Diritto di replica #4

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LUCA SIMONETTI

5) Veniamo ora alla quinta puntata della saga: http://www.decrescita.com/news/decostruendo-contro-la-decrescita-5/

Anche in questo caso, DFSN si dedica alla serrata analisi di un testo (di Smil) che non ho mai citato. Si tratta peraltro, mi affretto ad aggiungerlo, di uno scritto molto pregevole, il cui succo è: sostituire le fonti di energia rinnovabili a quelle fossili va benissimo ed è altamente auspicabile, ma richiede tempo e impegno e non è cosa che si possa fare dall’oggi al domani. Il che condivido in pieno e non è minimamente in contrasto con quel che penso e che ho scritto. Aggiungo altresì che ho l’impressione che DFSN legga in maniera alquanto tendenziosa questo articolo di Smil; ma non insisto sul punto, visto che, come ho detto e ripetuto già varie volte, ma evidentemente senza che DFSN se ne accorgesse, l’argomento di cui tratta l’articolo non ha minimamente a che fare né con quel che scrivo nel capitolo su LTG, né tantomeno con il resto del libro.

Veniamo poi ai famosi “boomerang”: esempi storici, da me addotti, di casi in cui una determinata fonte energetica, o semplicemente un materiale, di nuova scoperta, ha consentito di sostituire precedenti fonti o materiali prossimi all’esaurimento, e che secondo DFSN dimostrerebbero il contrario di quel che io vorrei. Ho cominciato con lo shock petrolifero; e qui i simpatici signori di DFSN mi obiettano che “le cose sono andate un po’ diversamente”. E come? Beh, proseguono loro, sì, è vero che lo shock petrolifero “ha favorito lo sviluppo del risparmio energetico”, ma questo “non per emanciparsi dal petrolio, solo per razionalizzarne lo sfruttamento, con il risultato che oggi l’Occidente ne consuma molto di più”. Ohibò. Ma guardate che io mi sono limitato a menzionare il fatto che, a causa dello shock petrolifero, l’Occidente imparò a risparmiare petrolio, mica ho mai detto che abbia smesso di usarlo: i prezzi successivamente scesero, il petrolio rimase (come d’altronde ci ha fatto notare proprio Smil, nell’articolo citato sopra) la fonte energetica più conveniente, e lo resterà ancora per un bel po’, e così i consumi di petrolio sono allegramente continuati, come prima più di prima: so what? Mi sembra che, come “boomerang”, non sia davvero un granché.

Successivamente, DFSN si mette a parlare di Jevons. Questi è stato certo un grande economista; ma che si sia sbagliato a proposito del carbone, è certo. Maddison, l’autore su cui mi sono basato sul punto e che ho debitamente citato in nota (è un testo del 2007: sarà abbastanza “recente”?), ricorda che Jevons, oltre ad aver notevolmente sottostimato le energie sostitutive, sbagliò di molti ordini di grandezza la sua proiezione circa il futuro consumo di energia in Gran Bretagna: precisamente, nel 2003 il consumo di energia in UK era pari a circa 1/7 di quello che Jevons aveva stimato per il 1961. Confesso che a questo riguardo non capisco neanche quale sarebbe il preteso “boomerang”: infatti, lungi dal contestare l’affermazione di cui sopra (l’unica che abbia fatto nel libro), DFSN si lancia in una filippica sul fatto che il petrolio sarebbe più difficile da sostituire del carbone. Il che va benissimo (lo ripeto, sono d’accordo): ma non toglie che Jevons si fosse sbagliato, non solo quanto alla sostituibilità del carbone, ma anche e soprattutto quanto all’andamento dei consumi futuri. Anche qui, insomma, mi sembra che, come “boomerang”, non siamo messi tanto bene.

6) Nel capitolo n. 6 della nostra epopea: http://www.decrescita.com/news/decostruendo-contro-la-decrescita-6/?doing_wp_cron=1421576063.2737529277801513671875, gli amici di DFSN tornano a parlare di energia atomica, e stavolta hanno il buon senso di definire loro stessi il loro pregevole esercizio “excursus”. Fanno bene, perché ancora una volta si tratta di cose che non c’entrano niente con il mio libro. Me la caverò, quindi, molto brevemente con un fin de non recevoir, come direbbe un giudice francese. Aggiungo peraltro che, pur non condividendo le considerazioni di DFSN sulla scarsa efficienza dell’energia atomica, personalmente ho molte riserve sul suo impiego, per ragioni che però non hanno a che fare con la convenienza energetica. Senza contare che alcuni degli “argomenti” (mi perdonerete le virgolette) usati da DFSN sono alquanto strani. Ad es., dove dicono che la Francia, che pure produce circa l’85% del suo fabbisogno da energia nucleare, sarebbe invece “un autentico fiasco” in quanto il consumo petrolifero pro capite francese sarebbe maggiore di quello italiano, il lettore non può non restare perplesso. A parte che mi piacerebbe vedere la fonte di questa considerazione, noto che da varie fonti (ad es. questo sito: http://donnees.banquemondiale.org/indicateur/EG.USE.ELEC.KH.PC) risulta che il consumo di Kwh pro capite francese, nel 2011, è stato di 7.292, mentre quello italiano è stato di 5.515. Ma il 15% del consumo elettrico francese, cioè quello che, secondo il dato citato da DFSN, non sarebbe coperto dai reattori atomici, è 1.093,8 Kwh pro capite, e mi pare difficile che questo consumo, anche ammettendo che sia integralmente coperto dal petrolio, possa rappresentare un consumo di petrolio superiore a quello italiano, visto che il consumo energetico pro capite italiano è di oltre 5 volte più elevato – giacché 5.515 è di oltre 5 volte maggiore di 1.093. In ogni caso, mi sembra peculiare la logica del discorso. Se i francesi consumano più petrolio di noi pur producendo molta energia atomica, vuol dire che consumano più energia elettrica di noi. Ma questo, di grazia, perché mai sarebbe evidenza di un “fiasco” della politica nucleare francese? Al massimo vorrà dire che i francesi consumano tanta energia (ma comunque sempre meno di altri paesi, come il Belgio, la Corea, l’Australia, il Lussemburgo, ecc. ecc.) e che farebbero bene a cominciare a risparmiarla.

Si passa poi al carbone, al solito facendo generose illazioni sui motivi inconfessabili per cui non ne avrei parlato. Tranquilli ragazzi: non ne ho parlato semplicemente perché, come mi sono ormai stancato di spiegare, il mio capitolo su LTG non era né intendeva essere un trattato sulle fonti energetiche disponibili all’umanità, ma solo una critica al modello World3 usato dai Meadows. Critica sulla quale finora, spiace doverlo ripetere per l’ennesima volta, in tante pagine spese da DFSN a parlare dell’universo mondo, non ho avuto il piacere di leggere mezza parola. Non entro perciò, neanche qui, nel merito della trattazione di DFSN, che peraltro mi sembra fatta nel solito modo garibaldino, ad esempio dimenticando gli ultimi sviluppi tecnologici che rendono le nuove centrali a carbone assai più economiche e enormemente meno inquinanti di quelle precedenti. Ma ripeto, lascio stare perché la cosa non ha la benché minima attinenza col mio tema.

6-bis) Vengo adesso all’intervento di Uboldi su “i modelli teorici e la loro validità”. http://www.decrescita.com/news/modelli-teorici-dimostrazione-empirica-e-vaclav-smil-prima-parte/

L’intento di Uboldi mi pare condivisibile: chiarire cosa significhi in genere “modello” nelle scienze in generale e in particolare in LTG. A questo proposito, Uboldi fa una affermazione che non si può accusare di ambiguità. Vale a dire, che un modello matematico-statistico “per definizione è SEMPRE predittivo. Non fosse così non varrebbe nemmeno la pena di perdere tempo a costruirlo.” Ovviamente, la sua capacità predittiva “dipende dal delta che esiste tra teoria ed esperienza empirica.” Dico subito che sono d’accordo: infatti nel libro (precisamente a p. 61-62) scrivevo esattamente la stessa cosa: “un modello scientifico deve pur sempre mantenere una certa capacità predittiva”. Tuttavia dobbiamo prendere atto che i Meadows non la pensavano allo stesso modo. Scrivono infatti esplicitamente (a p. 17 de I nuovi limiti dello sviluppo) che il loro scopo non era “illustrare questa o quella previsione su quanto effettivamente accadrà nel XXI secolo” ma piuttosto “presentare un ventaglio di scenari alternativi” allo scopo di “incoraggiare il lettore alla conoscenza, alla riflessione e alla scelta personale”. Ed era del resto quel che scrivevano anche nell’introduzione alla prima edizione (alle pp. 30 e ss.). D’altronde, non va dimenticato che, a interpretare diversamente l’intento dei Meadows, si fa il gioco dei critici di LTG, che da sempre (dalla scommessa fra Ehrlich e Simon fino al famoso libro di Lomborg) si sono divertiti a raccogliere gli scenari di LTG interpretandoli come predizioni non avverate (“Avete visto? Dicevano che il minerale X si sarebbe esaurito entro l’anno T, ma l’anno T è arrivato e X ancora non si è esaurito!”)

E infatti non è un caso che Bardi, nel suo libro (a p. 13), affermi che LTG “was a warning, not a prediction, and, as such, it could not be ‘wrong’”. Il capitolo successivo di Bardi (alle pp. 17 e ss.) espone più dettagliatamente questa affermazione, avvertendo tra l’altro che le predizioni sono, certo, un uso possibile dei modelli (assieme ad altri), ma queste predizioni “should be taken with caution” (p. 19).

Infine, ricordo che Giussani, nella sua prima risposta (http://www.decrescita.com/news/decostruendo-contro-la-decrescita-1/), aveva concordato con la mia interpretazione; sarà quindi il caso che Uboldi e Giussani si mettano d’accordo fra loro.

Quindi, conclusivamente, direi ad Uboldi che un modello, tanto più se obiettivamente ipersemplificato come World3, può servire solo limitatamente a fare predizioni. Questo non lo rende “inutile”, però, proprio perché il suo scopo non è mai stato quello.

Bene. Detto questo, chiediamoci: che tipo di modello è World3? Un modello scientifico (matematico-statistico) che usa 5 variabili che producono 11 scenari possibili. Uboldi ammette che World3 abbia dei limiti (menziona ad es. il fatto di considerare come omogenee aree territoriali che non lo sono). In realtà ne ha anche altri, ma insomma va bene così. Improvvisamente, però, Uboldi si mette a parlare non più dei modelli scientifici, ma dei “modelli economici” (e conseguentemente, come scrive, “anche sociali”) e dei loro difetti. Un modello economico-sociale, cioè una società concretamente esistente, è tanto più critico, ci dice, quanto più è complesso. Questa è un’affermazione, tuttavia, troppo perentoria. La complessità può anche produrre fenomeni di ridondanza che consentono di resistere a un evento critico, molto meglio di quanto possa fare una struttura più semplice. Ma in ogni caso, tutto questo cosa ha a che fare con World3, che non è affatto un “modello economico-sociale”, bensì un modello scientifico, matematico-statistico? Ve lo dico, anche se ormai lo avrete intuito: un bel nulla.

Uboldi riprende poi, senza soluzione di continuità, a parlare di LTG, spiegandoci che esso tratta variabili non lineari, quindi distribuzioni di tipo gamma, e poi ci parla del fabbisogno di terra arabile. Ci riporta la famosa figura 10, da cui i Meadows traevano la predizione della “drammatica carenza di terra” ancor prima dell’anno 2000. Solo che Uboldi non ci spiega perché ci sta parlando di questo, né che nesso abbia questa “predizione” (errata, btw) con quel che precede. Poi ci racconta del riscaldamento globale. Anche qui, però, non si capisce perché ne parli, visto che non ne fa discendere alcuna conseguenza circa il discorso di LTG.

Poi si mette a parlare del picco di Hubbert, che, ci avverte, “è anch’esso un modello”. Ottimo, ma non è che ne avessi mai dubitato. Aggiunge altresì che le discussioni sul picco “rischiano di essere capziose e fuorvianti.” Infatti, a sentire Uboldi, “ce n’è quanto basta per ipotizzare che l’era del petrolio finirà molto prima che diventi troppo oneroso e sconveniente estrarlo. Pare che, se si considerano anche le sabbie bituminose, potenzialmente di petrolio ce ne sarà ancora per molti decenni. Però non è detto che risulterà remunerativo estrarlo. Anche nel Monte Rosa è provato che c’è l’oro ma non per questo si ritiene conveniente andarlo a prendere”. Certo che “non è detto”; e non è detto perché il modello di Hubbert (come ho spiegato nel mio libro, nonché nelle precedenti puntate) non parla dei prezzi e dei costi. Notate che questo non è strano: prevedere il futuro andamento dei prezzi è molto difficile, forse impossibile. Solo che, senza sapere come andranno i prezzi (che dipendono dalla domanda e dall’offerta, che a loro volta dipendono tra l’altro dai progressi tecnici e dalla disponibilità di altre fonti energetiche) è IMPOSSIBILE determinare quando la risorsa che si studia si esaurirà (o sarà prossima all’esaurimento.) Il problema, quindi, non è il modello di Hubbert, che si limita a fare quello per cui è progettato, né più né meno, ma semmai lo sono certi suoi usi acritici (e, diciamolo pure, ingenuamente fideistici)

Uboldi sembra convinto che io sia un inguaribile ottimista, ingenuamente persuaso che ci sarà sempre una fonte alternativa accessibile per il momento in cui finirà l’”era del petrolio”. Ma non è affatto così. Non sono ottimista, sono solo agnostico: allo stato attuale, non sappiamo quando finirà l’era del petrolio, e il pessimismo alla DFSN è almeno altrettanto immotivato quanto l’ottimismo a tutti i costi. Tanto più quando Uboldi giunge a qualificare gli ottimisti come “incoscienti” o addirittura “persone in malafede e di pochi scrupoli”, che sarebbe una tesi grottesca anche nell’ipotesi che le tesi pessimiste o catastrofiste alla DFSN fossero davvero dimostrate: pensate quindi come dovremmo definirla in una situazione come la nostra, dove il meno che si possa dire è che le tesi pessimiste sono del tutto sprovviste di prova.

Uboldi termina menzionando alcune “predizioni” di LTG che si sono rivelate corrette: ad es. la quantità di anidride carbonica liberata in atmosfera o l’impiego di ammendanti in agricoltura. Bene: ma potremmo allora, estrapolando da LTG delle “predizioni” esattamente contro l’intenzione degli autori, divertirci a dimostrare che alcune di esse sono state clamorosamente toppate. Una, al contrario di quel che inspiegabilmente afferma Uboldi, è quella relativa alla “drammatica carenza di terra” che avrebbe dovuto materializzarsi “ancora prima del 2000” ed è, invece, ancora ben al di là da venire. Un’altra, anch’essa molto famosa, è quella per cui il rame avrebbe dovuto esaurirsi in un periodo compreso fra il 1993 e il 2020 (p. 57 di LTG). Ma soprattutto la domanda da farci è: e con questo? Anche se tutte le “predizioni” di LTG (che predizioni, poi, non sono affatto) fossero giuste, questo vorrebbe dire forse che World3 è un modello corretto? Lasciamo la parola agli stessi Meadows: “Questa corrispondenza dimostra che il nostro modello è vero? Certo che no. Indica però che il modello World3 non era affatto privo di senso, e che le sue assunzioni e le nostre conclusioni son ancora degne di essere prese in considerazione” (I nuovi limiti dello sviluppo, p. 15).

Il seguito alla prossima, e spero per voi ultima, puntata.

4 Commenti

  1. Prima di entrare nel merito delle obiezioni, vorrei far notare un elemento peculiare del confronto tra noi e Simonetti che, ahimé, rischia di viziarlo e di renderlo in gran parte un dialogo tra sordi. Questo mi ha fatto anche riflettere sul futuro: sarò sempre pronto a a qualsiasi discussione su tutto, ma starò ben attento alla piega che prenderà. Non voglio più finire in certi cul de sac dialettici. Cerco di spiegarmi.
    Una discussione intellettuale è orientata a cercare di capire la realtà, una per obiettivi polemici, in stile avvocatesco, è solo interessata a far uscire ‘vincitrice’ una parte sull’altra.

    Simonetti ci contesta di ‘non aver detto una sola parola sul modello’, perché abbiamo riportato degli studi – bellamente ignorati dal nostro interlocutore – sui riscontri effettivi tra realtà e previsioni World3-scenario base. Simonetti continua a ripeterci:

    – che il modello è intrinsecamente sbagliato;
    – che i riscontri empirici non dimostrano la validità del modello;
    – che gli autori stessi hanno detto che i riscontri empirici del modello non dimostra il suo valore di verità (gli autori in pratica ammettono di non essere divinità e di poter lavorare solo nel campo del ‘probabile’).

    Questo atteggiamento dimostra che è Simonetti, e non noi, a considerare LTG un feticcio. Apprendendo dallo studio di Turner che nel 2008 gran parte dei riscontri empirici danno ragione alle previsioni di LTG, la reazione intellettuale è quella di chiedersi se tali valori sono preoccupanti o meno per la salute del pianeta; per Simonetti invece l’importante è dimostrare che la carenze di terra o di rame NON SIANO QUELLE PREVISTE DA LTG. Questo è quello che chiamo donferrantismo.
    Per questa ragione, Simonetti rimane interdetto quando allarghiamo la panoramica a tematiche come l’effetto serra o il nucleare, perché il nostro scopo principale non è tanto dimostrare che lui ha torto bensì di intessere un quadro generale su salute del pianeta ed energia: gli elementi che, a nostro giudizio, rendono la decrescita (intesa come riduzione considerevole dell’impatto umano sulla Terra) necessaria. Lui invece si è scelto degli obiettivi polemici per dimostrare la fallacia dei decrescenti, proprio come un avvocato si sceglie i testimoni migliori per presentare una versione dei fatti più favorevole al suo assistito. Si lamenta dell’ipersemplificazione, ma di ‘ipersemplificato’ c’è sola la sua presentazione della realtà, al fine di dare più slancio alle sue tesi.

    “AGGIUNGO ALTRESÌ CHE HO L’IMPRESSIONE CHE DFSN LEGGA IN MANIERA ALQUANTO TENDENZIOSA QUESTO ARTICOLO DI SMIL; MA NON INSISTO SUL PUNTO, VISTO CHE, COME HO DETTO E RIPETUTO GIÀ VARIE VOLTE, MA EVIDENTEMENTE SENZA CHE DFSN SE NE ACCORGESSE, L’ARGOMENTO DI CUI TRATTA L’ARTICOLO NON HA MINIMAMENTE A CHE FARE NÉ CON QUEL CHE SCRIVO NEL CAPITOLO SU LTG, NÉ TANTOMENO CON IL RESTO DEL LIBRO”.
    Già infatti: il libro è una critica sulla decrescita decontestualizzata dal problema ambientale, dove il capitolo su LTG ‘dimostra’ che il business as usual può proseguire indisturbato e la decrescita è solo una contorsione mentale di persone che vogliono ‘rimanere indietro’. Ed è proprio questo che critichiamo e che Simonetti non vuole capire: per lui i problemi esistono solamente se ne parla del libro, altrimenti devono rimanere fuori dalla discussione; la quale diventa quindi claustrofobica sul piano intellettuale, o surreale, perché sembra di essere rimasti alla fine degli anni Settanta, quando lo studio dei problemi ecologici ha fatto passi in avanti enormi!
    Simonetti è liberissimo di comportarsi così, ma non può presentare tale comportamento come scientifico.

    “…RICORDA CHE JEVONS, OLTRE AD AVER NOTEVOLMENTE SOTTOSTIMATO LE ENERGIE SOSTITUTIVE, SBAGLIÒ DI MOLTI ORDINI DI GRANDEZZA LA SUA PROIEZIONE CIRCA IL FUTURO CONSUMO DI ENERGIA IN GRAN BRETAGNA: PRECISAMENTE, NEL 2003 IL CONSUMO DI ENERGIA IN UK ERA PARI A CIRCA 1/7 DI QUELLO CHE JEVONS AVEVA STIMATO PER IL 1961”
    Stanley Jevons nel 1961 avrebbe avuto 126 anni: si tratti quindi di un refuso, l’anno corretto sarà 1861. Detto questo, che significato ha criticare le previsioni di uno studioso ottocentesco per dimostrare che oggi – con una scienza e una tecnica incomparabilmente più avanzati – non è possibile prevedere nulla del futuro?
    Per il resto, Simonetti non è riuscito a salvare nessuno degli esempi storici che dovrebbero renderci ottimisti per il futuro. E poi, a cosa può essere utile oggi Stanley Jevons? Per le sue previsioni sul carbone? No, per il suo celebre paradosso secondo cui, in una società basata sulla crescita economica, l’efficienza tecnologica è vanificata, come è successo dopo lo shock petrolifero degli anni Settanta. Simonetti su questo non ha speso mezza parola.

    “(AD ES. QUESTO SITO: http://DONNEES.BANQUEMONDIALE.ORG/INDICATEUR/EG.USE.ELEC.KH.PC) RISULTA CHE IL CONSUMO DI KWH PRO CAPITE FRANCESE, NEL 2011, È STATO DI 7.292, MENTRE QUELLO ITALIANO È STATO DI 5.515. MA IL 15% DEL CONSUMO ELETTRICO FRANCESE, CIOÈ QUELLO CHE, SECONDO IL DATO CITATO DA DFSN, NON SAREBBE COPERTO DAI REATTORI ATOMICI, È 1.093,8 KWH PRO CAPITE, E MI PARE DIFFICILE CHE QUESTO CONSUMO, ANCHE AMMETTENDO CHE SIA INTEGRALMENTE COPERTO DAL PETROLIO, POSSA RAPPRESENTARE UN CONSUMO DI PETROLIO SUPERIORE A QUELLO ITALIANO, VISTO CHE IL CONSUMO ENERGETICO PRO CAPITE ITALIANO È DI OLTRE 5 VOLTE PIÙ ELEVATO – GIACCHÉ 5.515 È DI OLTRE 5 VOLTE MAGGIORE DI 1.093”
    I valori che Simonetti riporta sono corretti ma – basta dare un’occhiata alla sezione statistics del sito della IEA – fanno riferimento esclusivamente al consumo di elettricità: se quelli fossero i consumi complessivi pro capite di energia in generale, sarebbero spaventosamente bassi. In realtà un francese mediamente consuma più di 40.000 kWh annui di energia.
    Io stesso, alla ricerca di dati e senza competenze specialistiche, a volte sono incorso in errori altrettanto macroscopici, quindi evito di farci della polemica spiccia. Questo però denota che, in materia di energia, Simonetti ragiona totalmente in astratto, ha una vaghissima idea della realtà concreta.
    Comunque: consumo pro capite petrolio Francia 28 barili al giorno contro i 25 italiani (fonte CIA World Factbook). Sul perché questo sia un fallimento del nucleare… chiedere a Chicco Testa, Veronesi e gli altri firmatari della famosa lettera pro nucleare pubblicato sul Riformista nel 2011, dove il nucleare era presentato come mezzo per diventare indipendenti dal petrolio…

    “DICO SUBITO CHE SONO D’ACCORDO: INFATTI NEL LIBRO (PRECISAMENTE A P. 61-62) SCRIVEVO ESATTAMENTE LA STESSA COSA: “UN MODELLO SCIENTIFICO DEVE PUR SEMPRE MANTENERE UNA CERTA CAPACITÀ PREDITTIVA”. TUTTAVIA DOBBIAMO PRENDERE ATTO CHE I MEADOWS NON LA PENSAVANO ALLO STESSO MODO. SCRIVONO INFATTI ESPLICITAMENTE (A P. 17 DE I NUOVI LIMITI DELLO SVILUPPO) CHE IL LORO SCOPO NON ERA “ILLUSTRARE QUESTA O QUELLA PREVISIONE SU QUANTO EFFETTIVAMENTE ACCADRÀ NEL XXI SECOLO” MA PIUTTOSTO “PRESENTARE UN VENTAGLIO DI SCENARI ALTERNATIVI” ALLO SCOPO DI “INCORAGGIARE IL LETTORE ALLA CONOSCENZA, ALLA RIFLESSIONE E ALLA SCELTA PERSONALE”.”
    La cavillosità di questo ragionamento è assurda. Sì, è vero lo scopo dei Meadows era presentare degli scenari che potessero ‘spiegare’ il futuro (in base alle possibili politiche intraprese dall’umanità riguardo le risorse) e quindi suscettibili di forti approssimazioni sui dati delle variabili. È successo però che – e questo lo dimostra lo studio di Turner che abbiamo linkato alla decostruzione – diverse macro-variabili (produzione industriale, popolazione, agricoltura, inquinamento – non i singoli elementi di queste, come la produzione di rame) stiano seguendo abbastanza fedelmente o siano addirittura quasi coincidenti con le previsioni dello scenario base. E per Simonetti questo è un difetto!

    “TRANQUILLI RAGAZZI: NON NE HO PARLATO SEMPLICEMENTE PERCHÉ, COME MI SONO ORMAI STANCATO DI SPIEGARE, IL MIO CAPITOLO SU LTG NON ERA NÉ INTENDEVA ESSERE UN TRATTATO SULLE FONTI ENERGETICHE DISPONIBILI ALL’UMANITÀ, MA SOLO UNA CRITICA AL MODELLO WORLD3 USATO DAI MEADOWS. CRITICA SULLA QUALE FINORA, SPIACE DOVERLO RIPETERE PER L’ENNESIMA VOLTA, IN TANTE PAGINE SPESE DA DFSN A PARLARE DELL’UNIVERSO MONDO, NON HO AVUTO IL PIACERE DI LEGGERE MEZZA PAROLA”.
    Nel senso in cui l’intende lui (cioé dimostrare che il modello è ‘vero’ a prescindere dai canoni della teoria statistica e dai riscontri empirici) forse è vero, ma allora chiede l’impossibile. Perché, più che spiegare che i modelli con variabili molteplici e non omogenee sono ammissibili in statistica (notare che LTG certi giorni ‘contiene troppo dati non aggregabili’ e altri è ‘ipersemplificato’) e riportare dati empirici che riscontrano svariate corrispondenze con le previsioni di World3-scenario base non possiamo fare… e su questo, sommando tutto il materiale, abbiamo messo insieme almeno una ventina di pagina, altro che ‘mezza parola’. Come ci ha ben spiegato Simonetti, citando Bardi e i Meadows, non ci può essere la certezza che questa sia la ‘verità’ – ma questo vale per qualsiasi modello. Allora buttiamo a mare tutta la statistica?
    E’ qui che si misura la differenza tra chi è interessato al problema ambientale e chi invece ragiona per feticci polemici. Per questa ragione si lamenta del fatto che noi parliamo ‘dell’universo mondo’, mentre la sua critica alla decrescita è avulsa dalla realtà e si basa solo sull’obiettivo polemico LTG. E’ inutile parlargli del problema ambientale cercando di inquadrarlo nella giusta cornice e complessità: Contro la decrescita va giudicato solamente per gli elementi che l’autore ha deciso di considerare. Come se in tribunale pretendesse che fossero solo i testimoni della difesa a deporre!

    “NON ENTRO PERCIÒ, NEANCHE QUI, NEL MERITO DELLA TRATTAZIONE DI DFSN, CHE PERALTRO MI SEMBRA FATTA NEL SOLITO MODO GARIBALDINO, AD ESEMPIO DIMENTICANDO GLI ULTIMI SVILUPPI TECNOLOGICI CHE RENDONO LE NUOVE CENTRALI A CARBONE ASSAI PIÙ ECONOMICHE E ENORMEMENTE MENO INQUINANTI DI QUELLE PRECEDENTI. MA RIPETO, LASCIO STARE PERCHÉ LA COSA NON HA LA BENCHÉ MINIMA ATTINENZA COL MIO TEMA.
    Dopo due libri ‘contro’ si potrebbe farne uno ‘pro’, ‘A favore del carbone’. Certo che una fonte che sia allo stesso tempo assai più economica ed enormemente meno inquinante… sarebbe il Bengodi dell’energia.

    “CERTO CHE “NON È DETTO”; E NON È DETTO PERCHÉ IL MODELLO DI HUBBERT (COME HO SPIEGATO NEL MIO LIBRO, NONCHÉ NELLE PRECEDENTI PUNTATE) NON PARLA DEI PREZZI E DEI COSTI. NOTATE CHE QUESTO NON È STRANO: PREVEDERE IL FUTURO ANDAMENTO DEI PREZZI È MOLTO DIFFICILE, FORSE IMPOSSIBILE. SOLO CHE, SENZA SAPERE COME ANDRANNO I PREZZI (CHE DIPENDONO DALLA DOMANDA E DALL’OFFERTA, CHE A LORO VOLTA DIPENDONO TRA L’ALTRO DAI PROGRESSI TECNICI E DALLA DISPONIBILITÀ DI ALTRE FONTI ENERGETICHE) È IMPOSSIBILE DETERMINARE QUANDO LA RISORSA CHE SI STUDIA SI ESAURIRÀ (O SARÀ PROSSIMA ALL’ESAURIMENTO.)”
    Simonetti lancia strali contro coloro che, a suo giudizio, ignorano i ‘modi di produzione’, poi se ne esce con affermazioni in base alle quali i prezzi dipenderebbero da qualche strana cabala del destino. Invece no: i costi delle materie prime per scopi energetici sono stabiliti in primis dalla convenienza energetica, ossia dall’EROEI. Oggi assistiamo alla lotta tra i sauditi, con un petrolio ad EROEI ancora abbastanza alto (e quindi più economico), che aumentano la produzione per tenere basso il prezzo del greggio, mentre gli americani che ricorrono al fracking, i venezuelani alle le sabbie bituminose e i Russi con giacimenti in fase post-picco (tutti con basso EROEI, meno economici) rischiano di fallire in un regime di prezzi bassi.

    “UBOLDI SEMBRA CONVINTO CHE IO SIA UN INGUARIBILE OTTIMISTA, INGENUAMENTE PERSUASO CHE CI SARÀ SEMPRE UNA FONTE ALTERNATIVA ACCESSIBILE PER IL MOMENTO IN CUI FINIRÀ L’”ERA DEL PETROLIO”. MA NON È AFFATTO COSÌ. NON SONO OTTIMISTA, SONO SOLO AGNOSTICO: ALLO STATO ATTUALE, NON SAPPIAMO QUANDO FINIRÀ L’ERA DEL PETROLIO, E IL PESSIMISMO ALLA DFSN È ALMENO ALTRETTANTO IMMOTIVATO QUANTO L’OTTIMISMO A TUTTI I COSTI”.
    L’agnostico tira di nuovo fuori il dogma ‘dell’imprevidibilità’. Non importa avergli mostrato, attraverso i dati della IEA, che il picco del petrolio convenzionale è avvenuto quasi perfettamente secondo le tempistiche di Hubbert; non importa avergli riferito che, attraverso il suo modello, Hubbert aveva già prima previsto il picco della produzione americana; no, tutto questo entra da un orecchio e esce dall’altro, il picco di Hubbert è qualcosa di mitico come l’araba fenice. Il dogma dice che, se Jevons nell’Ottocento ha sbagliato i consumi energetici inglesi riferiti a 130 anni dopo, allora i modelli previsionali sono tutti inutili. Giudichi il lettore la validità di tale posizione.

    CHE SAREBBE UNA TESI GROTTESCA ANCHE NELL’IPOTESI CHE LE TESI PESSIMISTE O CATASTROFISTE ALLA DFSN FOSSERO DAVVERO DIMOSTRATE: PENSATE QUINDI COME DOVREMMO DEFINIRLA IN UNA SITUAZIONE COME LA NOSTRA, DOVE IL MENO CHE SI POSSA DIRE È CHE LE TESI PESSIMISTE SONO DEL TUTTO SPROVVISTE DI PROVA.
    Daniele ha realizzato un articolo dove ha portato dei dati empirici dell’ISTAT sull’agricoltura e dei rilevamenti (della NASA, se ricordo bene) sulle temperature medie globali degli ultimi anni. Sono argomenti aperti alla discussione, Daniele ne ha dato alcune interpretazioni personali: ma per Simonetti tutto questo non esiste. Se lui giudica che una tesi è ‘pessimista’ o ‘catastrofista’, questa allora per definizione è ‘sprovvista di prova’: quindi per lui gli articoli di ricerca da noi proposti su LTG e i dati basati sui rapporti della IEA sul petrolio o quelli di Daniele su terreni agricoli e riscaldamento globale semplicemente non esistono.
    Si vede che l’esame critico delle fonti non è scienza mentre il dogmatismo sì…

    “MA SOPRATTUTTO LA DOMANDA DA FARCI È: E CON QUESTO? ANCHE SE TUTTE LE “PREDIZIONI” DI LTG (CHE PREDIZIONI, POI, NON SONO AFFATTO) FOSSERO GIUSTE, QUESTO VORREBBE DIRE FORSE CHE WORLD3 È UN MODELLO CORRETTO?”
    Qui si raggiunge il parossismo… se tutte le ‘previsioni’ di LTG fossero vere, saremmo semplicemente in grossi guai. Ma questo non è l’importante, l’importante è finire nei guai senza che ciò dimostri la correttezza di LTG. Don Ferrante muore, ma felice di aver confutato la peste…

  2. Caro Giussani, anch’io noto un elemento “peculiare” in questo dialogo. Ed è che tu, con la sicumera che ti contraddistingue, ti autoclassifichi come desideroso di “una discussione intellettuale”, cioè “orientata a cercare di capire la realtà”, laddove io ovviamente sarei mosso solo da “obiettivi polemici” e interessato solo “a far uscire ‘vincitrice’ una parte sull’altra”. Su queste basi, purtroppo, ogni dialogo risulta impossibile: non si può discutere seriamente con chi mette in dubbio la tua onestà intellettuale, per di più, come in questo caso, alquanto (come dire?) alla cazzo di cane. Ricordo ai lettori, che potrebbero non saperlo, che questo dibattito l’avete voluto voi di DFSN, che mi avete cortesemente invitato, mica io; che a me, di riuscire “vincitore” in una disputa con interlocutori di cotanta fama come i componenti di DFSN, onestamente non me ne può fregare di meno; e che buona creanza vuole che, se io non metto in dubbio l’onestà intellettuale e la volontà di ricercare la verità di Igor Giussani, quest’ultimo non debba mettere in dubbio la mia. Quindi d’ora in poi facciamo così: io parto dal presupposto che tu voglia effettivamente “cercare di capire la realtà” e non già vincere una discussione su Internet (idea che già dovrebbe far ridere chiunque, peraltro), e tu fai lo stesso con me. In caso contrario, non c’è problema naturalmente – questa è casa vostra, e fate come vi pare – ma è inutile continuare.

    Venendo al merito: sì, il problema è proprio che sul famoso modello World3 e sulle critiche che gli ho mosso nel mio libro, DFSN non ha speso mezza parola. E la cosa, peraltro, non mi sorprende affatto, perché quelle critiche sono assolutamente fondate. World3 è un modello troppo rigido e ipersemplificato (il che non è affatto in contrasto con l’uso di variabili troppo generali, come assurdamente mi si obietta in seguito, anzi ne è un effetto) per poter rappresentare anche solo approssimativamente la realtà. Cosa ci potrà mai dire, del mondo reale, un modello che mette insieme ogni tipo di inquinamento, da quello meramente locale a quello globale, da quello più dannoso a quello più innocuo (o magari addirittura utile per incrementare la fertilità dei campi), per trarne una sola media globale? Perché un dato del genere dovrebbe o potrebbe avere un effetto univoco su variabili come la popolazione o la produzione agricola? E perché mai la produzione industriale dovrebbe aumentare di necessità l’inquinamento? Perché mai infine aumento della produzione industriale e aumento dell’inquinamento dovrebbero portare in futuro a un crollo della popolazione, se negli ultimi tre secoli è successo esattamente il contrario? World3 è un modello semplicistico, la realtà è infinitamente complessa: il primo non è in grado di spiegare la seconda. E’ interessante guardare World3, capire come funziona: è un vero gioiellino e la mia ammirazione per chi l’ha creato non potrebbe essere maggiore. Ma la realtà funziona diversamente.

    Eppure, lungi dall’affrontare queste questioni – le uniche cruciali, e le uniche di cui ho parlato nel libro – DFSN divaga. Arriviamo al punto che, siccome per criticare un modello ASTRATTO come World3 adotto, come vogliono logica e buon senso, un approccio ASTRATTO, Giussani mi accusa – indovinate un po’? – di avere un approccio astratto… Dal suo canto, mi cita degli “studi sui riscontri effettivi tra realtà e previsioni World3-scenario base”. Cosa gli si può rispondere senza suonare offensivi? Proviamo così: anche se fosse vero (e ahimé, non lo è) che i “riscontri effettivi” combaciano esattamente con lo scenario-base di World3, questo non proverebbe nulla, non più di quanto il fatto che la maggior parte delle osservazioni astronomiche fosse compatibile con la teoria tolemaica dimostrasse che il Sole girava intorno alla Terra. Se un modello è sbagliato, tutti i dati che vuoi non lo renderanno meno sbagliato; devi trovare un ALTRO modello per spiegare quei dati. Quando l’avrete trovato, chiamatemi (e avvertite il Comitato dei Nobel): intanto, in bocca al lupo.
    Non che, ammettiamolo, abbia molto senso parlare di logica (o di buon senso, se è per questo) a un interlocutore come il sullodato Giussani, che è capace di accusarmi contemporaneamente di attribuire troppa importanza a LTG e di dargliene troppo poca. Ma la speranza è l’ultima a morire.

    Questo è stato finora, inutile negarlo, un dialogo fra perché DFSN continua cocciutamente a non voler prendere atto di una cosa fondamentale (e chiarissima per chiunque abbia letto il mio libro senza essere completamente prevenuto): io non nego affatto né il problema dell’inquinamento, né il riscaldamento globale, né che si vada verso l’esaurimento delle risorse, né che l’energia atomica non sia un’alternativa praticabile (anche se non per le ragioni di DFSN, e anche se tutti i miei amici scienziati, senza alcuna eccezione, sostengono il contrario), e quindi non sono, al contrario di quel che grottescamente insinua Giussani, uno per cui bisognerebbe continuare nel business as usual. Sostengo invece, e l’ho scritto chiaro e tondo, l’esatto contrario, e cioè che esistono ottime ragioni per cambiare. Solo che ritengo altresì, e mi sembra pure immodestamente di averlo dimostrato, che con la decrescita non si cambia nulla, perché la decrescita (oltre a dibattersi in contraddizioni e errori molto gravi) altro non è che un travestimento ideologico della società attuale, esattamente così com’è, e serve solo a tacitare qualche coscienza individuale tanto volenterosa quanto sprovveduta. Ritengo insomma, e ancora una volta l’ho scritto chiaro e tondo, che LTG sia fondamentalmente sbagliato, e ancor più sia sbagliato il culto catastrofista (frequente tra i decrescenti, ma a onor del vero pure altrove) che prende per oro colato un testo con limiti vistosi e che erano ben noti ai suoi stessi autori; ma soprattutto penso che, anche se LTG fosse un testo impeccabile, non ne deriverebbe affatto che dovremmo abbracciare la decrescita in una qualunque delle sue molte versioni.

    L’approccio di DFSN mi pare invece un puro e semplice wishful thinking: siete convinti, per ragioni vostre, che le cose siano destinate ineluttabilmente a peggiorare, e vi aggrappate a World3, che in qualche modo vi fornisce una spiegazione del perché debbano peggiorare. Ma il fatto è che la spiegazione di World3 è sbagliata. Può darsi che le cose siano DAVVERO destinate a peggiorare – ma non per le ragioni indicate dai Meadows; e il fatto che le cose peggiorino non prova che World3 fosse corretto. Ora, accusarmi di donferrantismo perché non mi va di discutere dell’universo mondo e del perché le cose peggiorino è solo puerile: non ho né il tempo né la voglia di discutere di energia nucleare, di effetto serra, della rava e della fava, dato che 1) come hanno già capito tutti quanti salvo DFSN, non sono un fautore dell’energia nucleare, non nego il global warming, ritengo che il capitalismo abbia un sacco di difetti, quindi non capisco nemmeno perché dovremmo discutere di cose su cui siamo, in linea di massima, tutti d’accordo, e soprattutto 2) a me interessava discutere di quel che avevo scritto io (il che già sarebbe un argomento molto vasto), e in tutta onestà mi pareva anche che lo scopo della discussione fosse proprio questo. Se non è così, amen: finiamola qua.

    Lascio perdere il resto, di cui pure potremmo parlare a lungo (tipo la pretesa di Giussani di parlare di Jevons solo per sentito dire: informiamolo dunque che Jevons, in “The Coal Question”, che è del 1865, svolgeva proiezioni sulla produzione e sul consumo di carbone per i 100 anni successivi, quindi la data del 1961 non è affatto un “refuso” ma si trova bel bello nel capitolo XII di quel testo; o le stravaganti considerazioni del medesimo Giussani sull’EROEI, che confonde insensatamente col costo economico; o anche la storia del nucleare francese, che arriva a coprire l’85% della produzione francese di energia elettrica però sarebbe, chissà perché, un “fiasco”), perché quel che precede basta e avanza.

    • Mi rivolgo al lettore. Comprate Contro la decrescita, leggete la nostra decostruzione (in particolare gli articoli di ricerca indicati), informatevi sul problema ambientale e delle risorse e poi giudicate voi. Anche se penso che avrà una risposta plausibile alle due domande retoriche di Simonetti, con le quali la discussione ha raggiunto l’apice: “E perché mai la produzione industriale dovrebbe aumentare di necessità l’inquinamento? Perché mai infine aumento della produzione industriale e aumento dell’inquinamento dovrebbero portare in futuro a un crollo della popolazione, se negli ultimi tre secoli è successo esattamente il contrario?”. Immaginate un drogato che dica: “Perché l’eroina mi dovrebbe uccidere se finora mi ha sempre fatto sballare alla grande?” (mi sa che oltre al nucleare i suoi amici scienziati gli debbano spiegare anche qualche altro principio un po’ più basilare)
      Giudicate voi se nel libro di Simonetti emerga tutta questa voglia di cambiamento, scaricatevi gratis dal nostro sito Svolta radicale e Balle nucleari e giudicate voi se cerco in qualche modo (con tutti i miei tanti limiti) di capire la realtà, confrontandomi con fonti ‘ostili’, o se mi creo un un universo intellettuale tutto mio.

      Quanto a te Luca, ovviamente la tua coscienza è affar tuo. Solo tu sai se credi che Zerzan e Unabomber siano veramente da legare alla decrescita oppure se è solo una trovata sensazionalistica per far sembrare i decrescenti dei pazzi. Solo tu sai se l’articolo di Rodger era stato considerato per il titolo accattivante e poi espunto del tutto perché non giungeva alle tue stesse conclusioni. Solo tu sai, se mutatis mutandis (per dirna una: con argomento OGM) accetteresti critiche basate su ricerche di dieci o più anni fa e accetteresti che qualsiasi riscontro empirico venisse bollato come ‘casuale’. Solo tu sai se, facendo accostamenti con il transumanesimo e l’eugentica del Reich, accetteresti supinamente di essere accostato ai sostenitori della clonazione umana e presentato come ‘portatore seminale di idee naziste’. Solo tu sai la ragione perché, di fronte alla stessa definzione di PIL, nel tuo libro Pallante ‘non conosce l’economia’ mentre, quando ti viene presentata dal dizionario economico Treccani, allora salta fuori la questione PIL-a e PIL-b. Solo tu sai se credi veramente che PIL-a e PIL-b si ricavano attraverso strane esegesi dei manuali di economia o se è solo un modo di cavillare. Solo tu sai se – in un rovesciamento di ruoli che avrebbe reso orgoglioso Ivan Illich – credi davvero che fior di comunità accademica sia talmente cieca da perdere più più di quarant’anni dietro a un modello palesemente sbagliato e che ci volesse un avvocato (sulla base della lettura di un articolo di Smil del 2005) per accorgersene, facendo intendere che gli studiosi che ragionano ancora oggi su World3 (club di Roma, Bardi, Jay, Hall, Turner e altri) siano talmente ottusi da non accorgersi di una simile ovvietà.
      Solo tu sai se, di fronte a un qualsiasi argomento vasto e complesso, acceteresti che la persona criticata volesse limitare la discussione solo a quello che ha trattato nello specifico. Insomma, tu sei l’unico che può sapere se accetterebbe di ricevere sulla propria pelle il ‘metodo Simonetti’, per tutto quello che riguarda lo stile fortemente polemico e canzonatorio (e ricco di illazioni in nome della ‘libertà di ricerca’), e se accetteresti la scientificità di un simile approccio.

      Per il resto, se pensi davvero che il business as usual davvero non sia perpetuabile e che ci voglia un cambiamento, spero che tu metta una volta tanto la tua verve dialettica al servizio del cambiamento che dici di proporre, operando una critica altrettanto appassionata di quelle entità che difendono il business as usual come imprescendibile. Per quanto è dato di capire fino adesso, i mali del mondo sono Slow Food e la decrescita, e le tue opere sono esaltate da realtà come Il sole 24 Ore e Il Giornale che sinceramente mi sembrano tra i più appassionati sostenitori dell’attuale modello di business: se sei sincero, sappi che la tua opera allora è strumentalizzata da negazionisti del problema ambientale.

      Un’ultimissima cosa. Anche se speravo in uno scambio più fecondo, non mi aspettavo certo che tu cambiassi idee, e va bene così. L’unico fatto che mi fa salire il sangue alla testa leggendo Contro la decrescita è quel paragone strisciante fascismo-decrescita, assolutamente infamante (per la cronaca: non mi sognerei mai di accostare salmone.org ai nazisti, era solo per esemplificare cosa succede quando si riceve in cambio un po’ della propria stessa medicina). Abbiamo tanti difetti ma non siamo ‘portatori seminali di idee del fascismo’. Come ti ho scritto in una email (e non sto assolutamente facendo ironia) è per me grande motivo di vanto che DFSN sia stato il soggetto a dare maggior spazio a Contro la decrescita e al suo autore, più di qualsiasi sito ‘amico’ dell’opera, e che non abbiamo mai bannato nessuna opinione anche quando i confini della netiquette erano diventati molto labili (e neppure quando, come in questo caso, hai perso il tuo solito aplomb linguistico uscendotone con una parolaccia). Mi basterebbe che venisse riconosciuto questo e – come ti ho già chiesto privatamente – adesso ti chiedo pubblicamente di lasciarci riunire i tuoi commenti e le tue repliche, unitamente alle nostre decostruzioni, in un contributo non profit liberamente scaricabile dal sito. Ognuno si assume la responsabilità di quanto dice, e se ci saranno dei lettori, saranno loro a giudicare in autonomia. A quel punto, FATTI NON FLAMES.

      Quindi auspico che uscirà anche la tua ultima puntata e, per evitare problemi di sorta, mi impegno a tacere da qui in avanti nei commenti anche se dovessi subire pesanti provocazioni. Ci tengo che questo lavoro arrivi fino in fondo.

  3. Con tutta la pacatezza del caso vorrei fare alcune precisazioni in merito al concetto che Simonetti ha di “modello”; semprechè abbia interpretato bene il suo pensiero.
    Ogni modello , come ho già avuto occasione di sottolineare, risente dell’impostazione della ricerca. Il ricercatore, per quanto scrupoloso e assolutamente terzo rispetto a ciò che ipotizza, può sempre compiere delle sottovalutazioni o sopravvalutazioni o, addirittura, inserire nel test dell’ipotesi variabili che c’entrano come il cavolo a merenda.

    Del resto, il povero ricercatore, non è un veggente ma uno studioso. Non può che basarsi sul suo buon senso, sull’esperienza empirica, sulla letteratura, sullo stato dell’arte, sulle conclusioni assodate dalla comunità scientifica.

    Sarebbe un bel guaio se non ci fosse modo di capire se il ricercatore ha mischiato “mele” con “pere” o ha apparecchiato cavoli al posto di pasticcini all’ora del the. Per fortuna, lo si può vedere coi test dell’ipotesi.
    Ai tempi di World3 era piu’ difficile, perchè i PC erano agli albori ma oggi, si possono inserire nel dataset dell’ipotesi le piu’ svariate variabili e poi vedere quali effettivamente abbiano una certa importanza.

    E’ il caso tipico delle indagini ambientali. A priori non sono note, se non sono stati precedentemente studiate, le relazioni in un certo habitat, tra ambiente e le comunità vegetali e animali che la abitano.
    Dunque, in questi casi, è assai difficile preordinare un disegno sperimentale; preferendo una selezione a posteriori.

    Alle classiche analisi multivariate si sono affiancati metodi, come quello di machine learning, delle reti neurali, che consentono di prendere in cosiderazione anche molte migliaia di variabili; senza che, peraltro, a priori, venga assegnato a ciascuna di esse un peso ponderale.

    Ecco che allora cadono le preoccupazioni di Simonetti e, ovviamente di tutti coloro che fanno ricerca sul campo.
    Con l’algoritmo di Breiman “randomForest”,per esempio, si possono analizzare sia variabili qualitative che quantitative, le piu’ diverse tra loro.
    A priori io non so nulla della relazione che possa intercorrere tra il cadmio o il piombo presente su un terreno inquinato e la riduzione ( se c’è stata) della fauna edafica. Come non so nulla di quanto succederà ai licheni, ai funghi, e, piu’ in generale, quali danni potrà subire la comunità ecologica che popola quella porzione di territorio.

    Dunque è pienamente legittimo che io inserisca nel dataset anche la piu’ “strampalata” e fantasiosa delle variabili; se non altro al fine di rigettarla come insignificante o poco importante.
    L’algoritmo di Breiman, così come le reti neurali, restituiscono un elaborato in base al peso gerarchico di ciascuna variabile.
    Tutto ciò, di per sè non è ancora il “modello” che spiega teoricamente la realtà fattuale o che possa avere capacità predittive.
    E’ semplicemente un formidabile strumento di screening che consente al ricercatore di direzionare in modo corretto le sue indagini; restringendo il campo della ricerca solo a queli ambiti che sono risultati di qualche significato e meritevoli di approfondimenti.

    Tutto questo per spiegare come sia un falso problema, oggi come oggi, il mischiare “mele” con “pere” o, nel nostro caso, prendere in cosiderazione aspetti che, a prima vista, possono essere incorrelati tra loro.
    La correlazione, e insisto su questo, non le INVENTA il ricercatore ma sono formìnite dai metodi statistici che, fino a prova contraria, sono scienza e non arbitrio.

    Dunque anche se a Simonetti, come a chiunque altro possano sembrare bizzarri certi accostamenti, essi sono sempre possibili; purchè sia utilizzato un metodo rigoroso per “filtrarli”; e farlo, non è un saltare di palo n frasca, “senza alcuna soluzione di continuità”, come afferma il nostro gentile interlocutore.

    Tornando a world3, pure dato atto delle obiezioni di Smil ( e non solo), a piu’ riprese, sia Donella Meadows che altri, incluso Bardi , hanno arricchito il modello proprio basandosi sul percorso scientifico che ho testè delineato.

    Conclusione: diventa davvero una discussione di lana caprina attardarsi sul fatto se World3 sia stato o non sia stato un modello compiuto e rappresentativo.
    Tutti i prototipi della ricerca possono essere lacunosi. sarebbe colpevole se non fossero seguiti e aggiornati. Ma, nel caso di World3 non è stato così.
    Tuttavia, tanto per non fare di World3 un feticcio, oggi, nel mondo scientifico, esiste una mole enorme di report, frutto di studi settoriali di vari centri di ricerca che mostrano, con assoluta evidenza,lo stato di salute del pianeta.
    Ne ho citato uno per tutti: la NASA che, con migliaia di foto scattate dai satelliti, mostra inoppugnabilmente come la geomorgfologia del suolo subisca enormi cambiamenti a seguito della pressione antropica. Penso che nessuno voglia discutere la serietà e la terzietà della NASA.

    La morale del discorso è che, con questi livelli di consumi, ci vorrebbero tre Terre e mezzo per arrivare al 2050 senza problemi.
    Un aspetto su cui non si è abbastanza discusso e, per mia ignoranza, non so se è nelle corde di Simonetti, è quello delle enormi disuguaglianze sul pianeta. Noi non possiamo ragionare “a saldi invariati”, dando per scontato che questo modello di sviluppo sia anche socialmente giusto e condivisibile. Da questo punto di vista lo contesta persino il Papa.
    E’ un modello che, per esistere, ha intrinsecamente bisogno di produrre disuguaglianzie ENTRO le aree del pianeta e TRA le aree del pianeta. Disuguaglianze che in molti trovano “fisiologiche “o, al piu’, “il minore dei mali”. Qui, va detto, siamo nel campo della politica e, se vogliamo, delle opinioni.

    La mia è che anche le tensioni dovute alle disuguaglianze accelerino la fine dell’era della crescita e pongano gravi problemi alla sopravvivenza stessa della specie. ma questa, ovviamente, è una mia opinione.

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