Decostruendo Contro la decrescita #10

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In quest’ultima puntata, tirando le somme della decostruzione operata sulle concezioni scientifiche più significative di Contro la decrescita, proviamo a rispondere a due interrogativi rimasti insoluti nelle puntate precedenti:

– Perché Simonetti insiste nel presentare, anche contro l’evidenza, I limiti dello sviluppo come un totem della decrescita, ben oltre il rispetto e la considerazione di cui sicuramente gode?

– Perché si è concentrato esclusivamente sull’esaurimento delle risorse, sminuendo in poche righe altre gravi (e forse più pressanti) problematiche ecologiche (come l’impronta ambientale), omettendo del tutto il riscaldamento globale del pianeta?

A pensar male si fa peccato, però spesso ci si azzecca”, diceva la buon anima di Giulio Andreotti; chiaramente, fare supposizioni sulle scelte dell’autore ci comporterà molte confessioni e richieste di assoluzione, ma vale la pena di rischiare la dannazione eterna. Del resto, anche il nostro avversario dialettico – attraverso ricostruzioni storiche volte a dimostare simpatie fascisteggianti da parte della decrescita e rivendicando il ‘diritto assoluto di scelta del canone decrescente’ al fine di potervi inserire persino un terrorista – non è stato da meno; confidiamo quindi nella sua magnanimità e nel suo perdono per le nostre illazioni. 

Partiamo dalla prima domanda. Dovendo minimizzare il problema ecologico, una buona tattica consiste nel prendere di mira studi pionieristici – I limiti dello sviluppo risale a più di quarant’anni fa – alla ricerca dell’inevitabile usura del tempo, sebbene World3 si sia rivelato nei fatti un modello molto più efficace rispetto alla descrizione di Simonetti; il quale, se si fosse confrontrato con analisi più recenti, avrebbe faticato parecchio a sostenere le proprie tesi, salvo ovviamente insinuare “un certo scetticismo verso la scienza e la tecnica, come pure una innegabile nostalgia per i buoni vecchi valori di un tempo” da parte dello studioso di turno. Una volta ‘dimostrata’ la fallacia intrinseca del modello World3, non c’era bisogno di verificare la fondatezza delle previsioni, il suo presunto ‘peccato originale’ è tale da minare completamente l’autorità di qualsiasi studio ‘catastrofista’ successivo su energia e risorse. Non sembra un caso che i capitoli prettamente scientifici (‘La crescita infinita’ e ‘I limiti della crescita’) siano gli unici in cui Simonetti ha preferito non ‘dare parola’ ai rivali dialettici, evitando di riportare estratti di opere ‘ostili’, cosa che invece ha fatto ampiamente nel resto del libro. Il principio-base per cui “non si può conoscere la tecnologia futura”, poi, rende inutile a prescindere qualsiasi previsione sullo sfruttamento delle risorse, anche se proviene da istituzioni internazionali come la IEA o da stimati ricercatori. Inoltre, siccome Contro la decrescita si concentra esclusivamente su World3, leggendolo si ha l’impressione che i problemi ecologici mondiali siano rimasti invariati dall’inizio degli anni Settanta a oggi.

Ciò premesso, la risposta alla seconda domanda si integra con quella della prima. Se i giudizi critici sull’impronta ambientale si possono attribuire a un fraintendimento delle fonti, l’omissione del riscaldamento globale è un po’ più sospetta, specialmente se alla fine del libro riconosci “che stiano avvenendo significative alterazioni climatiche” (pag. 232); ma, dal punto di vista di chi deve sostenere certe tesi, anche facilmente spiegabile.

Finché si parla astrattamente di limiti delle crescita, si può fare confusione tra collasso economico ed esaurimento delle risorse, si possono deridere le varie ‘cassandre’ più o meno recenti (Malthus, Hubbert, i Meadows…); si può fare appello al senso comune: fine del petrolio? Perché, hanno chiuso le stazioni di servizio? Vedete meno prodotti negli scaffali dei supermercati?

Limitando la discussione a I limiti dello sviluppo e studi affini si può fare i sofisti e rimproverare la confusione tra crescita ‘infinita’ e ‘continua’; si può lamentare l’abuso della parola ‘entropia’; oppure, ci si può comportare alla Don Ferrante e giocare con l’equazione di Solow – l’hanno fatto altri critici della decrescita – e ‘dimostrare’ ad esempio che, adeguando correttamente le variabili capitale e lavoro, la crescita può proseguire ininterrotta anche all’esaurirsi delle materie prime, deducendone brillantemente che esse non sono indispensabili al funzionamento dell’economia, sfidando chiunque a dimostrare il contrario. Ma, soprattutto, si può credere nell’avvento di qualche Leonardo da Vinci post-moderno, che risolverà ogni problema scoprendo la via per risorse abbondanti e a buon mercato. Nulla di nuovo sotto il sole, sono litanie che si ripetono da una quarantina d’anni, da quando cioé la crisi petrolifera del 1973 ha instillato forti dubbi sulla sostenibilità dell’intera infrastruttura industriale.

Impronta ecologica e riscaldamento globale, invece, obbligano a uscire da tali contorsioni mentali, perché le emergenze che scatenano non si possono rimandare a un futuro imprecisato, i problemi sono hic et nunc, e assumono la forma dello scioglimento delle calotte polari, dei fenomeni metereologici estremi, della deforestazione e dell’estinzione di massa di innumerevoli specie animali e vegetali. Stiamo già superando le capacità di assorbimento e rigenerazione del pianeta, abbiamo già esagerato nella concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Le preoccupazioni legate al global warming animano anche i principali consessi internazionali, per cui è arduo liquidarle come ‘ossessioni dei decrescenti’. Meglio quindi non parlarne.

La crisi ambientale, nei suoi vari aspetti, si rivela un atto di accusa che richiede la giustificazione immediata delle logiche di funzionamento del sistema-mondo globale, un appello all’adattabilità dell’uomo che non può limitarsi alla sostituzione di una tecnologia con un’altra. Se le generazioni future si ritrovassero a vivere in mondo reso inospitabile dagli effetti del degrado ecologico e contrassegnato da continui conflitti per l’accaparramento delle risorse, difficilmente troveranno conforto in discorsi enfatizzanti i grandi progressi tra XVIII e XX secolo, dovuti a uno sviluppo tecnico-scientifico imponente e fulmineo (“gli esseri umani hanno liberato il potere di 500 milioni di anni di luce solare stoccata e concentrata“, Josh Kearns), ma cieco di fronte alle conseguenze da esso stesso provocate.

Ricapitoliamo le principali mancanze che abbiamo riscontrato nelle analisi di Simonetti, per quanta concerne la sezione scientifica di Contro la decrescita:

– per polemizzare contro presunte ‘interpretazioni catastrofiste’, ha confuso l’obiettivo previsionale de I limiti della crescita, scambiando collasso economico ed esaurimento delle risorse;

– ha criticato il Rapporto attraverso fonti datate che contestano nel metodo e non nel merito lo studio del 1972, omettendo allo stesso tempo di riportare studi più recenti e aggiornati, in particolare quelli riguardanti le previsioni di World3 e i riscontri empirici;

– ha proposto esempi storici di sostituzione dell’energia e dei materiali non coerenti con le esigenze attuali di riduzione dell’input energetico;

– ha banalizzato il concetto di picco del petrolio, sminuendo la figura di Hubbert senza contestualizzare il suo modello: se Simonetti avesse semplicemente esaminato i dati di produzione della IEA, distinguendo le risorse convenzionali dalle non convenzionali, ne avrebbe dedotto che – malgrado le innumerevoli variabili politiche che influiscono sulle dinamiche di estrazione – i trend produttivi hanno seguito abbastanza fedelmente l’andamento prospettato da Hubbert; ciò dimostra che la variabile tecnologica è considerata dai modelli predittivi sull’esaurimento delle risorse, quindi non è vero che essa costituisce un’incognita insondabile tale da rendere inutile qualsiasi analisi sui consumi futuri;

– nelle discussioni intrattenute su DFSN, Simonetti ha esposto teorie sul riciclaggio illimitato (a sostegno della crescita continua) che cozzano contro l’evidenza reale dei fatti (il problema del downcycling e l’impossibilità di un recupero totale della materia);

– ha trattato in modo breve e superficiale le questioni legate all’impronta ambientale e alla carryng capacity, evitando qualsiasi riferimento al riscaldamento globale dell’atmosfera.

Alla luce di ciò, come si può definire l’analisi di Simonetti? Si potrebbe ricorrere a definizioni che egli normalmente applica alla decrescita: ideologica, wishful thinking, avulsa dalla realtà, basata su di un corpus di fonti autoreferenziale…

Contro la decrescita è un misto di faziosità, cavillosità, asserzioni ascientifiche e legittime opinioni personali, il tutto tenuto insieme da una prosa brillante e appassionata, chiaramente opera di una mente acuta ed erudita, in grado di far sembrare credibili, attraverso le sue capacità dialettiche, concetti che di credibilità ne hanno molto poca. Quando l’intellettuale Simonetti si trova in difficoltà, l’avvocato Simonetti lo rimpiazza più che egregiamente. Dobbiamo ammettere che è sicuramente più gradevole leggere il suo libro che l’analisi, precisa ma un po’ pedante, da noi condotta. Senza alcuna ironia, consigliamo la lettura del libro perché difficilmente in futuro altri autori sapranno sfornare opere così complete contro la decrescita. Saper replicare puntualmente a tutte le sue accuse, per quanto noioso, rappresenta per i decrescenti un dovere imprescindibile.

Chiudiamo con una riflessione di carattere generale. Supponiamo, per un momento, che  le obiezioni  mosse dai decrescenti siano tutte errate, che la crescita possa essere infinita, illimitata, che il genio umano sappia, nei momenti di crisi, fare uscire il coniglio dal cilindro, in modo che il sistema rinnovi se stesso con energie superiori a tutti i periodi precedenti.

Tutto ciò supposto, perchè l’Occidente è in crisi e, quand’anche riprende a ‘correre’, ciò succede, come negli USA, grazie alla leva finanziaria che la Fed utilizza senza troppi vincoli? Cala il prezzo del petrolio e gli americani si ritrovano in tasca, in media, 750 dollari in più da spendere (discorso di Obama sullo Stato dell’Unione, 20 gennaio 2015). La ripresa avviene così: per via di fluttuazioni monetarie, non per novità sistemiche di funzionamento volte a correggere il modello economico. Si ‘riprende’ rilanciando consumi, sprechi e, sostanzialmente, il vecchio andazzo.

Gli stessi paesi BRICS, dopo una fase di forte espansione, stanno rallentando e iniziano a fare i conti con i limiti del loro sviluppo. L’Europa, poi, è tutto uno stop and go, con le borse in perenne fibrillazione e in attesa che Draghi dica qualcosa di incoraggiante circa le politiche monetarie della BCE. Solo chi è in malafede non può scorgere come le economie europee siano in affanno e come la cosiddetta ‘austerità’ nasconda la difficoltà di continuare a crescere. Non sono certo i decrescenti a limitare la crescita continua, ma le ragioni endemiche al sistema stesso che lo bloccano e lo condannano ad un lento ma nesorabile declino. In Italia il fenomeno è ancora più evidente.

Qui si sommano storture antiche, contraddizioni territoriali, economie a diverse velocità, vuoti di direzione, sprechi di denaro pubblico, inefficienze; accompagnati da una questione sociale assai pesante in cui le famiglie risultano gravemente provate da una crisi di cui non si scorge la fine. Se non fosse da irresponsabili, verrebbe da dire: “voi che teorizzate la crescita senza fine, perchè non siete capaci di tradurre in comportamenti quello che teorizzate?”

Il problema è che le loro idee sono messe a dura prova dai fatti. Qualcuno ha detto (Berlusconi) che è tutto una questione di “fiducia e di ottimismo”. Allora, chiediamo, perchè non hanno fiducia e ottimismo, perchè non si fidano di loro stessi e delle loro idee?

La realtà è una sola: questo sistema è alla frutta. Potrà tirare avanti ancora per qualche tempo con espedienti monetaristici, con qualche boccata di ossigeno che può provenire dal calo dei costi energetici; ma, fase congiunturale a parte, ad una crisi sistemica non si può rispondere con dei placebo, anche se i governi di tutto il mondo lo stanno facendo.

Dunque, in definitiva, è l’immagine rispecchiata dei sostenitori della crescita che non funziona. Più che sulle nostre parole e preoccupazioni, dovrebbero cominciare a riflettere sul delta, sempre più ampio, tra aspettative e realtà. Un dettaglio  non da poco.

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Felice_Mente è un nome collettivo utilizzato per indicare un contributo opera dell'analisi condivisa di Manuel Castelletti, Igor Giussani, Giulio Manzoni, Daniele Uboldi.

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