Odio

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Sono passate alcune settimane dalle polemiche relative alla proposta della cosiddetta Commissione Segre per combattere la diffusione dell’odio on line, caratterizzate dal consueto battage mediatico basato sulla polarizzazione di posizioni di per sé alquanto discutibili.

Da una parte, è abbastanza ingenuo pensare che le trasformazioni culturali possano avvenire per legge, anche perché il rischio di rigetto e di incentivare il gusto di trasgredire è elevatissimo; dall’altra, non si possono minimizzare problemi evidenti e ostentare un imprecisato diritto a esprimere i propri sentimenti in maniera assoluta, dal momento che la vita in comunità impone precisi vincoli al riguardo (non possiamo ad esempio insultare chiunque ci capiti a tiro per strada o insistere nel corteggiamento di una persona che esprime un chiaro rifiuto verso il nostro interessamento). La libertà di espressione e opinione è ben altra cosa e, come tutte le vere libertà, prevede anche dei limiti, altrimenti diventa insopportabile privilegio (quindi l’anonimato in Rete è legittimo, ma piantetela di abusarne per offendere o peggio).

Ma perché tanta preoccupazione oggi? Il nostro paese non ha forse  vissuto in passato momenti decisamente più tesi e violenti? Che dire dei tempi della guerra fredda, con gli scontri durissimi DC-PCI, degli anni di piombo e dello stragismo, della bufera di Tangentopoli? Non sono stati fenomeni ben più gravi delle attuali contumelie sul Web? E’ innegabile; c’è però un aspetto centrale della questione che, secondo me, fa una grande differenza.

DC e PCI erano per molti versi agli antipodi ma, insieme a praticamente tutte le forze politiche dell’arco parlamentare, condividevano il progetto di trasformare l’Italia uscita in macerie dalla seconda guerra mondiale in una moderna società industrializzata, differivano profondamente solo nelle modalità per raggiungere l’obiettivo; il compromesso di centro-sinistra artefice del boom economico – la via italiana al keynesismo – rappresentò in sostanza un momento di condivisione generale, malgrado lo scontro tra istanze più radicali e conservatrici. In quel contesto, era più facile un clima di rispetto reciproco tra tutti gli attori in gioco.

Oggi non solo non esistono più visioni condivise, ma ciascuna formazione fatica a elaborare un progetto concreto di società che vada oltre gli slogan e qualche abbozzo programmatico, prova ne è il fatto che tutti i partiti della ‘seconda repubblica’ hanno rinunciato a nomi associati a ideologie preferendo invece aspetti più che altro emotivi (dai riferimenti a cattolicesimo democratico, comunismo, socialismo, liberalismo si è passati a Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia, Liberi E Uguali ecc o all’imitazione dell’estero, vedi il Partito Democratico).

In pratica, ciascun soggetto riesce a connotarsi solo in opposizione a un altro (contro la ‘casta’, contro il populismo, contro le élite globali, contro il fascismo, contro l’Europa, contro i migranti, ecc.) ma ciò inevitabilmente trasforma l’avversario in nemico e, se un avversario ti ‘accontenti’ di batterlo nella sfida elettorale e puoi ammettere un confronto con lui, il nemico va radicalmente eliminato, qualsiasi compromesso è tradimento e ogni mezzo diventa lecito. Un avversario lo puoi rispettare, un nemico DEVI necessariamente annientarlo.

Massimo Fini ha perfettamente ragione nel sostenere  che l’odio, quale sentimento individuale, è forse inestirpabile e lecito finché non travalica nell’aggressione fisica, tuttavia trasformarlo in arma di lotta politica è scellerato, perché l’effetto-branco deresponsabilizza e crea legittimazione verso qualsiasi tipo di azione, sdoganando ogni sorta di barbarie (storia del Novecento docet).

Purtroppo, i ragionamenti di ordine etico-morale sono vani quando l’odio diventa naturale conseguenza della degenerazione in cui è caduta la società umana. Che dire, ad esempio della crescente polarizzazione sociale? Della promozione di stili di vita profondamente insostenibili, concepibili solo asservendo interi popoli? Il lusso, come si chiede giustamente Paolo Ermani sul Il Cambiamento, è un oltraggio alla dignità umana, con tutto ciò che inevitabilmene ne deriva? Reclamare il diritto a stili di vita che, se universalmente generalizzati, richiederebbero le risorse di svariati pianeti Terra – e la conseguente distruzione della biosfera – non rappresenta un chiaro atto di prevaricazione, se non una vera e propria dichiarazione di guerra al mondo?

Se tutte le preoccupazioni espresse sono fondate – e io credo che lo siano – allora l’odio rischia di propagarsi in ogni direzione, alimentato da vittime e carnefici coinvolte nel gioco al massacro globale. Insomma, ci troviamo in un territorio minato e, si direbbe, dai risvolti decisamente più gravi e profondi delle beghe di casa nostra.

 

 

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