Anche la popolazione deve decrescere?

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Attualmente ci sono più di 7,3 miliardi di persone sul pianeta e la crescita demografica del genere umano non sembra arrestarsi, con le ultimissime stime delle Nazioni Unite che hanno rivisto per l’ennesima volta a rialzo le previsioni sulla popolazione del pianeta per i prossimi decenni, stimata essere pari a 9,7 miliardi nel 2050 – contro i 9,3 miliardi della precedente revisione. Gran parte dell’incremento demografico dei prossimi anni proverrà da Africa Sub-Sahariana (e in particolare da Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Uganda ed Etiopia), Asia Meridionale (India, Bangladesh e Pakistan) e Sud-Est Asiatico (Indonesia), paesi in cui gran parte della popolazione è in età adolescenziale e dove la mortalità infantile diminuirà maggiormente nei prossimi decenni. Ma la popolazione non accennerà a diminuire, almeno secondo le stime dei demografi, nemmeno dopo il 2050, con le ultimissime proiezioni che calcolano che entro il 2100 saranno addirittura 11,2 miliardi le persone che si contenderanno le limitate risorse di un pianeta sempre più degradato. Insomma, siamo di fronte a una vera e propria esplosione demografica, che non potrà che mettere ulteriori pressioni ai problemi che già ora, con 7,3 miliardi di esseri umani, non siamo in grado di risolvere. Come faremo a sfamare, in un lasso di tempo pari a tre decenni, ulteriori 2,5 miliardi di persone in un pianeta la cui superficie agricola, nonostante il continuo abbattimento delle foreste vergini, continua a declinare? Come fare ad aumentare la produzione di cibo in un pianeta i cui terreni agricoli, a causa delle pratiche dell’agricoltura industriale (assenza di rotazione delle colture, massiccia presenza di monoculture, utilizzo di mais o cotone OGM, pratiche di aratura profonda e compattamento dei terreni e via dicendo) sono sempre più esauriti, poveri di microrganismi del suolo, humus e quindi dipendenti dai fertilizzanti chimici apportati dall’esterno?

Nel 2100 i ghiacciai di gran parte delle catene montuose (in primis Himalaya ed Ande) si saranno sciolti a causa del riscaldamento globale e quindi la portata dei grandi fiumi della Terra sarà più irregolare e limitata, mentre i fenomeni metereologici estremi, come la siccità, metteranno a rischio la produzione di terreni agricoli sempre più fragili e in cui gli effetti negativi della salinizzazione dovuta all’eccessiva irrigazione (già ora visibile in regioni come l’Australia o il Punjab) renderanno problematico fornire un pasto dignitoso a ulteriori 4 miliardi di persone su un pianeta sempre più stretto e degradato. E stiamo parlando di cibo, il bisogno più essenziale e irrinunciabile di tutti insieme all’acqua – anch’esso bene sempre più raro e conteso.

Per capire quale sarebbe la popolazione che il pianeta potrebbe attualmente sostenere utilizziamo l’impronta ecologica, ovvero un indicatore impiegato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità da parte del pianeta di rigenerarle o di assorbire i rifiuti umani. Utilizzando questi calcoli scopriamo che l’area biologicamente produttiva di terra e mare a disposizione dell’umanità nel 2012 era pari a 12,25 miliardi di ettari, vale a dire 1,73 ettari per ogni abitante della Terra. Ma nello stesso periodo, la superficie biologicamente produttiva che sarebbe stata necessaria per rigenerare quanto consumato dall’umanità e assorbirne i nostri rifiuti è stata pari a 20,11 miliardi di ettari, ovvero 2,84 ettari a testa. Siamo in deficit, il nostro bilancio con il pianeta Terra è fortemente in perdita perché l’umanità sta rapidamente distruggendo l’imponente capitale naturale per mantenere gli elevati standard di consumo che la società dei consumi ci richiede, ma è un dato di fatto che in tutto questo la popolazione gioca un ruolo assolutamente centrale, è parte del problema. Con i dati che ci forniscono gli studiosi dell’impronta ecologica, si può facilmente scoprire quale sarebbe la popolazione che il pianeta potrebbe sostenere mantenendo inalterati gli attuali livelli di consumo pro-capite di risorse naturali e produzione pro-capite di rifiuti. 4 miliardi e  312 milioni, questa la soglia massima che dovrebbe raggiungere la popolazione di homo sapiens se non si vuole portare il pianeta verso un rapido collasso. Questo vuol dire che dati gli attuali livelli medi di consumi, sulla Terra ci sono 3 miliardi di persone in eccesso. Certo, le cose cambierebbero se avessimo tutti l’impronta ecologica media di un africano, pari a 1,4 ettari di spazio biologicamente produttivo a testa; in tal caso la popolazione che il pianeta potrebbe sostenere potrebbe addirittura aumentare ancora, fino a raggiungere la soglia di 8,5 miliardi di persone (prevista comunque tra il 2025 e il 2030). Diversamente, se tutti avessimo bisogno delle risorse naturali che in media un canadese o uno statunitense consuma ogni anno per mantenere il proprio stile di vita opulento, la popolazione che il pianeta potrebbe sostenere sarebbe addirittura  inferiore al miliardo e mezzo di individui. Insomma l’american way of life non è solo insostenibile ma è anche dannoso, perché obbliga chi non può permettersi uno stile di vita così dispendioso di risorse naturali a subirne comunque gli effetti negativi – non a caso i danni dell’inquinamento, come ad esempio quelli del riscaldamento globale, ricadono sempre prima sui più poveri.

Se invece volessimo mantenere l’attuale popolazione di 7,3 miliardi di persone, l’umanità dovrebbe avere un’impronta ecologica pro-capite e quindi uno stile di vita pari a quello degli abitanti dell’Honduras, il Viet Nam o il Marocco, paesi la cui popolazione non vive certo nell’indigenza più totale, ma dove non ci sono certo gli sprechi e gli standard di consumo occidentali.

La prima cosa da fare, dunque, è una decisa riduzione del nostro impatto sul pianeta, a partire dai consumi e i privilegi di quella minoranza che detiene l’86% della ricchezza totale. Ma insieme alla riduzione dei consumi, variabile su cui possiamo agire in tempi stretti, dobbiamo assolutamente agire sulla popolazione, che non possiamo certo permetterci di veder raggiungere la strabiliante cifra di 10 miliardi nell’arco di poco più di tre decenni. Per provare a limitare la pericolosa crescita demografica di esseri umani bisogna però agire su quei paesi dove la natalità è maggiore, con il paradosso che si tratta anche dei paesi più poveri (Nigeria, Etiopia, Bangladesh e via dicendo) e dove in genere la popolazione aumenta sia per motivi culturali (basti pensare al ruolo che una famiglia numerosa ha nei paesi islamici) che socio-assistenziali (dove manca un sistema pensionistico sono i figli che provvederanno al mantenimento dei genitori una volta invecchiati). Il rischio è che un programma di riduzione della natalità venga vissuto da parte della popolazione del Terzo Mondo come l’ennesimo attacco culturale da parte dell’Occidente, che dopo la colonizzazione militare del secolo scorso e quella economica in atto, si vede attribuire la colpa per problemi di cui ne è solamente in minima parte responsabile. Ma lo saranno sempre di più nei prossimi decenni. Forse queste misure potranno avere un senso solamente nel caso in cui tutti siano in grado di fare sacrifici tangibili, i paesi ricchi con una forte riduzione dei consumi e dell’inaccettabile lusso di pochi, i paesi poveri con un ridimensionamento del numero di figli che metteranno al mondo nei prossimi decenni.

Quello della popolazione è sicuramente un problema principalmente legato ai consumi dei paesi ricchi, almeno per ora, basti pensare che se anche azzerassimo la popolazione dell’intera Africa e dell’intera America Latina, pari a 1 miliardo e 600 milioni di abitanti, ci troveremmo comunque ancora a consumare molte più risorse di quante il pianeta è in grado di restituircene annualmente. Diversamente, se azzerassimo la popolazione di Nord America ed Europa, pari a poco più di 1 miliardo di persone, avremmo quasi risolto il problema dell’impatto non sostenibile dell’umanità sul pianeta. Non è quindi solamente un problema di teste, ma anche e soprattutto di consumi pro-capite. Ma i poveri di oggi (o meglio i loro figli) potrebbero essere la classe media di domani, previsione senz’altro auspicabile dal punto di vista sociale, economico e morale, ma i cui effetti a livello planetario sarebbero sicuramente apocalittici, a prescindere dai consumi dei paesi più ricchi.

ecological footprint

Come si può ben vedere dal Grafico[1], che mostra le previsioni sull’impronta ecologica dell’umanità fino al 2100, il peso dell’umanità su un pianeta sempre più sfruttato e maltrattato, se tutto continuerà come abbiamo visto fino ad ora, non accennerà proprio a diminuire, passando da un deficit di 7,3 miliardi di ettari di spazio bioproduttivo nel 2012 a 11,3 miliardi di ettari nel 2030, 18,8 nel 2050 e 22,1 nel 2100. Il maggior contributo alla richiesta di spazio bioproduttivo per l’umanità per i prossimi decenni proverrà da Asia ed Oceania, che dal 2012 al 2030 avranno bisogno di ulteriori 2,702 miliardi di ettari di foreste, terreni agricoli e superficie da destinare alle costruzioni (e saranno 3,129 i miliardi di ettari che andranno a sommarsi alla fame di risorse naturali di queste regioni dal 2030 al 2050). Ma la seconda regione che contribuirà di più ad aumentare il peso dell’umanità da qui al 2030 (e poi fino al 2050) sarà l’Africa, con ulteriori 2,278 miliardi di ettari che saranno necessari per far fronte al boom demografico e il miglioramento delle condizioni di vita entro i prossimi quindici anni (e ulteriori 2,108 miliardi di ettari nei vent’anni successivi). L’assurdo di tutto questo è che continuare a dilapidare il capitale naturale del pianeta significa che in futuro non potremo avere né benessere economico né un ambiente in salute, perché il benessere economico non può che dipendere dall’abbondanza delle risorse naturali e quindi il buon funzionamento dei delicati cicli del pianeta, che però stiamo scardinando e con effetti irreversibili.

[1] I dati sulle previsioni di crescita del PIL si riferiscono fino al 2050 e sono in euro del 2005, fonte: Fondo Monetario Internazionale. I dati sull’impronta ecologica dei vari paesi sono del 2012, fonte: Global Footprint Network. I dati sulle previsioni della crescita demografica si riferiscono fino al 2100, fonte: World Population Prospect 2015. Con una regressione lineare (R2 corretto= 0,63) ho calcolato l’intercetta (2,019 +/- 0,13) e il coefficiente della variabile indipendente (0,0087) per stimare la relazione lineare che c’è tra PIL pro capite e impronta ecologica pro capite dei 172 paesi considerati dal Global Footprint Network nel 2012. Considerando le previsioni future sul PIL fino al 2050 (per il 2100 ho mantenuto il PIL pro-capite del 2050 per mancanza di dati)  e quelle della popolazione fino al 2100 ho stimato quale potrebbe essere l’impronta ecologica totale dei cinque continenti considerati.

17 Commenti

  1. Finalmente, grazie. Non capisco perché è così difficile parlarne e perché dobbiamo immaginare soluzioni sempre più impossibili pur di evitare il controllo demografico. Sembra quasi un tabù per moltissimi.

    • Giusto qualche suggestione per capire come mai si tratta di una questione un po’ delicata: 1) si tratta di intervenire su uno degli aspetti più intimi della persona quindi politicamente parlando è una questione molto spinosa 2) a meno che tu non voglia compiere genocidi di massa, la variabile demografica è la più lenta a calare, quindi in una situazione in cui il tempo per intervenire è pochissimo porre tutta l’enfasi sull’elemento più lento a mutare non so quanto sia intelligente 3) per me e per te è molto facile parlare di questo argomento perché viviamo in una società con tanti servizi e sicurezza sociale, in cui non avere figli tra le scatole ti può concedere un’esistenza edonisticamente più piena. In nazioni dell’Africa o dell’Asia dove tutto ciò non esiste non avere una propria famiglia significa invece condannarsi a un’esistenza abbastanza corta. Quindi, in definitiva: ben venga che nei paesi chiaramente sovrappopolati si parli di pianificazione familiare ma, siccome non ho mai sopportato il bue che dà del cornuto all’asino, mi piacerebbe che la società occidentale – capace di impattare di più malgrado abbia superato e da un pezzo la transizione demografica – non salisse in cattedra e anzi intervenisse sulle sue storture, che sono legate principalmente a consumi e tecnologia.

      • Grazie prof. Giussani, d’accordissimo su storture e colpe dell’Occidente e sulla necessità di decrescita dei consumi, oltre al discorso demografico che ormai dovrebbe essere affrontato, meglio prima che dopo. I genocidi di massa sono ciò che temo. E’ che sento parlare di nuove tecnologie energetiche, di adattamento, di sopravvivere mangiando insetti, qualunque cosa tranne esercitare un controllo su noi stessi, sulla popolazione, subito associato al nazismo. Così, parlandone in giro e leggendo commenti sul web. Sempre tamponare l’emergenza, ma senza visione a lungo termine, e’ la mia impressione. Un saluto, grazie della risposta.
        P.s. Io ne ho uno. Fine dell’edonismo, inizio della gioia vera (un mazzo così….)

  2. Manuel, il quadro fai della situazione è chiaro, semplice e tremendamente tragico nello stesso tempo.
    La soluzione a questo tremendo problema purtroppo non potrà che investire, a tutti i livelli, i valori più profondi della cultura umana, dalla vita quotidiana ai rapporti fra le diverse aree geopolitiche. Finora però non ho visto nemmeno adombrato l’inizio di una soluzione al problema.
    (sarà sicuramente una svista ma i valori numerici nell’espressione che appresso si riporta richiedono la virgola e non il punto [altrimenti i valori diventerebbero mille volte più alti] “ Il maggior contributo alla richiesta di spazio bioproduttivo per l’umanità per i prossimi decenni proverrà da Asia ed Oceania, che dal 2012 al 2030 avranno bisogno di ulteriori 2.702 miliardi di ettari di foreste, terreni agricoli e superficie da destinare alle costruzioni (e saranno 3.129 i miliardi di ettari che andranno a sommarsi alla fame di risorse naturali di queste regioni dal 2030 al 2050). Ma la seconda regione che contribuirà di più ad aumentare il peso dell’umanità da qui al 2030 (e poi fino al 2050) sarà l’Africa, con ulteriori 2.278 miliardi di ettari che saranno necessari per far fronte al boom demografico e il miglioramento delle condizioni di vita entro i prossimi quindici anni (e ulteriori 2.108 miliardi di ettari nei vent’anni successivi). )
    Ciao
    Armando

  3. Bellissimo articolo.
    Bisogna uscire dalla logica numerica. Non e’ un problema di teste, ma di consumi.
    Nessuno nega che sia necessario contenere la crescita demografica, ma come?
    E se anche si riuscisse ad azzerare la popolazione di Africa e America Latina non si risolverebbe comunque il problema.
    Purtroppo per gli occidentali e’ piu’ facile scaricare la responsabilita’ dei problemi ambientali sugli altri popoli, piuttosto che accettare cambiamenti nei propri civilissimi stili di vita. Se poi per difendere i nostri privilegi dobbiamo lasciare affondare qualche barcone ogni tanto, pazienza!

  4. Certamente dovrà decrescere anche la popolazione. Se non succederà alcun evento drastico, il sistema procederà come dal grafico BAU de “I limiti dello sviluppo” (www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=47111). Popolazione e inquinamento continueranno a salire, la popolazione arriverà a 10-12 miliardi di individui, poi il 70% è destinato a morire, in un mondo terribilmente degradato. Speriamo che succeda qualcosa prima, per interrompere quegli andamenti. Le mail di un mio amico canadese terminano così: “If there is not an economic collapse soon, something terrible is going to happen”. Prima avverrà “il collasso”, meno grave sarà la situazione da rimediare. Ricordo che gli unici due scenari del rapporto del Club di Roma che non “impazzivano”, erano quelli che ipotizzavano l’arresto dell’aumento della popolazione umana mondiale al 1975, cioè a 3-4 miliardi, la metà della popolazione attuale. Probabilmente è il valore massimo che la Terra può supportare, con consumi minori di quelli attuali e una dieta quasi-vegetariana. Del resto, la popolazione mondiale all’epoca dell’inizio dell’estrazione dei combustibili fossili era di circa un miliardo.

    • Precisiamo che gli scenari de I limiti dello sviluppo che prevedono il controllo demografico senza intervenire sulla logica economica del sistema portano comunque al collasso, perché rimangono meno persone ma più impattanti.

      • Se tutti vivessimo con gli standard di consumo del lussemburghese medio, il pianeta non potrebbe ospitare che 774 milioni di persone, mentre se mantenessimo tutti gli standard di povertà media di un abitante dell’Eritrea, il cui consumo di spazio bioproduttivo è pari a 0,42 ettari a testa – contro una media planetaria pari a 2,84 ettari a testa –, il pianeta potrebbe forse ospitare fino a 29 miliardi di persone. Ad oggi ci sono 3 miliardi di persone in più e in futuro aumenteranno sia la popolazione che il consumo pro-capite. Ed è anche probabile che lo spazio bioproduttivo, che ho mantenuto costante per semplicità, diminuisca anzichè rimanere costante a causa dell’aumento del degrado, ad esempio a causa dei cambiamenti climatici o dell’esaurimento delle riserve ittiche. Occorre agire su tutte e due le variabili, CONSUMI DI OGGI e POPOLAZIONE DI DOMANI.

  5. Un equo scambio
    Igor,
    penso che il problema consista sostanzialmente nello stabilire un equo scambio.
    Dato che siamo tutti nella stessa barca penso che l’equo scambia possa consistere nei seguenti punti:
    1) Continuazione della riduzione demografica nei Paesi sviluppati;
    2) Riduzione di molti consumi (a cominciare da quelli inutili: ce ne sono tantissimi!!) nei Paesi sviluppati;
    3) Trasferimento di know how e di strutture produttive dai Paesi sviluppati ai paesi poveri in modo che questi diventino produttori delle proprie condizioni di vita, in modo che diventino padroni del loro destino;
    4) Il trasferimento di cui sopra deve avvenire a fronte di una forte riduzione della popolazione nei paesi poveri e di una congrua esportazione di materie prime.

    Comprendo bene che è già difficile quantificare i valori indicati ma bisogna pur iniziare a fare qualche proposta!

    Cordiali saluti
    Armando

  6. Dopo avere inviato il commento precedente l’ho riletto e mi sono accorto che per tre volte ho scritto “Pesi sviluppati” con la P maiuscola e per due volte ho scritto “paesi poveri” con la p minuscola… nonostante abbia parlato di equo scambio!!
    La vedo dura!!
    Armando

  7. E` da un po che non mi collego… appena visto il titolo, nemmeno bisogno di leggere oltre la prima riga. Risposta:

    ASSOLUTAMENTE SI.

    e se qualcuno avesse ancora qualche dubbio:

    IL PRIMA POSSIBILE.

    E stiamo pur tranquilli, non ci sarebbe bisogno di un genocidio (che tanto avvengono comunque), perche` malattie e cataclismi (con conseguenze amplificate dall’inettitudine umana) farebbero benissimo il loro lavoro (perfettamente naturale) se non ci si mettessero di mezzo le case farmaceutiche…
    Cioe` abbiamo due alternative davanti:

    Un paio di miliardi (o piu`) di esseri pseudoschiavizzati e prostituiti per comprarsi inutili smartofoni e roba varia prodotta su licenza dall’occidente nei loro paesi (cosi` che a noi arrivi a prezzi “decenti”).
    oppure:
    Una umanita` numericamente decrescente.

    A voi la scelta.

    PS: scusate se sono politicamente scorretto, ma qualcuno deve pur dire le cose come stanno davvero.

    • Il problema non è essere politicamente scorretti ma corretti e coerente con se stessi. Se quando ti ammali non ti curi lo sei, altrimenti scusa ma si rischia di diventare il bue che dà del cornuto all’asino.

  8. Se si guarda alla classifica OCSE dei paesi con miglior qualità di vita è lampante che meno siamo meglio viviamo, Australia, Svezia, Danimarca, Norvegia tutte assieme hanno una popolazione nettamente inferiore della sola Italia, quando si parla di allarme demografico infatti mi viene da ridere, andrebbe gestita meglio l’immigrazione e sfruttato il calo demografico per rivedere sprechi e territorio anche perché in epoca di forte automazione e digitalizzazione occorre ficcarsi bene in testa che l’aumento della popolazione non è una risorsa ma un ulteriore peso per le casse dello stato tradotto meno welfare e soldi per tutti, se non si ha dietro una economia che da lavoro ai nuovi nati o arrivati, cosa che se si guarda con un minimo di lungimiranza il futuro non avverrà in quanto l’automazione creerà un calo di occupazione soprattutto non specializzata; andrebbe quindi rivista anche la scuola con maggior spazio ai percorsi tecnici ed un collegamento scuola lavoro che in Italia manca totalmente e preparate professionalità specifiche per la cura degli anziani che aumenteranno enormemente nei prossimi 10 anni non in un futuro remoto.

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