L’articolo ‘La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?’, scritto da Enrico Mariutti e pubblicato l’11 novembre scorso sulla rubrica Econopoly de Il Sole 24 Ore, mi ha riportato alla mente una frase attribuita a John Fitzgerald Kennedy: “Il grande nemico della verità molto spesso non è la menzogna: deliberata, creata ad arte e disonesta; quanto il mito: persistente, persuasivo e irrealistico”.
Mariutti e la testata per cui collabora – non nuovi ad atteggiamenti, per così dire, ‘revisionisti’ riguardo alla problematica ambientale – rappresentano infatti la facciata ‘presentabile’ e dalle sembianze ragionevoli di una narrazione anti-rinnovabili che, basti dare un’occhiata al Web, sconfina fino al cospirazionismo più bieco.
Rimandando a una lettura completa dell’articolo, in estrema sintesi Mariutti esprime la ‘grande eresia’ per cui le fonti rinnovabili, ben lungi dal contenere il danno ecologico, lo aggraverebbero esponenzialmente a causa del prelievo di risorse necessario per decarbonizzare completamente il settore energetico:
Un commentary uscito su Nature Geoscience pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.
Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, mediamente in un giacimento di rame il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno.
Ma non basta. Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti.
Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.
Per corroborare la propria argomentazione, riporta l’immagina della miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa (la più grande del mondo a cielo aperto), commentando “immaginatela 40 volte più grande”.
Mariutti non nega la necessità di intervenire sul cambiamento climatico, semplicemente ha una ricetta diversa da proporre, a suo giudizio molto più conveniente sotto tutti i punti di vista ma ingiustamente osteggiata dalla lobby delle rinnovabili e “sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green”:
Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (DAC)… Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno…
Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.
Implicitamente, si lascia intendere che grazie alla DAC potrebbe proseguire lo sfruttamento dei combustibili fossili, tanto le emissioni di CO2 verrebbero comodamente aspirate dall’atmosfera…
La potenza della mistificazione di Mariutti si deve al fatto che contiene alcuni indiscutibili elementi di verità, alla stessa maniera del controverso documentario di Michael Moore Planet of the Humans. Le rinnovabili non sono una ‘bufala’, è accertato che garantiscano una produzione netta di energia e che in molti casi possano competere alla pari con fossili e nucleare; tuttavia, non presentano lo stesso carattere ‘prometeico’ (per usare un termine di Georgescu-Roegen) che ha consentito a carbon fossile e petrolio di innescare un importante salto di scala nella complessità dell’organizzazione sociale umana. Il tentativo di mantenere l’attuale modello di sviluppo con le rinnovabili (ambizione probabilmente impossibile sul piano tecnico) provocherebbe un greenwashing di proporzioni disastrose prima ancora di avvicinarsi minimamente allo scopo.
Esse possono quindi rivelarsi utili solo nel contesto di un programma di autolimitazione dei consumi, come quello prospettato dalla decrescita. Pertanto, qualsiasi ‘green economy’, ‘sviluppo sostenibile’, ‘capitalismo verde’ che pretenda di conservare inalterato l’attuale assetto sociale semplicemente convertendosi alla ‘energia verde’ va effettivamente considerato alla stregua di una fake news.
Mariutti però non è un sostenitore della decrescita, è anzi profondamente convinto che le problematiche ecologiche, se affrontate nella maniera ‘corretta’ evitando inutile derive ‘allarmiste’, possano anzi favorire nuovi lucrosi modelli di business (ha anche scritto un libro al riguardo, La decarbonizzazione felice). E come tutti gli ‘ambientalisti sviluppisti anticastrofisti’, nei suoi ragionamenti tende sempre a una doppia contabilità, utile a far valere le proprie ragioni.
Parliamo infatti di qualcuno che contesta severamente l’impatto delle rinnovabili, con dovizia di particolari, ma allo stesso tempo esalta la presunta evoluzione ecologica di Dubai, giustamente definita dal National Geografic come “la più improbabile città verde del mondo”. Nell’articolo per Il Sole 24 Ore non ha inventato nulla, si è limitato a riproporre una tattica già ampiamente abusata dai sostenitori di fossili e nucleari: fare le pulci alla tecnologia ‘nemica’ presentando invece quella ‘beniamina’ come una sorta di creazione angelica generata dal nulla con un semplice schioccar di dita.
Mariutti scrive che separare l’anidride carbonica dall’aria è “molto semplice” e che “esistono decine di impianti pilota funzionanti in tutto il mondo”, ma non si sente in dovere di presentare neppure un esempio e di spiegarne il funzionamento. Facciamolo noi al suo posto, esaminando il report di Alessandro Codegoni per il portale QualEnergia.it riguardante una macchina basata sulla tecnologia DAC realizzata dall’azienda svizzera Climeworks, una delle quali installata nei pressi di Foggia.
Si scopre innanzitutto che tali dispositivi non attraggono la CO2 passivamente alla maniera con cui la carta moschicida acchiappa gli insetti volanti – come lascia invece intendere Mariutti – ma occorre realizzare grandi ventilatori i quali convoglino l’aria attraverso appositi filtri da riscaldare fino a raggiungere la temperatura di 100°C; un dispendio energetico quindi non indifferente, specialmente se associato ad ambiziosi piani di stabilizzare il clima:
Nelle condizioni ottimali, il che vuol dire con aria non troppo secca visto che l’umidità è funzionale a legare amine e CO2, ogni cilindro rimuove dall’aria 50 tonnellate di CO2 in un anno (l’impianto di Foggia ha tre cilindri).
Ogni tonnellata rimossa, spiegano a Climeworks, richiede 2000 kWh di calore e 600 kWh di elettricità, con il calore che deve arrivare da sorgenti rinnovabili (per esempio geotermia) o come scarto di impianti industriali, e l’elettricità da rinnovabili, visto che se si usassero fonti fossili il bilancio perderebbe di senso.
Anche se rinnovabile, però, l’energia richiesta dal processo è decisamente impressionante: se, per ipotesi, si volessero rimuovere così i 30 miliardi di tonnellate di CO2 fossile emessi ogni anno dall’uomo, solo di elettricità servirebbero 18mila TWh, cioè tutta l’elettricità che il mondo produce in un anno.
Mentre l’energia termica necessaria sarebbe l’equivalente di quella ottenibile dalla combustione di 6000 miliardi di metri cubi di gas naturale, quasi il doppio della produzione mondiale annua.
Consapevole di tali problematiche, Climeworks non millanta il suo dispositivo come metodo per salvare l’umanità dalla catastrofe climatica, bensì per produrre CO2 a scopi industriali senza essere vincolati alle fonti fossili. Un progetto analogo della Carbon Engineering (azienda in cui è coinvolto anche Bill Gates), conferma le medesime criticità riguardo all’elettricità e al calore necessari per attivare il processo di cattura dell’anidride carbonica.
Insomma, viene fuori che usare la DAC in modo virtuoso per l’ambiente richiederebbe un apporto smisurato di quell’energia rinnovabile tanto vituperata da Mariutti. Ed emerge pure un’altra verità, decisamente una ‘piccola eresia’ tanto essa è risaputa: Mariutti, Il Sole 24 Ore e più in generale tutti i fautori del vecchio business as usual tinteggiato di verde, in fatto di ecologia sono tra i peggiori spacciatori di fake news esistenti.
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Ottimo articolo e perfetta contestazione della “ricetta” suggerita da Mariutti (l’uso massiccio della DAC). Voglio aggiungere che già il solo pensare che l’umanità dovrebbe compiere uno sforzo tecnologico per concedersi la licenza di inquinare ha del paradossale !
Nel tuo articolo c’è un paragrafo su cui in molti dovrebbero riflettere, ovvero quando scrivi a proposito delle rinnovabili “Esse possono quindi rivelarsi utili solo nel contesto di un programma di autolimitazione dei consumi, come quello prospettato dalla decrescita. Pertanto, qualsiasi ‘green economy’, ‘sviluppo sostenibile’, ‘capitalismo verde’ che pretenda di conservare inalterato l’attuale assetto sociale semplicemente convertendosi alla ‘energia verde’ va effettivamente considerato alla stregua di una fake news.” Da questo punto di vista andrebbe sostenuto e dichiarato ad alta voce in tutte le sedi opportune che il mito della green economy e della sostenibilità è una presa per i fondelli se si pretende di mantenere inalterati gli stessi standard di vita (gli stessi consumi energetici, alimentari, ecc.) che ora popolano indisturbati l’immaginario collettivo. Per questo non può esistere decrescita senza una rivoluzione culturale.