La ricerca dello straordinario: i Moai dell’Isola di Pasqua

Un parallelo agghiacciante con la nostra Civiltà

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Se pensi che l’avventura sia pericolosa, prova la routine. E’ letale. (Paulo Coelho)
Datemi un sogno in cui vivere, perché la realtà mi sta uccidendo. (Jim Morrison)

Introduzione

Questo lavoro, partendo dalla considerazione che il senso della vita umana è la ricerca e sperimentazione dello straordinario, del superamento della “ordinarietà” della vita quotidiana, tratterà della ricerca dello straordinario avvenuto nell’Isola di Pasqua con la costruzione dei Moai, cioè di quelle grandi statue costruite dalle popolazioni di quest’isola a partire, sembra, dal 1200 d.C. e fino agli inizi del 1600 d.C. circa.
Saranno quindi fatte delle ipotesi sugli aspetti straordinari di queste grandi statue (e di quanto a esse connesso), sul “baco” che si annidava in questi aspetti straordinari e del necessario disastro ecologico e della fine di una intera civiltà a cui portò la loro costruzione.
Perché la trattazione di questo tema sul blog Decrescita felice social network?
Ciò che avvenne nell’Isola di Pasqua circa quattro secoli fa potrebbe considerarsi il paradigma di ciò a cui potrà andare incontro la nostra attuale civiltà. Infatti: “I paralleli che si possono tracciare fra l’Isola di Pasqua e il mondo moderno sono così ovvi da apparirci agghiaccianti. Grazie alla globalizzazione, al commercio internazionale, agli aerei a reazione e a Internet, tutti i Paesi sulla faccia della Terra condividono, oggi, le loro risorse e interagiscono, proprio come i dodici clan dell’Isola di Pasqua, sperduti nell’immenso Pacifico come la terra è sperduta nello spazio. Quando gli indigeni si trovarono in difficoltà, non poterono fuggire né cercare aiuto fuori dall’isola, come non potremmo noi, abitanti della Terra, cercare soccorso altrove, se i problemi dovessero aumentare. Il crollo dell’Isola di Pasqua, secondo i più pessimisti, potrebbe indicarci il destino dell’umanità nel prossimo futuro.” (1)

(1) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 129

Le note sono inserite alla fine di ogni capitolo

Sommario
1) La ricerca dello straordinario;
2) I Moai dell’Isola di Pasqua: anatomia di un caso di ricerca dello straordinario:
a) Un anticipo di straordinario: il raggiungimento dell’Isola di Pasqua;
b) Gli straordinari Moai;
– I Moai;
– Gli ahu;
– Le strade e il viaggio
c) Lo “straordinario”
3) Il costo dello straordinario sull’Isola di Pasqua: il disastro!
4) L’isola di Pasqua e il mondo attuale
a) Differenze e somiglianze nelle condizioni che portarono al disastro
b) Differenze e somiglianze nella fuoriuscita dalla crisi
c) Come il mondo moderno uscirà dalla crisi?

Trattazione

1) La ricerca dello straordinario
Come si è già detto nell’introduzione, si considera il senso della vita umana come la ricerca e sperimentazione dello straordinario, del superamento della “ordinarietà” della vita quotidiana.
In passato ho fatto un lavoro su questo argomento e a cui ho dato il titolo “Il futuro straordinario”: in questo lavoro, tra l’altro, ho definito i concetti di “straordinario” e di “ordinario” (il lavoro è raggiungibile col seguente link: http://www.decrescita.com/news/il-futuro-straordinario/ )
E’ opportuno però riprendere in modo sintetico i concetti più importanti espressi in quel lavoro, magari integrandoli e variandoli per connetterli al tema specifico di questo lavoro.
Prima di definire lo “straordinario” viene definito l’”ordinario”: per ordinario si intende, in prima battuta e per esemplificare, la vita degli animali, cioè una vita che può venire meno, sia come individui che come specie, per tante cause e in ogni momento e (strettamente connesso a quanto appena detto) in cui non sono soddisfatti adeguatamente e per tempi più lunghi possibile i propri bisogni.
Quindi cosa si intende per “straordinario”?
Per straordinario si intende ciò che l’uomo ha cercato, contemporaneamente e dialetticamente, con l’attività economica (con cui si ottengono beni e servizi con cui soddisfare il più adeguatamente possibile e per tempi più lunghi possibile alcuni bisogni umani), con la religione (con cui si cerca un rapporto col sacro, con qualcosa che va oltre l’ordinario, con qualcosa appunto di straordinario), con le arti (con alcune arti si cerca la bellezza, che è una forma di straordinario: si cerca la bellezza nella natura, tramite la natura e andando oltre la natura; si pensi alle pitture rupestri, risalenti a decine di migliaia di anni fa, delle grotte paleolitiche spagnole, francesi, del nord Africa e dell’Australia; con altre arti si creano altre situazioni straordinarie [per es. con le danze, con la musica e con il canto]), con le droghe (il cui uso è attestato da molti millenni e con cui si fa esperienza di condizioni psico-fisiche straordinarie), con le tecniche ascetiche e con varie altre modalità. Molti di questi modi di raggiungere lo straordinario sono stati utilizzati contemporaneamente: si pensi alla religiosità che impregna l’attività economica (non è un caso che quando viene messa la prima pietra di una opera di una certa importanza, oppure che viene varata una nave, alla cerimonia sia sempre presente un alto esponente della Chiesa), si pensi all’arte che impregna le chiese (dipinti, sculture, architettura della stessa chiesa, canti e musica durante le funzioni religiose) o all’uso di droghe durante le cerimonie religione oppure all’uso di bevande alcoliche e marijuana durante i concerti rock o di altre droghe nelle discoteche). Sembra però che adesso, almeno in riferimento alla maggioranza della popolazione del mondo sviluppato, sia il consumo per il consumo, il gioco d’azzardo, la pornografia, il possesso di animali da compagnia e il consumo di alcolici e droghe a svolgere un ruolo importante nel tentativo di superare la piattezza della vita quotidiana e raggiungere lo straordinario (dico di sfuggita che c’è un grosso “baco” in questo straordinario…ma questo non è il tema specifico di questo lavoro).

L’obiettivo dell’uomo quindi è il continuo superamento della piattezza delle determinazioni spazio-temporali della vita quotidiana, da quelle che mettono in forse la continuazione della specie a quelle che impediscono un adeguato soddisfacimento dei bisogni alimentari e di buona salute e, per concludere, a quelle che portano alla modificazione delle determinazioni spazio-temporali con la ricerca del sacro, con la creazione artistica, con l’assunzione di droghe e in tanti altri modi.
Il problema che si pone attualmente è la ricerca di un nuovo straordinario al posto dello straordinario finora ricercato e sperimentato. Sarà la ricerca di un nuovo straordinario (contemporaneamente insieme e a causa dell’esaurimento dei combustibili fossili a buon mercato, del venire meno di molti e delicati equilibri ecologici, e di altri fenomeni sempre più imponenti come le migrazioni di massa e nuove forme di terrorismo, ecc.), che potrà sbloccare l’attuale situazione.
Di fronte all’uomo c’è solamente la prospettiva della ricerca dello straordinario: la ricerca dello straordinario è l’atto costitutivo dell’uomo, non può scegliere diversamente, costi quello che costi!

2) I Moai dell’Isola di Pasqua: anatomia di un caso di ricerca dello straordinario
Questo lavoro tratterà della ricerca dello straordinario avvenuta nell’Isola di Pasqua, tratterà di un’avventura finita male, di un’avventura però che gli abitanti di quest’isola non potevano non fare perché “È proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante.” (Paulo Coelho)

a) Un anticipo di straordinario: il raggiungimento dell’Isola di Pasqua
Prima di parlare della ricerca dello straordinario attraverso la costruzione dei Moai è opportuno parlare di un altro straordinario che ha preceduto quello rappresentato dai Moai: è lo stesso raggiungimento dell’Isola di Pasqua a rappresentare qualcosa di straordinario!


Foto 1 Il raggiungimento dell’Isola di Pasqua circa il 900 d.C. fu uno degli ultimi posti raggiunto dalle popolazioni di sapiens sapiens, partite dalla Rift Valley in Africa molte decine di migliaia di anni prima e dopo aver percorso decine di migliaia di km.

L’Isola di Pasqua è situata è situata a circa 3600 km dalle coste del Cile e a 2075 km dalle isole polinesiane dell’arcipelago di Pitcairn. In passato si è ipotizzato che la popolazione che si insediò nell’Isola di Pasqua provenisse dall’America Meridionale ma in seguito alle ricerche genetiche è stato dimostrato che erano di origine polinesiana. Quindi il posto più vicino erano le isole Pitcairn distanti 2075 km e sembra che sia stata l’isola di Henderson (la maggiore dell’arcipelago Pitcairn), oppure l’isola di Mangareva a fare da trampolino di lancio per le popolazioni che raggiunsero l’Isola di Pasqua.
“E’ da considerare qualcosa di enormemente straordinario che si potesse raggiungere, a bordo di zattere, un’isola così distante e sperduta.
Bisogna considerare che bisognava essere anche in numero sufficiente (con presenza sia di uomini che di donne) e avere il minimo necessario per creare una comunità.”
dice Piero Angela in “Il mistero dell’Isola di Pasqua – I giganti di pietra (Moai)” (raggiungibile al link https://www.youtube.com/watch?v=7vQCEMhnNb8 : questo documentario costituirà una delle fonti del presente lavoro)

Ma perché quelle sparute popolazioni affrontarono un viaggio così pericoloso? (è da pensare che molti altri tentativi precedenti finirono tragicamente!)
Forse erano impossibili le condizioni di vita nei territori dove vivevano precedentemente per cui furono costretti ad andare via?

Se si fa attenzione si vede che la storia umana è fatta di questi viaggi così pericolosi e allo stesso tempo “non necessari” e quindi “non spiegabili”…se si interpreta la vita umana in termini di ordinarietà!!

L’arrivo di sparuti gruppi umani polinesiani nell’Isola di Pasqua fu uno degli ultimi passi di una storia di migrazioni iniziata circa 100.000 anni fa dalle popolazioni di homo sapiens sapiens e circa 1-1,5 milioni di anni prima dalle popolazioni di homo erectus.
Le prime migrazioni che interessarono le popolazioni umane, cioè le migrazioni delle popolazioni di Homo erectus, iniziate circa 1-1,5 milioni di anni fa, e le prime migrazioni delle popolazioni di Homo sapiens sapiens, iniziate circa centomila anni fa, non sono da vedersi collegate a un problema demografico. Esse non dipesero da sovrappopolazione, cioè dalla non sostenibilità delle popolazioni da parte dei territori su cui insistevano quelle popolazioni stesse.
Circa 1,6-1,8 milioni di anni fa in Africa centro-orientale compaiono individui che poi saranno classificati come appartenente alla specie erectus del genere Homo. Con l’erectus inizia la migrazione degli ominidi fuori dall’Africa. (1) Il problema che si intende affrontare è abbastanza semplice nell’impostazione: perché le popolazioni di erectus circa 1-1,5 milioni di anni fa e, in seguito, a partire da circa 100.000 anni fa, anche le popolazioni di sapiens sapiens, si espansero fuori dall’Africa?
Ciò che consentì alle popolazioni di homo erectus di uscire fuori dall’Africa e di raggiungere varie zone dell’Asia e dell’Europa, furono certamente le “acquisizioni” in termini di maggiore intelligenza e la sempre maggiore padronanza del fuoco (essenziale questa seconda qualità per la colonizzazione delle zone fredde oltre che per l’importante passaggio dal “crudo al “cotto”). Ciò che invece consentì alle popolazioni di Homo sapiens sapiens di uscire dall’Africa e di raggiungere ogni angolo del mondo, quindi anche le Americhe e l’Oceania non raggiunti dagli erectus, furono sicuramente le ulteriori acquisizioni in termini di intelligenza ma “Vi sono molte ragioni che fanno pensare al linguaggio come motivo fondamentale”(2), anche se le due cose sono strettamente interdipendenti. Il problema però non è ciò che consenti agli erectus prima e ai sapiens sapiens poi di espandersi fuori dall’Africa e raggiungere territori lontanissimi, ma il motivo per cui lo fecero!
Ma prima di fare una ipotesi in merito al motivo di queste migrazioni (che ci porterà dritto al tema di questo lavoro!) continuiamo l’analisi dell’espansione delle popolazioni di sapiens sapiens fuori dall’Africa.
“..ricerche di genetica delle popolazioni, condotte in particolare da Luca Cavalli Sforza della Stanford University, da Paolo Menozzi dell’università di Parma, e da Alberto Piazza dell’Università di Torino, utilizzando varie tecniche (che coinvolgono anche i gruppi sanguigni) hanno fornito informazioni estremamente interessanti sulle migrazioni dei sapiens sapiens.
Secondo queste ricerche circa 60 mila anni fa cominciò, a partire dall’Africa, un’espansione di sapiens sapiens che si divise in due tronconi principali,… Una si diresse verso sud-est, raggiungendo (forse 40 mila anni fa) la Nuova Guinea e l’Australia….
Queste isole, nonostante l’abbassamento delle acque provocato dalle glaciazioni, erano separate da zone di mare: tra l’Indonesia e l’Australia per esempio rimanevano ancora quasi cento chilometri di mare aperto da affrontare. Queste popolazioni primitive sapevano già navigare? Sembrerebbe di sì, dal momento che in Australia sono stati trovati ossa e strumenti risalenti a altre 30 mila anni fa. E’ possibile che questi primi uomini abbiano usato zattere di bambù (molto abbondante in quell’area) o tronchi scavati, come certe popolazioni fanno ancora oggi. Ma questa è una parte della storia tuttora da chiarire.
Il secondo troncone della migrazione proveniente dall’Africa, espandendosi verso nord, si divise, circa 50-40 mila anni fa, in altri due rami: uno verso l’Europa (è la famosa migrazione che fra i 40 e i 30 mila anni fa spodestò il Neandertal in Europa…..); l’altro ramo, proseguendo verso nord-est, si sarebbe biforcato, espandendosi a nord verso la Siberia e a est verso la Manciuria e la Mongolia.
E’ quest’ultima migrazione che avrebbe raggiunto la Corea e il Giappone, anche qui probabilmente usando primitive imbarcazioni (anche in Giappone sono stati trovati strumenti datati 30 mila anni fa).
……………………
L’ultimo ramo di questa arborescenza di migrazioni è quello che, partendo dalla Siberia, ha portato i primi uomini verso le Americhe …. Questi sapiens sapiens, infatti, sfruttando una situazione climatica favorevole riuscirono ad attraversare lo stretto di Bering grazie ad una larga fascia di terre emerse, la “Beringia”.”(3)
Dopo questo excurcus riguardante le principali migrazioni che hanno riguardato il genere homo vediamo come avvenne l’espansione umana nelle zone che interessano questo lavoro e in particolar modo il raggiungimento dell’Isola di Pasqua da parte di minuscoli gruppi umani polinesiani.
“L’espansione polinesiana fu la migrazione per mare più rilevante della preistoria umana. Fino al 1200 a.C. l’espansone dei popoli antichi della terraferma asiatica, attraverso le isole indonesiane fino all’Australia e alla nuova Guinea, non si era spinta nel Pacifico oltre le isole Salomone.

Anche se i proto-polinesiani non conoscevano la bussola e non possedevano attrezzi metallici e strumenti per la scrittura, erano maestri nell’arte della navigazione e nella tecnica delle canoe a vela.

Intorno al 1200 d.C. i polinesiani avevano ormai raggiunto ogni lembo di terra abitabile in quel vasto triangolo oceanico i cui vertici sono le Hawaii, la Nuova Zelanda e l’Isola di Pasqua.
“ (4)
“Quale rotta fu seguita per raggiungere l’Isola di Pasqua, la più orientale di tutte?…E’ più probabile,…, che il punto di partenza sia stato Mangareva, oppure le Pitcairn e Henderson (…) che si trovano circa a metà strada fra le Marchesi e l’Isola di Pasqua. L’affinità tra le lingue, la somiglianza fra una statua rinvenuta a Pitcairn e alcune statue dell’Isola di Pasqua, la corrispondenza fra gli stili degli attrezzi di Pasqua e di Mangareva e delle Pitcairn, infine la somiglianza fra i teschi trovati a Pasqua e due teschi trovati a Henderson (…), tutto suggerisce che Mangareva, le Pitcairn e Henderson siano state il trampolino di lancio che stiamo cercando. Nel 1999 la Hokule’a, una canoa a vela ricostruita secondo le antiche tecniche polinesiane, riuscì a raggiungere l’Isola di Pasqua partendo da Mangareva dopo un viaggio di diciassette giorni” (5)
Ma quando fu raggiunta l’Isola di Pasqua e a quanti individui ammontò la popolazione nella sua massima espansione?
Sono state fatte diverse ipotesi che hanno portato a risultati diversi ma si considera verosimile la data indicativa del 900 d.C. come quella del primo insediamento e il numero di 15-20 mila abitanti nella fase di massima espansione demografica.

Dopo questa breve esposizione delle grandi migrazioni umane e in particolare di quella che raggiunse l’isola di Pasqua, bisogna con ancora più forza ribadire la domanda: perché le popolazioni umane migrarono?
“…vi erano forse fra 20.000 e 100.000 persone – è una stima basata su dati molto fragili – nei luoghi in cui ha avuto inizio lo sviluppo dell’uomo moderno, in Africa o in Medio Oriente (o in entrambi i luoghi), all’incirca 100.000 anni fa;… alla fine dell’espansione a tutta la terra oggi abitata, circa 10.000-15.000 anni fa, vi erano intorno a cinque milioni di persone;” (6)
Le varie specie umane, visto l’esiguità delle popolazione che le rappresentavano, non potevano starsene comodamente nei posti che già conoscevano senza avventurarsi in viaggi pericolosissimi e, sicuramente in molti casi, dall’esito mortale?
Le popolazioni che risiedevano in Africa circa 100.000 anni fa (che si ipotizza potessero essere formate da poche decine di migliaia o, al massimo, da 100-200 mila individui) non potevano rimanere in Africa, in posti quindi che già conoscevano, in un territorio che è vasto circa 30 milioni di km quadrati? (è come se in Italia ci fossero stati circa mille persone fra uomini, donne e bambini ed inoltre, [per rendersi meglio conto che non fu un problema demografico a provocare le migrazioni] molti territori africani che adesso sono desertici in passato erano coperti da foreste!).
Il fuoco dello straordinario!
Il motivo è molto semplice: l’uomo cercava lo straordinario, in tutte le sue forme e a qualunque costo!! La ricerca dello straordinario, in tutte le sue molteplici forme, è la ragione d’essere dell’uomo, è il suo atto costitutivo!
Uno dei rami in cui si ripartì la migrazione di sapiens sapiens proveniente dall’Africa, circa 30 mila anni fa raggiunse la Siberia. Condizioni climatiche “favorevoli” resero possibile l’attraversamento dello stretto di Bering. Si era in piena glaciazione di Würm (iniziata circa 110 mila anni fa e terminata circa 10 mila anni fa), le temperature si abbassarono notevolmente, i ghiacci delle calotte polari si estesero, le catene montuose erano coperte da imponenti ghiacciai, molti territori erano coperti di neve e ovviamente c’era meno acqua in forma liquida e il livello dei mari era più basso di diverse decine di metri: ciò portò all’emersione dei fondali dello stretto di Bering, profondo qualche decina di metri. Furono queste le condizioni “favorevoli” che portarono sparute popolazioni di sapiens sapiens a raggiungere il continente americano.
Uno dei motivi che rese possibile tutto ciò fu sicuramente la sempre maggiore padronanza del fuoco da parte dell’uomo ma se non ci fosse stato quel fuoco più potente che, comunque sia avvenuto, si era impadronito della sua mente (cioè la ricerca dello straordinario in tutti i suoi aspetti) l’uomo sarebbe rimasto nella Rift Valley, in Africa, come fecero tante altre specie animali!!

Il raggiungimento dell’Isola di Pasqua intorno al 900 d.C. da parte di sparute popolazioni polinesiane era il compimento di uno degli ultimi tratti di una corsa iniziata dalle popolazioni di sapiens sapiens da alcune decine di migliaia di anni prima e da posti distanti decine di migliaia di km!

(1) Ma stando ai ritrovamenti in Israele, nel Massiccio Centrale in Francia, nel Caucaso e nel sito di Longgupo nella provincia cinese di Sichuan, già le popolazioni di Homo habilis, forse 2 milioni di anni fa, si espansero fuori dall’Africa (a proposito delle popolazioni di habilis bisogna ricordare che secondo alcuni studiosi esse sarebbero non appartenenti al genere homo ma alle australopitecine [cioè scimmie!])
(2) Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, 2004 Codice edizioni, Torino, pag. 29;
(3) Piero e Alberto Angela La straordinaria storia dell’uomo, 1989 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, pagg. 302-303-304;
(4) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 93
(5) Idem, pag. 94
(6) Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo – La storia della diversità umana, Oscar Saggi Mondatori, 1995, pag. 232;

b) Gli straordinari Moai

Foto 2 L’Ahu Tongariki, del peso di più di 9000 tonnellate, sostiene quindici Moai.
Uno di questi Moai ha anche il Pukao, un copricapo fatto di un particolare tufo di colore rosso

Dopo lo straordinario individuato già nel raggiungimento dell’Isola di Pasqua da parte di piccoli gruppi umani polinesiani, bisogna ora passare allo straordinario che è l’oggetto principale di studio di questo lavoro.
Lo straordinario di cui si parlerà è rappresentato però non solo dalla costruzione dei Moai nella cava del vulcano Rano Raraku, ma anche dalle piattaforme (Ahu) su cui furono sistemati, dalle strade costruite necessarie al raggiungimento degli Ahu e, soprattutto, di tutto ciò che attiene al “viaggio” necessario per portare le statue dalla cava di Rano Raraku fin sulle piattaforme.
Ma quanti Moai furono costruiti?
L’archeologa Jo Anne Van Tilburg “…ha inventariato un totale di 887 statue scolpite, quasi la metà delle quali sono ancora nella cava di Rano Raraku. La maggior parte di quelle che furono traportate fuori dalla cava furono erette sugli ahu (…)…. Le statue erette raggiungevano in media circa 4 metri e pesavano circa 10 tonnellate. La statua più alta mai eretta, conosciuta col nome di Paro, era alta quasi 10 metri e pesava “soltanto” 75 tonnellate….Il cratere di Rano Raraku contiene statue non finite ancora più grandi, inclusa una di 21 metri e pesante 270 tonnellate. Stando a ciò che conosciamo della tecnologia isolana, sappiamo che il trasporto e la collocazione di una statua così grande non sarebbe mai stato possibile, e viene spontaneo domandarsi da quale megalomania fossero mai spinti coloro che la stavano scolpendo.” (1)

Le statue furono scolpite utilizzando il tufo della cava di Rano Raraku, un vulcano spento dell’isola. Le popolazioni polinesiane dell’isola di Pasqua erano “dell’età della pietra” e quindi le attrezzature utilizzate per scolpire i Moai erano fatte di vari tipi di pietre dure e di legno anche se il tufo della cava di Rano Raraku era abbastanza tenero e si prestava molto a essere scolpito.

Gli Ahu
I Moai, come è stato già accennato, venivano situati su delle piattaforme di pietra detti Ahu.
“L’ahu è una piattaforma rettangolare non fatta di pietra massiccia, ma costruita riempendo con breccia e detriti grossolani una struttura formata da quattro pareti di pietra basaltica grigia” (2)
I primi ahu furono costruiti a partire dal 1000 e fino al 1600, ma le prime piattaforme costruite probabilmente erano prive di statue. Sono stati contati circa 300 ahu, quelli più piccoli non dotati di statue mentre i più grandi con un numero variabile di statue.
“Gli ahu possono essere alti fino a 4 metri e molti si estendono in larghezza fino a 150 metri, grazie alla presenza di ali laterali. Il peso complessivo di un ahu varia dalle 300 tonnellate di un esemplare piccolo fino alle 9000 e più di Ahu Tongariki; se confrontate alle piattaforme, dunque, le statue che le sovrastano appaiono davvero poco pesanti.” (3)

Le strade e il “viaggio”
“Le strade su cui le statue venivano trasportate fuori dalla cava, visibili ancora oggi, seguono le curve di livello, per evitare di far fatica zigzagando su e giù per terreni collinosi, e possono essere lunghe fino a 14 chilometri e mezzo, come nel caso della strada che conduce all’ahu occidentale più lontano da Rano Raraku. Anche se il compito di trasportare statue così pesanti può apparirci immane, sappiamo di altri popoli preistorici che ci riuscirono con massi di pietra altrettanto enormi, come quelli usati per Stonehenge, per le piramidi d’Egitto, per Teotihuacan e per le città degli inca e degli olmechi. Come facevano dunque? Per verificare la validità delle loro congetture, gli studiosi hanno avanzato varie ipotesi provando poi materialmente a trasportare le statue…
A mio avviso, il metodo più convincente è quello di Jo Anne Van Tilburg, secondo la quale gli abitanti di Pasqua avrebbero utilizzato una versione modificate delle “scale da canoa”, un metodo molto diffuso sulle isole del Pacifico per trasportare i pesantissimi tronchi d’albero destinati a diventare grandi imbarcazioni. Il trucco consisteva nel trasformare i tronchi in canoe ancora nella foresta e di trasportarle sulla spiaggia tramite “scale” fatte di due binari di legno paralleli, tenute insieme da traverse fisse di legno (e non da rulli semoventi). In Nuova Guinea ho visto scale simili che, lunghe quasi due chilometri, partivano dalla costa e salivano su colline alte anche 100 metri, fino a raggiungere un’area in via di disboscamento, dove un gigantesco albero stava per essere abbattuto e poi scavato, in modo da ricavarne lo scafo di una canoa. Sappiamo che le canoe più grandi trasportate dagli hawaiani con questo metodo pesavano più di una statua media dell’sola di Pasqua, dunque il sistema ipotizzato appare plausibile.”
(4)

c) Lo straordinario
Adesso è bene entrare nel cuore del problema e fare delle ipotesi per vedere in che cosa sia consistito lo straordinario con il raggiungimento dell’isola di Pasqua e poi con la costruzione dei Moai, degli Ahu, delle strade e con il viaggio necessario per portare i Moai sulle piattaforme.
I Moai sono da vedersi come laboratorio dello straordinario, in tutti i suoi aspetti (tecnico-costruttivo, artistico e religioso): si costruivano Moai sempre più grandi e sempre più esteticamente elaborati (si pensi alle fini incisioni che le ricoprivano e al modo in cui venivano fatti gli occhi), con Ahu sempre più grandi e con lastre di pietre finemente incise, con la costruzione delle necessarie strade, con la ricerca delle soluzioni tecniche necessarie per il trasporto dei Moai e il loro posizionamento sulle piattaforme.
Le popolazioni polinesiane con quelle operazioni “plasmavano” la natura, le davano forma, non la subivano, superando i limiti fisici che la natura stessa poneva: la umanizzavano (per usare un termine marxiano).
Ma lo straordinario ha molte facce per cui con i Moai si raggiungono anche altri obiettivi: “I ricercatori sono giunti alla conclusione che queste statue sostanzialmente rientrano nella tradizione polinesiana del culto degli antenati ma che siano qualcosa di molto speciale. Ogni statua è unica ed è stata realizzata per immortalare il capo defunto. I Moai, ponendosi con il mare alle spalle, hanno la funzione di vigilare sul loro popolo, offrendogli protezione e sicurezza.” (al link https://www.youtube.com/watch?v=7vQCEMhnNb8 )
Ogni statua quindi veniva realizzata per immortalare un capo defunto: cosa c’è di più straordinario che fare diventare immortale un uomo?! Inoltre i Moai hanno la funzione di vigilare sul loro popolo, offrendogli protezione e sicurezza.
Infatti la ricerca dello straordinario non era fine a se stesso. Come il sacro, separato e superiore al profano, è indirizzato e feconda il profano stesso, così lo straordinario, superiore e separato dall’ordinario, è ad esso indirizzato. Lo straordinario feconda la vita ordinaria trasformandola, facendola alzare di livello.
Con raggiungimento dell’Isola di Pasqua, con la costruzione dei Moai, delle piattaforme e delle strade, col trasporto e il posizionamento dei Moai sulle piattaforme, si è ottenuto ciò che si è ottenuto e si ottiene con la ricerca scientifica e con operazioni come per esempio i viaggi spaziali: fecondare la ordinaria attività produttiva e la vita umana in generale, elevandola di livello, in modo da soddisfare i bisogni umani nel modo più completo possibile e per un tempo più lungo possibile.
Come il viaggio di sparute popolazioni polinesiane verso l’Isola di Pasqua fu uno degli ultimi tratti percorsi dalle migrazioni iniziate 100 mila anni prima e da decine di migliaia di chilometri di distanza dai sapiens sapiens (di cui esse facevano parte) così la costruzione dei Moai e di tutto ciò che a loro era connesso non era altro che qualcosa di simile a ciò che tante altre popolazioni avevano fatto tante volte in precedenza come per esempio con la costruzione di Stonehenge, degli ziqqurat mesopotamici, delle piramidi egizie e mesoamericane, ecc., ecc.

Forse si ha l’idea che popolazioni dell’età della pietra (come è il caso delle popolazioni dell’isola di Pasqua) o comunque le popolazioni cosiddette “primitive”, fossero sempre in eterna lotta per la propria sussistenza e che non fossero in grado di pensare e creare lo straordinario, nelle sue varie forme, e con cui poi fecondare la realtà ordinaria in modo da elevarla.
Diceva il grande antropologo Claude Levi-Strauss: “In Il totemismo oggi e in Il pensiero selvaggio, per esempio, ho cercato di mostrare come questi popoli, che siamo soliti considerare asserviti alla necessità di non morire di fame e di mantenersi robusti solo per sopravvivere in condizioni materiali durissime, siano perfettamente capaci di pensiero disinteressato, siano cioè mossi dal bisogno o dal desiderio di capire il mondo intorno a loro, la natura e la società. D’altra parte per raggiungere questo scopo, essi impiegano strumenti intellettuali, proprio come farebbero un filosofo e anche, in certa misura, uno scienziato.” (5)

Le popolazioni primitive, che praticavano la caccia, la pesca e la raccolta, avevano molto più tempo libero (e stavano decisamente in migliori condizioni di salute) rispetto alle popolazioni che poi praticheranno la coltivazione delle piante e la pastorizia. E, probabilmente, pensavano e praticavano lo straordinario sicuramente più di oggi!
“Alcuni comportamenti accompagnano l’uomo da sempre, ovvero da quando egli è “diventato” uomo, e, in un certo qual senso, lo caratterizzano e lo definiscono. Ad esempio, l’uomo produce arte, è mosso da un impulso artistico che lo accompagna sin dalle sue origini. Ne abbiamo una dimostrazione considerando la datazione delle rappresentazioni artistiche, ritenute più antiche, che sono giunte fino a noi: pitture preistoriche rupestri localizzate in Tanzania e in Australia, datate attorno ai 45.000-40.000 anni (una data “vicina” a quella generalmente attribuita all’ultimo, in ordine cronologico, degli Ominidi, l’Homo sapiens).
Questi atavici comportamenti umani – tra cui l’impulso artistico -¬ possono essere considerati come “costanti comportamentali”, che continuamente rinnovano il divenire dell’uomo. Si tratta di impulsi comportamentali irreprimibili, che si manifestano all’interno della società degli uomini, senza distinzione di razze o popoli: sono comportamenti trans-culturali.
Un’altra di queste “costanti” è la tendenza dell’uomo a cercare, attraverso i più disparati metodi, di modificare il suo stato di coscienza ordinario, allo scopo di vivere esperienze psico-fìsiche in altri stati mentali; stati mentali che, per loro natura, sono possibili e “naturali” nel medesimo modo in cui riteniamo “naturale” lo stato di coscienza in cui ordinariamente conduciamo la nostra esistenza. Tale considerazione risulta avvallata dall’atavicità insita nell’impulso a vivere questo tipo di esperienze, e dalla loro insopprimibilità, storicamente accertata. La storia del rapporto fra l’uomo e i suoi stati modificati di coscienza, dimostra come questi siano in stretta relazione con un’altra importante “costante” umana: l’impulso religioso. Non può essere casuale il fatto che, presso tutti i popoli, i rapimenti estatici e di transe – considerati fra gli stati più elevati della coscienza – vengano culturalmente interpretati come fenomeni di squisito carattere mistico, spirituale, religioso. Anzi, è da ritenere che l’origine del rapporto dell’uomo con gli stati modificati di coscienza sia direttamente connessa alla nascita del suo impulso religioso. V’è anche chi ritiene che, nella storia del genere umano, la coscienza sia apparsa originalmente come quello che viene ora chiamato lo “stato mistico di coscienza”. Ciò spiegherebbe il motivo per cui i mistici parlano di una “età dell’oro” in cui le visioni mistiche erano molto comuni.”
(6)

Diceva un antropologo francese negli anni trenta del secolo scorso:
“Il fatto è che l’istinto di conservazione non è il solo al quale l’uomo obbedisce. La tendenza dell’essere a perseverare nell’esistenza, l’istinto di sopravvivenza che governa il mondo animale, si scontra con un’altra tendenza, più imperiosa ancora: quella che lo spinge a liberare i limiti che sembrano essergli stati assegnati e a cercare esso stesso al di là di ciò che è.
Il proprium dell’uomo è di restare nel perpetuo travaglio del trascendimento di sé. Questo tratto che lo caratterizza spiega tutto quello che tende ad aumentare il suo potere, ad ampliare le sue conoscenze, a raggiungere la bellezza, a far penetrare in lui una vita più ricca e intensa dalla quale intuisce ciò che è la vita divina.
Ciò che gli prova che non si inganna nel cercare di elevarsi al di sopra di se stesso è la gioia che prova ogni volta che ha coscienza di esservi giunto.”
(7)

L’uomo cerca di arricchirsi di tutte le forme di straordinario. “L’uomo ricco è colui che ha bisogno della totalità delle manifestazioni dell’esistenza umana, l’uomo che sente la propria realizzazione come una necessità interiore, come un bisogno” (8)

E’ bene fare un’ultima citazione dal saggio di Jared Diamond per spiegare, all’interno di una visione complessa e contradditoria della realtà, perché la popolazione dell’isola di Pasqua, diversamente dalle altre popolazioni polinesiane dove le statue e le piattaforme erano ampiamente diffuse, si “fissò” nella costruzione di statue e piattaforme sempre più grandi in quantità e dimensioni, raggiungendo gli eccessi che abbiamo visto!
“Almeno quattro fattori contribuirono a questo risultato. Innanzitutto, il tufo di Rano Raraku, si adatta ad essere scolpito più di qualsiasi pietra del Pacifico: a uno scultore abituato a lavorare faticosamente il basalto e la scoria rossa, il tufo pare quasi gridare: “Scolpiscimi”. In secondo luogo, le popolazioni del Pacifico che abitavano su terre molto isolate dedicavano le loro energie, le loro risorse e i loro sforzi al commercio con i popoli vicini, oppure alla conquista, all’esplorazione e alla colonizzazione di altre isole o all’emigrazione verso altri territori; questi sbocchi, invece, erano preclusi agli abitanti dell’isola di Pasqua a causa del loro isolamento. Mentre i capi delle altre isole del Pacifico potevano competere tra loro in prestigio e posizione sociale sfidandosi in vari modi, “i giovanotti dell’isola di Pasqua non sapevano come passare il tempo”, per dirla con le parole di un mio studente. In terzo luogo, il profilo geografico di Pasqua e la presenza di risorse differenti e complementari sparse su tutto il territorio condussero, come si è visto, a una certa integrazione fra le diverse zone dell’isola, permettendo a tutti i clan di usufruire della pietra di Rano Raraku e di farsi prendere la mano da quel tufo così facile da scolpire. Se l’isola di Pasqua fosse rimasta politicamente frammentata, come ad esempio le Marchesi, il clan di Tongariki, sul cui territorio era situata la cava di Rano Raraku, avrebbe potuto monopolizzare la sua pietra, oppure i clan circostanti avrebbero potuto impedire il passaggio delle statue sui loro territori, come infatti accadde alla fine. In ultimo luogo, come si vedrà, la costruzione delle piattaforme e delle statue comportava il dover sfamare una grande quantità di individui, impresa resa possibile grazie al surplus alimentare che si produceva in quelle coltivazioni collinari gestite da un’ élite di individui.” (9)

Anticipando ciò che, seppur brevemente, sarà trattato in seguito nell’ultimo capitolo, quest’ultima citazione dal saggio di Jared Diamond porta a fare immediatamente una considerazione su ciò che potrà sbloccare l’attuale situazione critica in cui versa il mondo moderno: la ricerca di nuove modalità di ricerca e sperimentazione dello straordinario!

1) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 104;
2) Idem pag. 103
3) Ibidem
4) Idem pagg. 108-109
5) Claude Levi-Strauss, Mito e significato, il Saggiatore, Prima edizione Net, marzo 2002, pag. 30;
6) Giorgio Samorini Gli allucinogeni nel mito; Nautilus C.P. 1311
10100 Torino – 1995, pagg. 7-8
7) Philippe De Félice, Le droghe degli dei – veleni sacri, estasi divine” © ECIG · EDIZIONI Culturali Internazionali Genova
Edizione 1990, pagg. 310-311
(testo liberamente scaricabile dal sito http://samorini.it/site/ )
8) Karl Marx Manoscritti economico-filosofici del 1844 (non viene indicata la pagina perchè il riferimento è all’edizione tedesca di questo testo di Karl Marx)
9) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 107

3) Il costo dello straordinario sull’Isola di Pasqua: il disastro!
Per fare una analisi completa della ricerca dello straordinario nell’isola di Pasqua, con la costruzione dei Moai e di quanto ad essi connesso, in modo da determinare poi il costo umano e ambientale (sia quello pagato durante il percorso che con l’esito finale) è bene affrontare ancora altri aspetti. L’analisi di questi aspetti ci porteranno diritto al costo che comportò nell’isola di Pasqua la ricerca dello straordinario con la costruzione dei Moai, degli Ahu e quant’altro necessario: il disastro ambientale e umano!!

Come era strutturata socialmente l’isola di Pasqua?
“Le tradizioni orali tramandate dagli isolani e le indagini archeologiche concordano nell’affermare che la superficie dell’Isola di Pasqua era un tempo divisa in 11 o 12 zone, ognuna appartenente a un clan o ai discendenti di una stessa stirpe. Ogni zona si estendeva radialmente dalla costa verso l’interno, come se l’isola fosse stata una torta tagliata in dodici fette. Ciascuna zona aveva il suo capo e le sue piattaforme con le statue per le cerimonie. I clan facevano a gara fra loro, inizialmente in modo pacifico, cercando di costruire le statue più belle, ma alla fine questa loro competizione si trasformò in una lotta agguerrita. La suddivisione del territorio in zone radiali è tipica anche di altre isole polinesiane del Pacifico. Ciò che risulta insolito nell’isola di Pasqua è che questi territori, appartenenti ciascuno a un clan diverso e in competizione l’uno con l’altro, erano però integrati tra loro da un punto di vista religioso e, in certa misura, anche economicamente e politicamente, sotto la direzione di un sommo capo (sempre secondo quanto mostrano le tradizioni orali e le indagini archeologiche). Al contrario, su Mangareva e sulle isole Marchesi più grandi ogni valle di rilievo costituiva un regno indipendente, e tutti i regni erano sempre in lotta fra loro.”
(1)

Il motivo della integrazione esistente fra le varie zone e i vari clan esistenti nell’Isola di Pasqua dipendeva dal semplice motivo che le risorse esistenti sull’isola (cave delle diverse pietre, alberi, terreni fertili, zone popolate da uccelli marini, zone pescose, ecc.) non erano distribuite uniformemente fra le varie zone e i rispettivi clan per cui era necessario essere integrati e collaborare.

Un altro aspetto da chiarire riguarda la determinazione del costo in termini di maggiore alimentazione necessaria alle popolazioni dell’isola di Pasqua per potere costruire i Moai, trasportarli, erigere gli Ahu e quant’altro fosse necessario a queste operazioni.
“Gli archeologi che per primi hanno cercato di calcolare la quantità di lavoro svolto, di calorie bruciate e, dunque, di cibo consumato hanno trascurato il fatto che la statua costituiva, di per sé, la parte meno impegnativa dell’operazione: gli isolani dovevano, infatti, trasportare anche la pietra che costituiva le piattaforme, e un ahu era 20 volte più pesante delle statue che sorreggeva.

(gli archeologi)…hanno rifatto i calcoli e hanno trovato che, dato il numero e le dimensioni degli ahu e dei moai, la costruzione di queste strutture fece aumentare il fabbisogno alimentare dell’isola del 25 per cento nei trecento anni di massima attività.”
(2)

Un ultimo aspetto da chiarire, ma che è uno dei più essenziali per comprendere l’esito disastroso dell’avventura umana che si è consumata nell’Isola di Pasqua, riguarda il costo ambientale che comportò il traporto e l’innalzamento dei Moai.
Infatti : ”L’operazione di trasporto e innalzamento delle statue non richiedeva soltanto enormi provviste alimentari, ma anche molte funi lunghe e robuste (in Polinesia fatte con la corteccia fibrosa degli alberi) e molti alberi ad alto fusto da cui poter trarre il legno necessario alla costruzione delle slitte, dei binari e delle leve.” (3)
Ma gli esploratori europei, a partire dal 5 aprile 1722 quando l’olandese Jakob Roggeveen scoprì l’isola, hanno sempre messo in evidenza come l’isola fosse ricoperta solamente da erbe e da radi e piccoli arbusti. Gli esploratori si stupirono a tal riguardo visto che le altre isole che avevano scoperto in altri viaggi erano ricoperte da rigogliose foreste.

La verità è che anche l’Isola di Pasqua in precedenza era ricoperta da foreste formate da imponenti alberi: è questo ciò che si può dedurre da tanti indizi provenienti dall’isola come per esempio dall’analisi dei pollini contenuti nei sedimenti fangosi di paludi e lagune, dai fossili di noci di palma, dai calchi di tronchi sepolti sotto i fiumi di lava, dai frammenti di carboni prelevati dai forni e dai cumuli di rifiuti, ecc.
A subire lo stesso destino degli alberi delle foreste che una volta ricopriva l’isola furono le popolazioni di uccelli terrestri, di uccelli marini e di vari tipi di pesci e molluschi. Questo si è potuto stabilire dall’analisi delle ossa trovate nei cumuli di rifiuti. Si è vista una notevole differenza nei vari strati di cumuli analizzati: essi testimoniano come si sia passati, nel volgere di qualche tempo, da una alimentazione completa e ricca a una scarsa e scadente.

Tutti questi fenomeni regressivi riguardanti l’Isola di Pasqua (come appunto la deforestazione, la scomparsa di colonie di uccelli marini, di varie specie di pesci, ecc.) si cumularono e si rafforzarono a vicenda: per esempio la mancanza di legno non consentiva più di costruire le grandi canoe necessarie per la pesca di alto mare con cui pescare tonni e delfini; per esempio la mancanza di alberi rendeva soggetto il suolo al dilavamento e alla perdita di fertilità; significava mancanza di legna da ardere per proteggersi durante le notti invernali fredde e piovose; significava non disporre delle cortecce per fabbricare tessuti e dei vari residui degli alberi per concimare il terreno, ecc., ecc.

Tutti questi fatti sopraddetti portarono a condizioni umane al limite della sussistenza e al crollo demografico. Bisogna anche dire, senza ulteriormente approfondire il tema, che ciò fu reso possibile anche da un complesso e particolare contesto geografico e ambientale (per es. l’Isola di Pasqua era piccola, era lontanissima da altre isole, era una isola con un ambiente fragile, ecc., ecc.)

In questo modo Piero Angela sintetizza nel suo documentario il disastro che avvenne nell’Isola di Pasqua verso la metà del 1600.

“In base ai ritrovamenti la distruzione della civiltà esistente nell’Isola di Pasqua è riconducibile a un disastro ecologico. Ciò vuol dire che l’intero sistema ecologico dell’isola venne sconvolto e devastato per mano dei suoi stessi abitanti: fu un disastro ecologico doloso!
Sembra quindi che l’antica civiltà esistente nell’Isola di Pasqua si sia autodistrutta.
…..
I suoi abitanti sfruttarono senza criterio le risorse rinnovabili del territorio e il risultato fu un disastro ecologico che portò al crollo di una intera civiltà. ….”

Vediamo adesso cosa comportò a livello socio-politico questa nuova realtà economico-ecologica creatasi probabilmente a metà del 1600.

Iniziamo con quanto viene detto nel documentario di Piero Angela “Il mistero dell’Isola di Pasqua – I giganti di pietra (Moai)” (raggiungibile al link https://www.youtube.com/watch?v=7vQCEMhnNb8 )

“A un certo punto però accade qualcosa che travolge tutto. Un evento misterioso e le statue vengono abbattute
In un momento non identificato della storia dell’Isola di Pasqua le statue piombarono giù dalle loro piattaforme. Il modo in cui molte statue sono ridotte induce a pensare a una violenza inaudita.
Anche la cava in cui vengono modellati i Moai viene abbandonata.
La datazione al radiocarbonio colloca l’evento intorno al 1600, un secolo prima del contatto con gli occidentali.
Per qualche strano motivo gli abitanti dell’isola sembra che si siano ribellati alle loro divinità.
Quando gli studiosi cercano di indagare sugli eventi e chiedono ai discendenti delle antiche popolazioni vengono fuori delle leggende sconclusionate riguardanti un periodo di terrore, di fame, persino di cannibalismo, ma nessuno sa dire cosa sia accaduto realmente.
Gli archeologi scoprono delle schegge, delle punte di lancia, che risalgono a quel periodo. Gli abitanti dell’Isola iniziano ad armarsi. Queste schegge in pietra, che sono delle punte di lancia, sembrano comparire improvvisamente intorno al 1600, nel periodo in cui la cava viene abbandonata. Non si sa bene perché ma gli abitanti dell’Isola di Pasqua cominciano a dotarsi di armi.
I ricercatori scopriranno in seguito il motivo del loro utilizzo.
Un ricercatore ha analizzato più di seicento scheletri coevi ai fatti pocanzi riferiti rinvenuti nell’Isola di Pasqua. Ciò che è stato scoperto è shoccante!
Dall’analisi dei resti fossili, soprattutto dei crani, ci sono le prove di una guerra intestina.
Nel confrontare la frequenza delle ferite riscontrate negli scheletri dell’Isola di Pasqua ad altri resti analizzati in precedenza è evidente un periodo di instabilità portato all’estremo. Fu un periodo di instabilità sociale, tumultuoso, caratterizzato da uno stato di guerra endemica, cronica: fu una vera catastrofe, non c’è dubbio!”


Foto 3 Al momento della crisi cessò la costruzione dei Moai; molti Moai, alcuni già completamente scolpiti mentre altri in una fase intermedia di lavorazione, rimasero nella cava del vulcano Rano Raraku

Vediamo adesso come Jared Diamond tratta le conseguenze dal punto di vista socio-politico di quel disastro economico-ecologico che si è creato nell’isola di Pasqua verso la metà del 1600.
“I capi e i sacerdoti dell’isola avevano sempre giustificato la loro posizione privilegiata millantando relazioni particolari con gli dèi e facendosi garanti di un futuro di prosperità e raccolti abbondanti. Questa ideologia ben si sposava con la costruzione di strutture monumentali e con cerimonie che avevano lo scopo di impressionare le masse. Gli enormi edifici e le ricche parate, però, erano possibili solo grazie al ricco surplus alimentare dovuto al lavoro del popolo. Nel 1680, quando le cose si erano già messe al peggio, una ribellione capitanata dai capi guerrieri matatoa depose gli ultimi sacerdoti, e la società dell’isola, fino ad allora resa stabile dall’integrazione e dai delicati equilibri tra i clan, venne stravolta da una guerra civile totale. Le punte di lancia fatte di ossidiana (chiamate mata’a) risalenti a quell’epoca di lotte sono ancora sparse su tutta l’isola.
….
Nel periodo finale della storia di questa società, con la vecchia ideologia sparì anche la vecchia religione, che fu abbandonata quando la vecchia èlite al potere fu deposta. Secondo le tradizioni orali gli ultimi ahu e moai, tra cui Paro (la statua più alta), furono eretti intorno al 1620. Le piantagioni nelle regioni montane, che erano un tempo gestiti da individui di rango elevato e che fornivano cibo per le squadre di scalpellini e trasportatori, furono progressivamente abbandonate fra il 1600 e il 1680. Il fatto che le dimensioni delle statue siano andate via via aumentando potrebbe indicare non soltanto che i capi facevano a gara per costruire le strutture più stupefacenti, ma anche che gli appelli per assicurarsi la benevolenza degli antenati, incarnati dalle statue, in un periodo di grave crisi si facevano sempre più pressanti. Attorno al 1680, al tempo del colpo di mano militare, i clan cessarono di erigere le loro statue e si dedicarono invece ad abbattere quelle dei loro nemici, facendole cadere in avanti su un lastrone di pietra piazzato in modo tale da frantumarle. Come accadde anche per i maya e gli anasazi(…), l’isola di Pasqua incominciò un rapido declino dopo avere raggiunto l’apice in quanto a popolazione, a costruzione di monumenti e a deforestazione.

Anche gli ahu furono profanati: le loro lastre finemente lavorate furono rimosse e utilizzate per costruire recinti (…) per gli orti circostanti; altre lastre furono riciclate come sepolcreti.
….
Tutti abbiamo pensato ai grandi sforzi che per secoli gli isolani hanno dedicato alla costruzione degli ahu, alla scultura e al trasporto dei moai, e al fatto che erano stati gli stessi abitanti a distruggere il lavoro dei loro antenati: una tragedia che ci ha riempito di amarezza e sbigottimento.
Gli indigeni che abbatterono i moai costruiti dai loro antenati mi fanno pensare ai russi e ai rumeni che distrussero le statue di Stalin e Ceausescu dopo il crollo dei regimi comunisti nei loro paesi. La loro rabbia repressa doveva essere profonda.”
(4)

1) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 101
2) Idem pag. 110
3) Idem pag. 111
4) Idem citazioni prese dalla pag. 118 alla pag. 120;

5) L’Isola di Pasqua e il mondo attuale
In quest’ultimo capitolo si accennerà brevemente alle differenze e somiglianze fra ciò che avvenne nell’Isola di Pasqua e la nostra attuale civiltà, sia nelle condizioni che portarono al disastro che nella fuoriuscita dalla crisi. Per chi volesse approfondire questi specifici temi potrebbe consultare i lavori a cui si rimanderà.

a) Differenze e somiglianze nelle condizioni che portarono al disastro
Con la costruzione dei Moai, degli Ahu, delle strade e del viaggio necessario per trasferire i Moai sugli Ahu e di quant’altro necessario a tutto questo, la popolazione polinesiana dell’Isola di Pasqua cercava lo straordinario.
Nell’introduzione è stato indicato il motivo della trattazione di questo tema sul blog Decrescita felice social network: ciò che avvenne nell’Isola di Pasqua circa quattro secoli fa potrebbe considerarsi il paradigma di ciò a cui potrà andare incontro la nostra attuale civiltà.
Nella trattazione che finora è stata fatta sono state indicate le condizioni disastrose in cui si trovò l’Isola di Pasqua a metà del 1600, che si possono riassumere in base a quanto dice Piero Angela nel suo documentario:
“In base ai ritrovamenti la distruzione della civiltà esistente nell’Isola di Pasqua è riconducibile a un disastro ecologico. Ciò vuol dire che l’intero sistema ecologico dell’isola venne sconvolto e devastato per mano dei suoi stessi abitanti: fu un disastro ecologico doloso!
Sembra quindi che l’antica civiltà esistente nell’Isola di Pasqua si sia autodistrutta.
Per molti studiosi ciò che successe sull’Isola di Pasqua rappresenta la parabola del pianeta Terra: l’Isola di Pasqua è isolata nel Pacifico così come il Pianeta Terra è isolato nello spazio.
I suoi abitanti sfruttarono senza criterio le risorse rinnovabili del territorio e il risultato fu un disastro ecologico che portò al crollo di una intera civiltà.”

Tutti gli accadimenti che portarono al disastro ecologico e umano nell’Isola di Pasqua intorno alla metà del 1600 adesso, per la precisione nella seconda metà del XX secolo, hanno visto la luce anche nella nostra attuale civiltà.

Ovviamente semplificando, si può dire che tutto è cominciato agli inizi della seconda metà del secondo millennio d.C. (intorno al 1500 d.C.) e ha interessato quasi esclusivamente l’Occidente.
Così è descritto in un mio precedente lavoro ciò che è avvenuto nel periodo indicato: “Sono investiti tutti gli ambiti della cultura umana: avviene uno enorme sviluppo filosofico-scientifico-tecnologico; sconvolgimenti avvengono nel campo delle confessioni religiose; questo è il periodo delle scoperte geografiche; si assiste a un sempre più incessante sviluppo economico e demografico; sconvolgimenti avvengono nel campo politico-sociale con le rivoluzioni inglesi nel seicento e quella americana e francese nel settecento; nella seconda parte del settecento inizia un massiccio uso dei combustibili fossili (carbone) dovuto anche alle scoperte tecnologiche che rendono possibile la costruzione di pompe con cui svuotare i pozzi carboniferi invasi dall’acqua; ecc., ecc.
Si può dire che a metà del XVIII secolo mette solide radici un nuovo modo di produzione, quel modo di produzione che ci consegnerà il mondo così come adesso lo vediamo.”
(a)

Questo nuovo modo di produzione (che fa parte di un più complesso modo di vita ), che inizialmente ha interessato solamente l’Occidente ma poi, a poco a poco, altre zone geografiche e che, da parecchi decenni, riguarda tutto il Mondo, porta al “…dispiegamento di enormi energie che portano a riempire il pianeta Terra di uomini, di manufatti e di infrastrutture…” (b), e, necessariamente, come condizione e conseguenza, allo sventramento e allo sconvolgimento dei delicati equilibri ambientali e climatici dello stesso pianeta Terra.

E’ successo però, come si diceva, che quel modo di produzione e di vita entra in crisi nella seconda metà del XX secolo: la situazione in cui si trova adesso la nostra civiltà e il pianeta Terra potrebbe paragonarsi a quella che portò al disastro l’Isola di Pasqua.
Per un approfondimento di ciò che è avvenuto nella seconda metà del XX secolo, in quella che potrebbe considerarsi una nuova età assiale nella storia moderna, rimando al mio “Gli anni settanta del XX secolo” pubblicato sul blog di Decrescita Felice Social Network e raggiungibile al link http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/ (da cui sono state tratte le due precedenti citazioni)


Foto 4 …il Burj Khalifa di Dubai, tutt’oggi il grattacielo più alto al mondo con 828 metri di altezza. Dal 2010, il Burj Khalifa ha scalzato il Taipei 101. Esso ospita oltre 1.000 appartamenti e 49 piani di uffici oltre all’Hotel di lusso Armani. Dubai conferma quindi la sua fama di città degli eccessi conquistando meritatamente la “vetta” di questa classifica…


Foto 5 Abbiamo liberato forze immense in un ambiente prezioso e fragile: nella laguna di Venezia una manovra sbagliata di una nave da crociera potrebbe fare immensi danni al patrimonio artistico e ambientale

b) Differenze e somiglianze nella fuoriuscita dalla crisi
Come la popolazione dell’Isola di Pasqua uscì dalla crisi disastrosa che la investì nei primi decenni del ‘600?
Tratterò questo tema attingendo dal saggio di Jared Diamond e dal documentario di Piero Angela: umilmente, però, mi permetto di dire che trovo molto carente la trattazione di questo tema in queste due fonti a cui attingerò.
Vediamo come il tema è trattato da Jared Diamond nel suo saggio “Collasso – Come le società scelgono di morire o vivere”.
“La storia di Pasqua dopo il 1680 non fu solo fatta di miseria e violenze. I sopravvissuti si adattarono come meglio poterono, trovarono nuovi mezzi di sussistenza e una nuova religione. Non aumentò soltanto il cannibalismo, ma anche la costruzione delle stie e il consumo di carne di pollo, come testimonia l’aumento considerevole dei resti di questi animali dopo quella data.” (1)
“I capi e i sacerdoti dell’isola avevano sempre giustificato la loro posizione privilegiata millantando relazioni particolari con gli dèi e facendosi garanti di un futuro di prosperità e raccolti abbondanti. Questa ideologia ben si sposava con la costruzione di strutture monumentali e con cerimonie che avevano lo scopo di impressionare le masse. Gli enormi edifici e le ricche parate, però, erano possibili sola grazie al ricco surplus alimentare dovuto al lavoro del popolo. Nel 1680, quando le cose si erano già messe al peggio, una ribellione capitanata dai capi guerrieri matatoa depose gli ultimi sacerdoti, e la società dell’isola, fino ad allora resa stabile dall’integrazione e dai delicati equilibri tra i clan, venne stravolta da una guerra civile totale. Le punte di lancia fatte di ossidiana (chiamate mata’a) risalenti a quell’epoca di lotte sono ancora sparse su tutta l’isola.” (2)
“Nel periodo finale della storia di questa società, con la vecchia ideologia politica sparì anche la vecchia religione, che fu abbandonata quando l’élite al potere fu deposta.” (3)
“I matatoa giustificarono il colpo di stato spacciandolo come volontà del dio creatore Makemake, in precedenza soltanto uno dei tanti membri del pantheon isolano. Il culto aveva il suo centro nel villaggio di Orongo, ai margini della caldera di Rano Kau, da cui si godeva la vista dei tre più grandi isolotti su cui erano confinati gli uccelli marini. La nuova religione portò anche a un nuovo stile artistico, che si esprimeva soprattutto attraverso l’incisione su pietra di glifi raffiguranti genitali femminili, uccellatori e uccelli (in ordine di frequenza decrescente); i petroglifi si trovano non solo sui monumenti di Orongo ma anche sui moai e i pukao abbattuti, situati in altre zone dell’isola. Ogni anno il culto di Orongo prevedeva una gara, che consisteva nel nuotare nelle acque fredde e infestate di squali dello stretto (largo un chilometro e mezzo) che separava l’isolotto dall’isola di Pasqua. Vinceva chi raccoglieva il primo uovo di sterna scura deposto in quella stagione. Chi riusciva a tornare indietro senza rompere l’uovo veniva nominato “uccellatore dell’anno” e rimaneva in carica fino alla gara dell’anno dopo.”
(4)

Quanto sopra detto è il modo in cui Jared Diamond tratta l’uscita dalla crisi da parte della popolazione dell’Isola di Pasqua (molto umilmente, come dicevo, ritengo molto carente la spiegazione che questo scienziato dà dell’uscita dalla crisi da parte della popolazione dell’Isola di Pasqua anche se ciò, ovviamente, è dipeso dalla mancanza di materiale, [archeologico, testimoniale e d’altro genere], su cui fare delle considerazioni).


Foto 6 … Gli archeologi hanno trovato delle sculture misteriose, risalenti al periodo immediatamente successivo alla catastrofe ecologica e raffiguranti una strana figura: mezzo uomo e mezzo uccello!
E’ l’uomo-uccello: la rappresentazione simbolica che gli isolani, intrappolati nell’inferno dell’isola da loro stessi creato, potessero desiderare. (didascalia dal documentario di Piero Angela in “Il mistero dell’Isola di Pasqua – I giganti di pietra (Moai) al link https://www.youtube.com/watch?v=7vQCEMhnNb8

Vediamo adesso come l’uscita dalla crisi viene affrontata da Piero Angela nel documentario a cui abbiamo fatto più volte riferimento.
“Ma c’è un problema di non poco conto nella teoria dell’autodistruzione! Qualcosa non quadra!
Sono stati analizzati i diari di bordo compilati dai marinai olandesi che scoprirono l’isola nel 1722. Era quindi un secolo dopo che l’isola era piombata nella guerra e nella carestia. Eppure dai diari non sembra trasparire nessun segno di crisi. Nei diari di Roggeveen non si parla assolutamente di un luogo impoverito; l’esploratore descrive campi di patate dolci, di radici di igname, coltivazioni di canna da zucchero. Poi l’esploratore passa a descrivere la popolazione: la descrive come un popolazione fiorente e che sembra non mostrare alcun indizio del disastro avvenuto un secolo prima.
Sebbene quel disastro fosse sfociato in un conflitto, la popolazione non mostrava nessun segno di atteggiamento bellicoso. Sull’isola sembrava non esserci traccia di armi.
Se l’Isola di Pasqua fosse andata incontro al disastro di cui si è parlato allora i marinai olandesi avrebbero trovato di fronte a uomini disperati, affamati. Invece gli isolani godevano di ottima salute e avevano abbondanti riserve di cibo.
Quindi, quando arrivarono gli olandesi, la crisi era solamente un ricordo. Qualcosa aveva risollevato le sorti dell’Isola di Pasqua.
Il segreto di questa rinascita si trova a Orongo, un luogo collocato fra un vulcano inattivo e l’infuriare delle onde.
Se presumiamo che il crollo delle statue sia sintomatico del fallimento della civiltà dell’Isola di Pasqua, questo luogo invece rappresenta la volontà di trovare una via di uscita a una situazione critica.
Gli archeologi hanno trovato delle sculture misteriose, risalenti al periodo immediatamente successivo alla catastrofe ecologica e raffiguranti una strana figura: mezzo uomo e mezzo uccello!
E’ l’uomo-uccello: la rappresentazione simbolica che gli isolani, intrappolati nell’inferno dell’isola da loro stessi creato, potessero desiderare.
Gli uccelli avevano la libertà negata agli uomini, potevano volare e andare dove volevano e recavano nel becco i pesci. Quindi rivestivano una notevole importanza per motivi sacri, spirituali ma anche per ragioni puramente economiche.
La figura dell’uomo-eccello è ripresa da un particolare uccello: la fregata. Uno dei più temuti predatori del pacifico, capace di coprire enormi distanze. E’ comprensibile che sia diventato il totem di una popolazione confinata in una minuscola isola.
Le testimonianze più antiche raccontano di come il culto dell’uomo-uccello sia riuscito a salvare gli isolani.
Si parla di un rito annuale, una competizione che coinvolge tutte le tribù dell’isola: il suo scopo è di incoronare il nuovo uomo-uccello!
Di fronte alla scogliera Orongo c’è un gruppo di rocce dove nidifica una specie di uccelli sopravvissuta alla catastrofe dell’Isola di Pasqua. Ogni anno ciascun capo-tribù nomina un giovane vincitore.
I partecipanti scendevano dalla scogliera, si tuffavano in acqua (moto agitata e infestata da squali) e nuotavano fino a raggiungere il più grande dei tre isolotti e restavano lì fino all’arrivo degli uccelli. Lo scopo della competizione è di impossessarsi del primo uovo deposto. Il primo che si impossessava dell’uovo lo riponeva in una cesta situata sulla sua testa, si rituffava in mare e tornava sulla scogliera da dove inizialmente era partito e dava l’uomo a chi aveva sostenuto la sua impresa.
Il capo della tribù che ha vinto la competizione viene incoronato uomo-uccello, e tutta la sua tribù acquisisce il diritto all’accesso prioritario alle sempre più scarse risorse dell’isola per tutto l’anno successivo.
Una soluzione ingegnosa! L’aggressività che un tempo ha portato alla guerra fratricida è ora trasformata in una innocua competizione che porta a una equa distribuzione delle risorse.
Le poche risorse che erano rimaste dovevano essere distribuite in modo equo e regolare fra tutta la popolazione, per evitare sfoghi violenti. Fu quindi uno straordinario sforzo sociale per controllare la competitività e rendere efficiente una comunità intera.
Le fonti storiche testimoniano che il culto dell’uomo–uccello sembra conferire una certa stabilità all’isola.
Ecco perché all’arrivo degli olandesi il clima è del tutto pacifico e le risorse alimentari abbondano. La peggiore delle crisi è ormai superata!”
(2)
Come si vede Piero Angela, in questo documentario, dà qualche informazione in più in merito all’”uscita” dalla crisi da parte della popolazione dell’Isola di Pasqua.
Sarebbero stati interessanti altri dati che però non ho trovato da nessuna parte: per esempio a quanto ammontava la popolazione dell’isola all’arrivo nel 1722 delle navi olandesi del capitano Jakob Roggeveen?
Però la domanda più importante da porsi in relazione alla nuova realtà creatasi nell’Isola di Pasqua dopo l’uscita dalla crisi, e a cui non ho trovato risposta né nel documentario di Piero Angela né nel saggio di Jared Diamond, è la seguente: con quale altro straordinario gli isolani hanno sostituito quello rappresentato dalla costruzione dei Moai e di quanto a esso necessario?

c) Come il mondo moderno uscirà dalla crisi?
Questa trattazione è servita come base per poi porre la domanda più importante che ci interessa, anche se non riguarda specificatamente questo lavoro: come uscirà il mondo moderno dalla crisi che, iniziata alcuni decenni fa, va via via sempre più manifestando i suoi sintomi?
In un lavoro a cui detti il titolo “Un grande accordo” (pubblicato su questo blog e raggiungibile al link http://www.decrescita.com/news/un-grande-accordo/ ) trattai questo tema. La soluzione indicata era ovviamente complessa e articolata tenendo conto della complessità dei problemi esistenti ma l’obiettivo, come necessaria precondizione, da raggiungere era uno solo: la “creazione di nuovi valori che riempiano la vita degli uomini!”, cioè un nuovo straordinario!!
In questo nuovo straordinario una aspetto importante, e contemporaneamente una necessaria precondizione, è la “decrescita”! (rimando a tale riguardo a un altro lavoro pubblicato su questo blog al link http://www.decrescita.com/news/la-decrescita-nello-spaziotempo/)

a) e b) al link http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/

1) Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, 2005 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 120;
2) Idem pagg. 118-119;
3) Idem pag. 119;
4) Idem pag. 121;
5) “Il mistero dell’Isola di Pasqua – I giganti di pietra (Moai)” (raggiungibile al link https://www.youtube.com/watch?v=7vQCEMhnNb8 )

Fonte foto
Foto in anteprima: da https://www.123rf.com/photo_24733408_moais-of-ahu-tongariki-on-easter-island-chile.html
Foto 1: da http://omartomainoblog.weebly.comuploads1592159204121982700_orig.jpg
Foto 2: da http://blog.zingarate.com/afarecosedove/lisola-di-pasqua-e-le-sue-storie/
Foto 3: da http://siviaggia.it/posti-incredibili/isola-di-pasqua-sotto-le-teste-dei-moai-anche-il-corpo/140774/
Foto 4 e didascalia: da https://www.travel365.it/grattacieli-piu-alti-mondo.htm
Foto 5: da https://forum.crocieristi.it/showthread.php/20568-Cabine-Costa-Fascinosa
Foto 6: da www.100viaggi.it

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Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

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