia il suo antidoto. In ogni caso, tranquillo: non ho mai parlato di “oscurantismo”. Ho solo parlato di diffidenza per la ragione e per la scienza, il che ahimé è verissimo e il che ho d’altronde ampiamente documentato (ma potrei parlare anche di diffidenza per l’istruzione, per l’alfabetizzazione, e così via, con pari fondamento).
    4) Il fatto che la crescita continua sia possibile non la rende di per sé desiderabile; quel che è senz’altro desiderabile è lo sviluppo (possibilmente anch’esso continuo). Ma Daly e Jackson (quest’ultimo l’ho anche citato) c’entrano ben poco. La cosa non ti fa piacere, vedo, ma pazienza, è vera lo stesso: la stragrande maggioranza dei fisici e degli economisti pensa che la seconda legge della termodinamica non conduca a nessuna delle conseguenze ipotizzate da Georgescu (e Daly) e che quindi l’entropia non costituisca affatto un limite effettivo all’attività economica, tantomeno nella versione georgeschiana della “quarta legge della termodinamica”: la Terra non è un sistema isolato, è un sistema chiuso, sicché *in teoria* è sufficiente incrementare l’efficienza energetica da fonti rinnovabili per procedere continuamente (questa è, tra gli altri, la teoria di uno che certo non è un fautore dell’inquinamento o della crescita così com’è, Ayres). E non vale obiettare che questo è solo un discorso teorico, perché anche il discorso di Georgescu e Daly è solo teorico. La crescita economica è destinata a incontrare ostacoli ben più gravi e ben più prossimi che non la termodinamica – almeno finché il Sole non si trasformerà in una supernova. Il punto non è se la crescita sia destinata a interrompersi, che è una domanda sostanzialmente futile; il punto è se la crescita (così com’è) sia desiderabile.
    Saluti.

    • Vedo che la mia idea di confronto dialettico viene vista come un invito alla giustizia da Far West, quindi desisto. Alcuni puntini sulle i però li voglio mettere. Nella nota all’articolo io non ho fatto alcun commento al libro, ma al suo autore. Perché nel libro compare l’idea che i decrescenti siano dei passatisti convinti che il passato sia migliore del presente tout court, e visto che molti di loro come Pallante mettono un forte accento sulle tecnologie dell’efficienza energetica, questa critica è profondamente scorretta (sì, ‘ingenuo’ non era il temirne adatto in effetti). Gli anarcoprimitivisti alla John Zerzan sono un’altra cosa. A questo punto leggerò il libro – che da queste premessa, sentita miliardi di volte, non mi sembrava presentarsi molto bene – ed esprimerò il mio giudizio su questo.
      Per adesso la mia impressione è di trovarmi di fronte a Don Ferrante, il personaggio manzoniano capace di negare l’esistenza della peste attraverso complessi e raffinati sillogismi aristotelici. Ogni volta che ho voluto portare la questione su fatti concreti (lo sviluppo ‘reale’, storico e come viene inteso dalle grandi corporation nella sua versione ‘sostenibile; l’ossessione, questa sì per davvero, delle istituzioni politiche per la crescita; ecc) la discussione è stata riportata dalla terra all’empireo.
      Mi spiace invece che non vorrai confrontarti con Bardi, proprio perché nell’ultimo suo articolo metteva in discussione la tesi della Terra ‘sistema isolato’, cosa che si può fare se si prende in considerazione solo l’energia e non le materie prime di cui sono fatte le cose che dovrebbero fruire di tale energia. E che queste risorse finite (o che impiegano ere geologiche per rigenerarsi), per questioni economiche vengono abbandonate molto prima del loro completo esaurimento.
      Un’ultima osservazione. Se pensi veramente che “il punto è se la crescita (così com’è) sia desiderabile.” forse hai sbagliato obiettivo polemico. L’ossessione per la crescita (così com’è) appartiene al mondo della politica e dell’economia che conta, non certo ai decrescenti che politicamente contano meno di niente. Magari un prossimo libro ‘Contro la crescita (così com’è)’ potrebbe essere più utile, sono sicuro che troveremmo anche più punti di contatto. Per il resto, I swear that I don’t have gun 🙂

  6. Cari Luca e Igor,
    ho cercato di seguire il filo del vostro discorso ma mi son perso… appena passo in libreria vedro` di sfogliare il libro in questione e, magari comprarlo per leggerlo o semplicemente metterlo sullo scaffale tra Adam Smith e Georgescu-Roegen.
    Nel frattempo, per cortesia Luca, ci fai leggere le tue idee sulla Termodinamica e sul come la Seconda Legge non sia un limite alla crescita ?
    Per un attimo mi erano venuti i brividi, perche` un tuo omonimo aveva in passato imperversato su questo sito con le sue idee strampalate sul moto perpetuo, poi ho verificato nomi e cognomi e mi sono tranquillizzato, quindi resto in curiosa attesa.
    Grazie, ciao
    Giulio

  7. Caro Luca,
    purtroppo viviamo in una società sempre piu’ maldisposta ad accettare le ragioni dell’altro; per cui, spesso l’accento viene posto sul “chi” lo dice, piuttosto che sul “cosa” si dice.
    Esiste anche un altro vezzo, secondo me altrettanto pericoloso, che è quello di formulare enuciati e non dimostrarli.
    Oppure, che è una sua variante, giudicare i processi storici, così come si sono consolidati negli anni, riconducendoli, sic et simpliciter, agli enunciati teorici.

    Tu scrivi: “la scienza ( incluso l’economia) non si è mai sognata di sostenere che la natura o il mondo sia”a nostra completa disposizione”) E’ vero. Anzi, grandi scienziati come Galileo Galilei hanno avuto a che fare proprio con chi metteva (meglio: subordinava) la scienza alla dottrina; per cui piegava la ragione al dogma.
    E’ vero anche che, nel momento in cui è stato fatto cattivo uso della scienza, come nel caso della fissione atomica, uomini come Julius Hoppenheimer sono caduti in depressione nel vedere come il frutto del pensiero divenisse strumento di morte e non valore al servizio del progresso umano.

    Mi pare che Igor abbia fatto bene ad insistere su un punto: vale a dire la dicotomia tra enunciati e quella che, sensu Gramsci potremmo definire “la filosofia della prassi”.
    Nei non pochi libri di economia che ho studiato non ho mai trovato una sola riga dove vi fosse scritto che il ciclo di produzione inizia dalle materie prime e si conclude col corretto smaltimento delle scorie e dei resti inutilizzati ( cosa diversa da inutilizzabili: infatti, recentemente, è stato coniato il termine di “materie prime seconde”).
    Solitamente a quei libri di economia mancavano alcune pagine: quelle relative alla biocompatibilità cioè riferimenti, se vogliamo fare un po’ di razionalismo moraleggiante, al senso del limite, sia nel prelievo che nello smaltimento.
    L’economia è ancora piu’ la finanza autoproducono entropia.
    E’ nello stato delle cose, lo dice il secondo principio della termodinamica ma anche l’equazioni differenziali di Dirichlet ; secondo le quali, quando hai un cambiamento di stato e due o piu’ “cose” interagiscono tra loro questo faccia crescere l’entropia.
    Ovunque, nel tentativo di creare ordine crei disordine, aumenti l’entropia.
    Dunque, nei fatti, a dispetto di quanto tu affermi : ” l’entropia non costituisce affatto un limite effettivo all’attività economica”, possiamo concludere che, per quanto lo costituisca ( eccome!) si faccia bellamente finta di niente. Non a caso assistiamo ai disastri che sono sotto gli occhi di tutti, per via di una accelerazione entropica incontrollata e incontrollabile, con questi ritmi di crescita.

    Non mi convince nemmeno la tua affermazione, secondo la quale “è sufficiente incrementare l’efficienza energetica da fonti rinnovabili per procedere continuamente……”.
    Perchè, la produzione di energia da fonti rinnovabili, per qualto di gran lunga preferibile a quella da fossili non è anch’ essa fonte di innalzamento dell’entropia?
    Smaltire i pannelli solari e fotovoltaici dismessi non è anch’esso un problema non indifferente, o impiantare con poco criterio pale eoliche che deturpano le bellezze del paesaggio ed hanno pesanti ricadute sul turismo o, cosa peggiore, sulla salute dei cittadini ( effetto Joule degli elettrodotti) non sono forse problemi connessi alla crescita continua?

    L’argomento che piu’ mi preme riguarda il paradigma secondo il quale esista una equazione di primo grado : crescita = sviluppo o, detto in altri termini, che il soddisfacimento dei bisogni umani e, in definitiva, il miglioramento della qualità della vita delle persone passi dalla crescita illimitata.
    Non solo la crescita illimitata è indesiderabile ma, alla lunga, proprio per l’entropia che produce, vanifica e rende impossibile se stessa: perchè le risorse non sono infinite e il prelievo non può, all’infinito, superare la capacità di rigenerazione.

    Un esempio molto evidente l’abbiamo in agricoltura.
    Nel nostro paese ( fonte censimenti ISTAT dell’agricoltura e Industria) dal 1961 al 2011 la superficie coltivata si è dimezzata. La produzione , nel suo complesso, è piu’ che raddoppiata. Gli addetti al lavoro dei campi piu’ che decimati (nel senso di ridotti a un decimo).
    Non c’è economista che non si spellerebbe le mani ad applaudire per tanta efficienza: dimezzare per raddopiare e ridurre drasticamente i costi di manodopera grazie meccanizzazione spinta del lavoro agricolo.
    Il fatto è che le arature profonde, l’impiego massiccio di nutrienti azotanti, di diserbanti, hanno d’apprima aumentato la redditività in termini di tonnellate per ettaro ma, nel medio termine, hanno provocato inaridimento, desertificazione , depauperamento della fauna edafica con perditòà di fertilità del suolo.
    Basta guardare le foto dal satellite per accorgersi come, nel volgere di pochi decenni, zone fertili siano diventate desertiche.
    Tutti aspetti che, come ricercatore dell’ISPRA che si occupa di studio della biodiversità, posso documentare con migliaia di dati a disposizione.

    Vorrei concludere con una nota positiva.
    Penso che possiamo convergere su di un fatto: la crescita e lo sviluppo non sono la stessa cosa e non è detto che, valutati gli effetti sistemici, vi sia un coefficiente di correlazione uguale a 1 tra predittiva e predetta.
    Credo che sullo sviluppo: ovvero la promozione umana ( di tutti gli umani, non solo di quelli fortunati di questa parte del mondo) possiamo anche compiere insieme dei ragionamenti e trovare terreno d’incontro.
    Lo sviluppo può anche essere desiderabile, se coincide col miglioramento della qualità della vita, la migliore redistribuzione della ricchezza, la lotta all’ineguaglianza, l’esaltazione dei diritti fondamentali di ogni persona umana.
    Forse le nostre strade potrebbero però dividersi nuovamente, se iniziassimo a discutere di antropocentrismo e biocentrismo che, si sa, non sono la stessa cosa.

  8. Ragazzi, non ce la faccio a rispondere a tutti insieme, abbiate pazienza.

    Giussani: ripeto, non sono venuto qua sopra per far polemica né per pubblicizzare il mio libro. In un primo momento, avevo creduto che il giudizio di ingenuità fosse stato emesso a seguito della lettura del libro; apprendo che così non è ma il giudizio si riferisce invece alla persona del sottoscritto. Il che, lo confesso, mi lascia doppiamente basito, dato che del sottoscritto Giussani ne sa ancor meno del libro.

    Trovo anche piuttosto bizzarro il richiamo alla concretezza, e non solo perché a peccare di astrattezza è proprio la decrescita, almeno nella versione di Latouche, ma soprattutto perché le proposte concrete che ci sono state (a parte Pallante, penso soprattutto a Peter Victor) presentano tutte la caratteristica di essere – a parte il giudizio sulla loro condivisibilità, che ovviamente va fatto caso per caso – perfettamente compatibili con la società attuale. E’ solo il povero Pallante ad essere convinto che i provvedimenti di risparmio energetico che suggerisce siano un colpo mortale al PIL; ma questo, ahimè, dipende dal fatto che Pallante non ha la minima idea di cosa il PIL sia e cosa misuri.

    Quanto a Bardi, non è che non mi voglia ‘confrontare’: se capiterà l’occasione, ben volentieri. Ma la sua mi sembra solo una nuova versione della teoria di Georgescu sulla “quarta legge della termodinamica”, che è già stata ripetutamente confutata (i riff. bibliografici li rinvio alla prossima risposta). E io davvero non riesco a capire il senso di operazioni del genere, che si ostinano a usare in modo metaforico e improprio il concetto di “entropia”, che ha un significato molto preciso in termodinamica e NON si applica ai materiali, quando quel che si vuol dire è semplicemente (e molto più sensatamente) che le risorse sono esauribili: ma non è certo questa l’entropia!

    Appena posso rispondo anche agli altri. E tranquillo: leggere il mio libro non è mica obbligatorio.

    • Visto che mi sto stufando di scusarmi continuamente (sì, ho letto sul libro un giudizio assolutamente scorretto sui decrescenti – “passatisti ecc” – e da quello ho dedotto qualcosa sulla persona) e sono stanco di apparire come un terrorista dialettico solo perché volevo offrire qualche spunto di riflessione e soprattutto capire il punto di vista altrui (altro che interrogatorio o esame o assalto all’Ok Corrall), penso che la cosa migliore da fare sia tornare al testo e amen. In un attimo di libertà dal lavoro mi sono accorto che su Google Books c’è tutta la sezione iniziale in cui ‘confuti’ il ragionamento di Pallante su beni e merci, l’ho letto e la sensazione di discorrere con Don Ferrante è decisamente aumentata. Ci dedicherò uno speciale Decrescendo&decostruendo, cosa che però va studiata bene visto che siamo di fronte a un pezzo di libro e non a un articolo di giornale. Già che fai l’avvocato: i contenuti su Google Books li posso riportare sul Web? Va bene la vena polemica ma non ho voglia di finire in una causa legale. Nel caso riassumerò nel modo più completo e opportuno. Mi resto il mistero per cui una persona che si dichiara contro la crescita per la crescita e che ammette che le risorse siano finite usi tre anni della sua vita contro i decrescenti anziché contro chi ragiona come se crescita e risorse fossero infinite (persone che tra l’altro nella scala sociale occupano ruoli un filino più elevati dai decrescenti di ogni tipo…) ma ognuno è libero di dedicare il tempo come vuole oppure, come succede in tribunale, di avvalersi della facoltà di non rispondere.
      Tutto questo lo dico con il sorriso sulla bocca 🙂 senza volere sparare a nessuno o fare il grande inquisitore.

      • Ahahah, vabbè. Quel che c’è su Google Books ci sta senza autorizzazione mia, ma no problem, usalo pure, prometto che non ti faccio causa. Solo che mi sembra una versione incompleta anche solo del capitolo su Pallante, per cui, boh? Che te ne fai? Tiri i dadi per indovinare come prosegue?
        Ripeto: io non cerco le scuse di nessuno; trovo solo singolare, e anche un tantino criticabile, trinciar giudizi su cose e persone che non si conoscono. Ho paura che qui sia all’opera una sorta di riflesso condizionato: leggi parole e frasi che non ti piacciono, ti si rizzano i capelli in testa, cominci a strillare “nontisentonontisentonontisento” e scappi. Non è che sia un modo particolarmente fruttuoso per “confrontarsi”, nevvero. E non depone benissimo neanche sulla serietà con cui certe idee vengono abbracciate e sostenute. Ma contento te…
        Quanto al “passatista”, non ho mai usato il termine e non so dove puoi averlo letto: forse sulla copertina, che però, come ho già detto, non è opera mia e sulla quale non ho avuto alcuna voce in capitolo.
        Le ragioni per cui ho scritto contro la decrescita le trovi nel libro; mi perdonerai ma è una lunga serie.
        E qui, direi, ti saluto definitivamente.

          • Giussani: ultimo intervento. Tranquillo, non ti devi scusare con me. La verve polemica, come la chiami, mi diverte; se la mia ha dato fastidio a qualcuno, colgo qui l’occasione per scusarmi a mia volta. Ero venuto qui solo per curiosare, attirato dalla tua nota; dopodiché sono restato perché tu mi avevi invitato. In ogni caso, basta così. Giulio Manzoni mi ha chiesto il mio testo sull’entropia, gliel’ho mandato, se vuole la conversazione può continuare. Lo stesso vale per te e chiunque altro, la mia email la trovate sotto. Un saluto e buona continuazione.

          • La discussione può proseguire quanto vuoi ed è meglio che sia pubblica sul Web per l’interesse di tutti, non ho detto che te ne devi andare nel video, penso di essere stato chiaro. Ho detto semplicemente di considerare, visto i tuoi giudizi trancianti sui decrescenti come poco aperti al pluralismo, quanti altri soggetti concederebbero a una persona dichiaratamente contro le loro concezioni così tanto spazio.

  9. Caro Giulio Manzoni, le mie idee sull’entropia sono poco significative, non essendo io un fisico. Sono i fisici che, nella stragrande maggioranza, ritengono che le teorie di Georgescu siano infondate (un uso metaforico e simbolico del concetto di entropia, come ha scritto Rothman in “Science à la Mode”, peraltro a proposito di Rifkin).
    Se vuoi leggere qualcosa di interessante sull’argomento, ecco qualche riferimento (ma ce ne sono millanta altri):
    Robert U. Ayres (1999), “The second law, the fourth law, recycling, and limits to growth”, in Ecological Economics 29, 473-483;
    Stefan Baumgaertner (2002), “Thermodynamics of waste generation”, in K.Bisson and J. Proops (Eds.), Waste in Ecological Economics, Cheltenham and Northampton, Edward Elgar;
    Idem (2003), voce “Entropy”, in Internet Encyclopaedia of Ecological Economics, all’indirizzo http://www.ecoeco.org/publica/encyc.htm;
    Peter A. Corning (2002), “Thermoeconomics: beyond the Second Law”, all’indirizzo http://www.complexsystems.org/publications/pdf/thermoecon.pdf;
    Peter Fleissner e Wolfgang Hofkirchner (1997), “Entropy and its Implications for Sustainability” in DRAGAN, J.C.- M.C.DEMETRESCU- E.K.SEIFERT (Eds.), Implications and Applications of Bioeconomics, Milan, Nagard, 147-155;
    Stephen I. Gillett (2006), “Entropy and its misuse, I. Energy, free and otherwise”, in Ecological Economics 56, 58-70;
    Thomas Kaberger e Bengt Mansson (2001), “Entropy and economic processes- physics perspectives”, in Ecological Economics 36, 165-179;
    David Schwartzmann (2008), “The Limits to Entropy: the Continuing Misuses of Thermodynamics in Environmental and Marxist Theory”, in Science and Society, 72, 43-62.
    Poi, se davvero ti interessa, non ho problemi a spedirti il capitolo che avevo scritto sull’entropia ma che poi non ho pubblicato; ma è solo una rassegna di articoli come questi. Un saluto.

    • Ciao Luca,
      tu sei avvocato… quindi sai che ignorantia legis non excusat, cioe’ se passo con il rosso ed ammazzo qualcuno vado dritto in galera anche se sono analfabeta e non conosco il codice della strada.
      Il problema e’ quindi che “non essere un fisico” non scusa nessuno.
      Siccome siamo tutti a spasso sulle strade di questo mondo, la conoscenza delle leggi del mondo e’ obbligo per tutti, e le prime leggi, al di sopra di qualunque discussione (ben al di sopra delle guerre sui nomi di dio o sulla sua esistenza o meno) sono i vari principi fisici di conservazione, continuita’ e… direzione, cioe’ la Seconda Legge della Termodinamica.
      Scherzava certamente Igor… perche’ non ci sara’ mai un Nobel per chi scoprira’ che tale legge e’ errata. Altrimenti i milioni di inventori del moto perpetuo che ancora ci affliggono avrebbero gia’ scoperto migliaia di maniere di realizzare energia gratis e quindi la crescita infinita.
      Quindi la tua opinione mi interessa moltissimo, perche’ vedo che ti sei documentato e sarebbe un peccato se tu non avessi colto con chiarezza il fatto che l’energia passa solamente da corpi caldi a corpi freddi a meno di non spendere piu’ lavoro di quanto sia l’energia da trasferire. E poi, riguardo alla materia (i materiali), per qualunque sua trasformazione (non mangiamo mica sassi, vero ?) serve energia, da cui si ricade al punto di cui sopra. La materia infatti conta tanto quanto l’energia, lo diceva anche Einstein…
      Ora, mi citi una lista di illustri sconosciuti nel campo della fisica, magari saranno geni in altri campi, ma dal po’ che ho letto sul collegamento che suggerisci (il secondo, perche’ il primo non funziona) mi pare gente che si sia cercata di inventare il modo di girare attorno alla Seconda Legge: ““Thermoeconomics”, by contrast, is based on the proposition that the role of
      energy in biological evolution should be defined and understood not in terms of the Second Law
      but in terms of such economic criteria as “productivity,” “efficiency,” and especially the costs
      and benefits (or “profitability”)”.
      Cioe’ possiamo tutti decidere che il rosso era un po’ sbiadito e metterci a discutere con il vigile che ci sta togliendo la patente… fintanto che non ci scappa il morto.
      E qui, mentre ci inventiamo trucchi per ignorare le leggi della fisica, ci sta morendo il pianeta sotto il sedere.

      PS: Sono sempre piu’ curioso di leggere il tuo capitolo, ciao.

      • No, perdonami, non è affatto quel che ho detto. Nessuno si sogna di negare la validità della seconda legge della termodinamica, ci mancherebbe. E’ che Georgescu (e altri) ne hanno dato una interpretazione che è generalmente considerata scorretta. Se poi i nomi che ho citato (ma come ho detto, ce ne sono tanti altri) non ti piacciono, che dire? Amen. Ma non attribuirmi bestialità che non ho mai detto; tanto più che nella fattispecie quel che ho detto mi sembrava anche abbastanza chiaro.
        Saluti.

  10. Caro Luca,
    siamo qui proprio per discutere e confutare le cose “generalmente considerate” cosi` o cola`… e non per continuare a lanciarci citazioni di altri che hanno letto di altri che hanno criticato altri che hanno scritto altro…

    Riguardo alle leggi della Termodinamica, non esiste una quarta legge di G-R. (anche se a rigore potremmo contare 4 leggi, partendo dalla zeroth fino alla terza che sancisce l’impossibilta` di scendere oltre lo zero assoluto di temperatura).
    Ho letto il tomo di G-R e poi Daly, ecc… (vedi mio articolo su DF) e al massimo posso concedere che G-R abbia cercato di derivare corollari, esempi, ecc… che tutt’alpiu` si possono considerare come “regolamenti applicativi di principi fondamentali” se mi passi l’analogia con i codici… se lui o altri hanno definito tali regolamenti come una “quarta legge” hanno certamente peccato.

    Comunque, vedo anche dai personaggi che citi (Ayres per esempio), il nocciolo del problema sembra essere il significato di “rinnovabile”.
    Vedo due significati.

    Significato forte: chiudo tutto in un volume isolato, e vedo se qualcosa si puo` rinnovare ripetutamente infinite volte. Risposta: NO; motivo: la Seconda Legge della Termodinamica. Corollario: La Morte Entropica dell’Universo. Fine della discussione.

    Significato debole: consento l’ingresso di un flusso costante di energia (per esempio dal Sole) e vedo se la materia esistente si puo` rinnovare infinite volte, ammetto anche che l’efficienza di rinnovamento possa incrementarsi ogni volta (come se potessimo migliorare le nostre tecnologie indefinitamente) ma al massimo puo` raggiungere l’unita`… Risposte:
    Decrescisti: NO
    Crescisti: SI
    Chi ha ragione ? Aspetta la mia prossima pubblicazione, che, lo prometto, non usera` nessuna citazione a G-R o chichessia, ma usera` semplicemente le leggi della Fisica.
    Ciao
    PS: se nel frattempo ci vuoi inviare il tuo capitolo sulla questione… sempre in paziente attesa.

  11. Caro Giulio,
    la “quarta legge” esiste eccome, e lo stesso G.R. l’ha chiamata così (vedi ad es. p. 102 e ss. di “Energia e miti economici”; troverai senz’altro da solo altre occorrenze).
    Delle due versioni di cui parli, la prima (“significato forte”) è irrilevante al nostro caso, dato che la Terra non è un sistema isolato. Quanto alla seconda, non c’è granché di controverso: infatti, da un lato è certo che *in teoria* un riciclaggio continuo è possibile (l’ha dimostrato proprio Ayres), e questo basta, dato che la discussione di G.R. è solo teorica; dall’altro lato, la termodinamica non ha niente a che fare con tutto questo.
    I veri problemi sono pratici, non teorici: la morte termica è ancora lontana.
    Ti posso senz’altro mandare il mio testo, ma dovresti darmi la tua email. Puoi scrivermi a l.simonetti@spslex.com.

  12. Dunque, il fatto che G-R abbia definito un legge, non la rende legge fisica al pari delle leggi fondamentali della fisica. Ma il punto non e’ questo, se vogliamo attaccare G-R per toglierci lo sfizio di dar fastidio ai decrescisti possimo trovare decine di motivi per farlo. Io stesso non nego la fatica che ho fatto a leggere il suo libro, ma, come dico ne e’ valsa la pena per aver evidenziato agli economisti la presenza della Seconda legge…
    Ho poi letto Ayres, un altro bel confusionario, ti garantisco che non ha dimostrato un bel niente. Cio’ che scrive e’ al livello di un esercizio di fisica delle superiori. Dimostrazioni cosi se ne possono fare cento ed altrettante se ne possono fare diametralmente opposte.
    Semmai il fatto che il riciclaggio continuo sia possibile lo dimostra il nostro pianeta che ha sopravvissuto magnificamente per qualche miliardo di anni. Ma attenzione: lo ha fatto in un regime stazionario di equilibrio bilanciato: SENZA CRESCITA di nessuno.
    In poche parole, e non servono articoloni di economisti che si improvvisano fisici: tanta energia a bassa entropia arriva dal Sole e tanta se ne va dalla Terra ad entropia piu’ alta e cio’ che transita sul nostro pianeta e’ utilizzato per il riciclo continuo delle forme di vita terrestre, per i vari cicli ambientali e per le trasformazioni geologiche.
    Ora arriva l’uomo e sconvolge tali bilanci per CRESCERE. Ovviamente le cose non funzionano piu’.
    Tutto qua, lo capisce anche la casalinga di Voghera…

    • Confesso di non cogliere il senso della tua affermazione (“il fatto che G-R abbia definito un legge, non la rende legge fisica al pari delle leggi fondamentali della fisica”), nel contesto del thread. Prima avevi scritto che “Riguardo alle leggi della Termodinamica, non esiste una quarta legge di G-R.”, al che ti ho fatto notare che G.R. ha precisamente preteso di formularne una (non so quanto fosse serio al riguardo, dato che era tutt’altro che un sempliciotto: ma di certo i decrescenti l’hanno preso molto sul serio). Che non sia una legge fisica, siamo decisamente d’accordo, ma allora non capisco di cosa stai parlando da ieri, visto che è quello che ho sostenuto fin dall’inizio.
      Quanto agli “economisti che si improvvisano fisici”, nota che gli autori che ho citato sono, per l’appunto, dei fisici che parlano di fisica; economisti che si improvvisano fisici sono, semmai, G.R. e Daly… Il che non è casuale, temo.
      Ti ho spedito per email il mio testo, dove troverai molti riferimenti e spiegazioni del perché i fisici (non io) ritengono la teoria di G.R. errata. Mi colpisce comunque il semplicismo e il velleitarismo di chi è convinto che questioni del genere siano di immediata comprensione per cui le capirebbe anche la casalinga di Voghera se non intervenisse (come scrive Uboldi qua sotto) il solito complotto delle ristrette oligarchie economico-finanziarie. Per carità, io ho sempre invidiato la chutzpah, per cui mi guardo bene dal sottovalutare il vostro amico di sopra che si mette a “decostruire” un libro che non ha letto, e in generale chi pensa che problemi complicatissimi siano risolubili senza alcuno sforzo; ma per fare una discussione seria, ho paura, serve ben altro. Un saluto.

      • Caro Luca, ti devi essere perso il video dove si vede che io (che immagino di essere il ‘loro amico’ in questione) ho comprato il libro (così c’è la prova certa) e se lo sta leggendo – anzi si è già letto più della metà. Quindi mi raccomando: resta sintonizzato su queste pagine che presto ne riparleremo diffusamente del libro. Adesso dovrei essere io a chiedere dove ho mai scritto che problemi complicatissimi sarebbero facilmente risolvibili. O forse dovrei chiederti io di leggere la roba che scrivo prima di mettermi in bocca cosa mai dette – tra l’altro è tutto gratis, non devi neanche spendere 15 euro come ho fatto io.

        • Giussani, ma mica mi riferivo a te con “in generale chi pensa che problemi complicatissimi siano risolubili senza alcuno sforzo” (tu eri quello che decostruiva senza leggere).

  13. Perfetto Giulio :-))
    Anch’io ho letto Ayres e, per la verità, non mi pare abbia confutato un bel niente.

    Einstein, quando elaborò la teoria della relatività speciale e generale, benchè fosse sicuro di avere ragione, dovette andare a “prendersela” la ragione, dimostrando, con l’evidenza, che fosse esatta.
    Impiegò quasi cinque anni per poterlo fare e ci volle la complicità di una eclissi solare per fugare ogni dubbio.
    Nel mondo della scienza le cose vanno così: formuli un’ipotesi che poi devi dimostrare.
    E’ tremendamente difficile dimostrare, per esempio che la capacità di rigenerare la materia oggetto del “prelievo”, che, tramite il lavoro si è trasformata in manufatti, scarti delle lavorazioni, calore dissipato ed ha aumentato l’entropia, possa essere ricondatta allo stato originario.
    Tremano i posi ad immaginare quale modello multivariato si debba predisporre per testare l’ipotesi.
    Allora dobbiamo ricorrere ad un espediente: quello della black box.
    Noi non sappiamo quanti e quali processi di trasformazione avvengano dentro la “scatola” ma abbiamo sufficienti cognizioni dell’input e dell’output.
    L’output, in particolare è evidente.
    Il caos generato dalla trasformazione, che eufemisticamente chiamiamo “crescita” ha come effetto complementare, tra gli altri, i cambiamenti climatici.
    Qualcuno ha dei dubbi? Forse il fatto che mezza Italia sia attualmente sott’acqua è un fatto episodico e casuale?
    Bisogna essere ciechi , sordi e alquanto irresponsabili per ritenere che in tutto ciò non vi sia un’alta componente di entropia che cerca di autoridursi alimentando fenomeni distruttivi.
    Nulla si crea , nulla si distrugge e tutto si trasforma.
    L’energia potenziale diventa cinetica e, nel volgere di questa trasformazione, gestisce a modo suo la “varianza”; coi risultati che vediamo.

    Ma anche nella ipotesi che vi sia una certa dose di pessimismo, circa la possibilità che il sistema riesca ad autorigenerarsi in eterno , deve sempre valere il principio della prudenza: se non sono sicuro di quanto affermo, quantomeno devo prudentemente non rischiare di varcare la soglia di non ritorno.
    Siccome però sono in gioco interessi colossali di ristrette oligarchie economico-finanziarie, allora si fa finta di niente o, peggio, si attribuisce all’umanità tutta e al suo desiderio di “progredire” il diritto alla eterna predazione.

    • Ascolta. Che il riciclaggio sia possibile in generale, è certo (e su questo, spero non ci si debba mettere a discutere oltre). Quel che Ayres dice è che il riciclaggio continuo non è impedito *in teoria* dalla seconda legge della termodinamica, in nessuna sua formulazione, neppure quella di G.R. che è – peraltro – errata. Esistono certo degli impedimenti pratici al riciclaggio continuo, in primis la crescita esponenziale dei costi, ma sempre in teoria nessuno di questi ostacoli è insuperabile, data la disponibilità costante di energia solare (che rende per l’appunto il sistema di riferimento, cioè la Terra, un sistema non isolato). Questi ostacoli, che sono poi quelli che realmente il sistema economico incontra, non sono affatto descritti dalle leggi della termodinamica, che riguardano tutt’altri fenomeni, ma sono ben catturati invece da modelli come il World 3 dei Meadows (pur con tutti i loro difetti, eh). Non si guadagna nulla a chiamare i veri problemi, quelli realmente esistenti (l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse, eccetera) col nome di “entropia”, salvo che non si voglia – come diceva il fisico Rothman a proposito di Rifkin – ammantare un discorso banale (ma serio) coi paludamenti di termini propri della termodinamica (il che non è serio.)
      L’entropia non c’entra nulla con i fenomeni che descrivi qui sopra e che – giustamente – ci preoccupano; la morte termica dell’universo, o anche semplicemente del sistema solare, è talmente lontana da rendere il suo richiamo del tutto irrilevante.
      Poi, se tu o altri siete in grado di dimostrare che l’interpretazione di G.R. della termodinamica in termini economici è corretta, avete davanti praterie sconfinate, dato che tutti gli scienziati che se ne sono occupati la pensano diversamente: il Nobel è lì che vi aspetta.
      Saluti

  14. Aggiungo l’ultima risposta per Luca e poi mi asterro` dal continuare che 30 commenti mi sembrano anche troppi.

    Sulla coerenza di quanto ho scritto su G-R: io sono arrivato alla Decrescita attraverso un mio percorso parallelo al movimento stesso; dopo aver esplorato le tecnologie piu` disparate (letteralmente “dalle zattere alle astronavi”) e ragionando sui mali del mondo, con logica e fisica alla mano mi sono autonomamente convinto dei principi “decrescisti” senza nemmeno sapere come denominarli e senza sapere che ci fosse un movimento della Decrescita Felice o che c’era uno chiamato G-R. Diciamo che ho riscoperto da me alcune cose che G-R aveva detto tempo fa, ma non sono vincolato a difenderlo a spada tratta o a difendere il modo in cui le ha dette. Resta il fatto che di cose giuste ne ha dette parecchie e fondamentali.

    Sulle leggi fisiche: Ripeto che baso il mio discorso unicamente sulle Leggi Fondamentali della Fisica, su cui non si discute e tra cui non esiste nessuna legge di G-R. Ciononostante cio` che G-R ha detto sul riciclo e` purtroppo vero anche se chi non lo vuol ammettere fa di tutto per trovarci degli errori. Infatti le conseguenze della Seconda Legge sull’economia ci sono eccome e non serve creare una quarta legge della termodinamica per trovarle, cosi` come non serve creare una legge diversa per ogni problemino di Fisica che si risolve a scuola (continuo ad essere stupefatto dalle mille leggi con mille nomi che gli economisti propinano in ogni pagina dei loro libri). Purtroppo non serve nemmeno creare alchimie di modelli economici per illudersi che l’economia sia indipendente dalla Termodinamica: invece ci e` dentro fino al collo.

    Nel particolare del riciclo per un sistema aperto: i vari signori che si sono divertiti a criticare G-R perche` ha confuso un sistema aperto con uno chiuso si sono accaniti a dire che l’energia arriva dal sole in quantita` infinita a bassa entropia e quindi la possiamo usare come vogliamo, ma, tra i vari errori si sono dimenticati di chiedersi dove smaltire l’energia ad altra entropia una volta usata. Forse quando hanno speso i loro fiumi di inchiostro il riscaldamento del pianeta non era ancora un fatto assodato…

    Sull’equivalenza Materia-Energia i signori di cui sopra sono semplicemente in mala fede, se mai ci avessero pensato seriamente.

    Sulla Morte Entropica dell’Universo, daccordo ci vorranno miliardi di anni, ma nel frattempo noi ne stiamo accelerando l’arrivo dicendoci che ci vorra` tanto tempo. E l’aliquota di morte entropica che basta per distruggere il nostro ambiente e` molto piu` piccola di quella dell’Universo. Purtroppo stiamo facendo come quello che diceva “ammazzarne milioni e` genocidio, ma ammazzarne un paio e’ tollerabile se ci fa tirare avanti ancora un po’ “.

    Ora non riapriro` piu` questo articolo e mi riservo di spiegare meglio tutto cio` che ho detto in una pubblicazione completa che non puo` certamente trovar posto in un blog.

    Passo e chiudo.

  15. Accidenti!
    Grazie a tutti.
    Credo che non ci sia un sito più interessante. 🙂
    Rileggerò con calma quanto avete scritto.
    Certo è che sono schiava del mio lavoro, ahimè, e ho poco tempo da dedicare alla lettura di tutti i libri che vorrei leggere.

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