Per la decrescita felice è già fase 2

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1940

C’era una volta un tempo in cui era facile denigrare la decrescita felice: bastava appellarsi alla pancia del pubblico con qualche paragone fazioso tra il presente e una visione opportunamente distorta delle visioni di Latouche o Pallante. Volete tornare indietro a prima della modernità? Volete rinunciare alla medicina avanzata e morire di nuovo per malattie banali? Volete una speranza di vita di dieci anni più bassa? Volete abbandonare comfort e benessere? Certo, povero orso polare, ma meglio la sua estinzione o permettere a milioni di persone di uscire dal giogo della fame? Siete disposti a rischiare di perdere agi e diritti concessi dalla democrazia liberale in favore di un regime che, per le ristrettezze che comporta, assumerebbe sicuramente tinte fascistoidi?

Tale dialettica perversa era ben sintetizzata dal celebre delirio di una delle ‘madamin’ pro-TAV: “Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente. Ma ci lascino vivere noi”.

Crescere o decrescere pari erano, si trattava solo di gusti personali e, si sa, la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri. La ‘crescita felice’ era ritenuta un’opzione del tutto fattibile e legittimamente perseguibile, quindi “vivi e lascia vivere”, per l’appunto. Un po’ come scegliere tra due marche di detersivi.

Quindi W Crescita, Sviluppo e Progresso, anche quando non tutte le ciambelle parevano venute con il buco. Infatti, il XXI secolo che doveva segnare la ‘fine della storia ‘ e il trionfo del capitalismo nella sua variante neoliberista, portando ovunque pace e prosperità, non era proprio iniziato nel modo così idilliaco preannunciato da tanti guru. L’Undici Settembre e le conseguenti ‘guerre al terrore’ di Bush, l’avvento di una nazione autoritaria come la Cina a leader dell’economia planetaria, la costante precarizzazione del lavoro, il crack finanziario del 2008, i programmi di austerità e la macelleria sociale greca, gli allarmati annunci di alcuni economisti sul rischio di ‘stagnazione secolare’, le disuguaglianze di volta in volta più marcate, i fenomeni meteorologici estremi sempre più diffusi a causa dell’aggravarsi del riscaldamento globale, l’avvento dell’Amministrazione Trump e della sua politica isolazionista-protezionista, il conflitto in Siria, l’attivismo terrorista dell’ISIS…

Tuttavia, ciò non aveva scalfito più di tanto certezze granitiche. L’occasionale decimale di crescita del PIL, salutato con lo stappare di Champagne quando solo qualche tempo prima sarebbe stato accompagnato da lamenti disperati, era il segnale che il motore della mega-macchina, per quanto inceppato, dopo qualche revisione avrebbe ripreso a girare a pieno regime. Mentre tanti proponevano di aumentare la dose di neoliberismo, qualcuno più ‘critico’ suggeriva un radicale cambiamento dei mezzi, ma non dei fini.

Chi proponeva di mettere in soffitta Milton Friedman e rispolverare John Maynard Keynes, chi di riformare o smantellare la UE, chi di cambiare la concezione della moneta, chi di abbandonare il vecchio Zio Sam e sposare la causa del dragone asiatico aderendo alla sua versione della globalizzazione, ossia la Nuova via della seta… Tante proposte con il medesimo scopo di sbloccare la crescita tanto agognata, necessaria perché non c’è alternativa, la gente non accetterebbe mai di fare sacrifici, desidera comfort e lusso, fare vacanze in paradisi esotici, frequentare centri commerciali, farsi rimbambire dal calcio ecc…

Ed eccoci al tempo di oggi. La pandemia da Covid-19 dalla Cina si è propagata nel resto del mondo alla maniera dei tanti prodotti di esportazione provenienti dall’estremo oriente. Pesanti limitazioni alla libertà di movimento, economie di interi paesi paralizzate, privacy da sacrificare nel nome della salute pubblica, contatti umani quasi solo virtuali. Sospeso più o meno ovunque il normale corso democratico, con Orban in Ungheria che ottiene prerogative dittatoriali con la scusa di varare provvedimenti urgenti contro il virus (come prendere di mira i transgender). Ingressi nei supermercati contingentati, bar, ristoranti e piccoli negozi chiusi. Calcio e tutti gli sport sospesi, rinviati Europei e Olimpiadi. Alle villeggiature in luoghi lontani si sostituisce il miraggio di una passeggiata al parco.

Tutti in attesa della tanto agognata fase 2 di ‘convivenza con il virus’, la cui transitorietà rischia di essere perenne, se per dichiararla conclusa si intende davvero aspettare l’arrivo di un vaccino: i precedenti con altri tipi di Coronavirus non inducono all’ottimismo, la MERS è comparsa otto anni fa, la SARS addirittura diciotto e in entrambi i casi l’obiettivo non è stato ancora raggiunto. Jeremy Rifkin, nell’annunciare entusiasta la fine della globalizzazione sostituita da una governance mondiale basata sul bioregionalismo, prevede che “la distanza sociale sarà la regola”, come se ciò fosse perfettamente compatibile con la natura umana; altri sono ancora più pessimisti.

Qualcuno per la pandemia ha scomodato la teoria del cigno nero di Taleb, sebbene la sua imprevedibilità fosse la stessa di un tumore ai polmoni occorso a qualcuno solito fumarsi da anni due o tre pacchetti al giorno (non a caso, la gente che conta era da tempo preoccupata del fatto che, a tirare troppo la corda, prima o poi si sarebbe rotta con effetti disastrosi). Non posso che fare mie le parole di Patty L’Abate pronunciate nella seduta del Senato dell’otto aprile:

La pandemia è causata da un virus che è un rifugiato, è emigrato come tutti gli animali che sono costretti a cambiare le loro abitudini perché la temperatura è aumentata nell’atmosfera, perché usurpiamo il loro habitat, la loro casa… Non possiamo più parlare di geopolitica -ha avvertito- ma di politica della biosfera. Questa è l’era della resilienza, quindi bisogna ricalibrare i nostri modelli di sviluppo.

Accantonato il cigno nero, il contagio da Coronavirus è più probabile invece che rappresenti un cosiddetto tipping point, ossia un punto di svolta capace di alterare radicalmente e irrevocabilmente il funzionamento del sistema. [1] Tutto ciò con pesanti ripercussioni sulle visioni sia degli sviluppisti che dei decrescenti.

I primi, che fino a ieri potevano limitarsi alla ‘banale constatazione del Progresso’, sono assurti loro (ironia della sorte) a nostalgici del passato, benché recente. Austerità e precarietà, si diceva, sono misure tristemente necessarie per approdare al Bengodi della crescita, ora invece gli attuali sacrifici per il Coronavirus sono necessari per tornare al meno duro regime precedente che però è quello che ci sta condannando ora – fantastico cortocircuito logico.

Per i fautori della decrescita la situazione è non meno complicata perché essa è piombata in modo decisamente infelice, sotto forma di recessione fulminante. Ok, “la decrescita felice non è la recessione”, come ricorda per la miliardesima volta MDF; neppure l’utopia marxista era il dispotico regime sovietico, ma sappiamo tutti che cosa è successo all’ideale socialista: dalla decrescita ‘felice’ alla decrescita ‘realmente esistente’, il passo è breve.

Lo stato di emergenza sta sabotando contadini e piccola impresa favorendo smaccatamente la GDO, le corporation delle telecomunicazioni e i colossi del mercato on line; sta distruggendo le relazioni interpersonali aumentando la dipendenza solipsistica dal cyberspazio; sta svilendo ogni forma di partecipazione politica promuovendo l’espertocrazia, sta rivalutando il valore dell’usa-e-getta; sta ridimensionando drasticamente la portata  delle scelte individuali (magari si potesse seguire oggi lo sfottò delle madamin!). Insomma, proprio nel momento in cui le ragioni della decrescita felice potrebbero emergere con prepotenza, si profila seriamente il rischio che a trionfare sia il peggio del vecchio sistema liberatosi di tutte le maschere edonistiche e rassicuranti (“non c’è nulla di peggio di una società della crescita senza crescita” – diceva qualcuno).

Un prolungato regime di distanziamento sociale successivo al lockdown, dove cittadini ossessionati dal contagio seguono pedissequamente i dettami di uno stato paternalista sgretolando i legami comunitari sul territorio, può solo aggravare la situazione. Scrive un preoccupato Giorgio Agamben:

La paura è una cattiva consigliera, ma fa apparire molte cose che si fingeva di non vedere. La prima cosa che l’ondata di panico che ha paralizzato il paese mostra con evidenza è che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita. È evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La nuda vita – e la paura di perderla – non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa…
Che cosa diventano i rapporti umani in un paese che si abitua a vivere in questo modo non si sa per quanto tempo? E che cosa è una società che non ha altro valore che la sopravvivenza?

Ecco quindi che per la decrescita è già il momento della ‘fase 2’: non è più sufficiente (se mai lo è stato) limitarsi alla constatazione del danno ecologico, alla promozione dell’autoproduzione o dei beni relazionali. Se finora si trattava di proporre un’alternativa alla distopia consumista, oggi occorre trovare un orizzonte di significato oltre la nuda vita e l’esistenza intesa come semplice difesa dell’incolumità fisica, che, come spiega Agamben, non sprona al cambiamento, anzi  porta troppo facilmente alla paralisi dell’individuo facendogli sperare che tutto torni magicamente come prima, costi quel che costi, fino anche al mors tua vita mea.

Mai come ora serve invece una cittadinanza che si proponga come comunità di soggetti autonomi, capace di interfacciarsi con esperti e istituzioni innanzitutto per delineare un ragionevole compromesso tra limitazione del contagio ed esigenze psicologiche, sociali e affettive imprescindibili; e da lì in poi per reclamare un ruolo da protagonista e non solo di passiva spettatrice nella nuova era in cui ci ha definitivamente introdotto il Coronavirus.

Per tutto ciò, però, occorrono nuove strategie e approcci diversi da quelli adoperati durante la ‘crescita infelice’ la quale, con tutte le sue storture, concedeva margini di libertà ai suoi contestatori di cui potrebbe rimanere uno sbiadito ricordo. Bisogna essere consapevoli di quanto fosse più facile, pur nella difficoltà, rapportarsi con pasciuti consumatori compulsivi, anziché con individui ostaggio di paura, frustrazione e insofferenza.

[1] Con questo non sostengo che da qui in avanti vivremo per sempre nel lockdown, bensì che la pandemia abbia sconvolto irreversibilmente alcuni processi dell’economia mondiale e forse anche della democrazia liberale in Occidente.

5 Commenti

  1. Caro Igor, ho apprezzato questo tuo ultimo articolo più del solito, perché hai scritto cose sarcasticamente feroci quanto vere. La decrescita infelice in cui siamo piombati è forse il concetto top del tuo ultimo scritto.
    Sento però il bisogno di avvertirti che il tuo articolo ha un effetto deprimente. La sottolineatura delle attuali negatività è decisamente prevalente su quella delle opportunità. Dobbiamo tutti uscire da questa trappola, da questa specie di condizionamento psicologico. Credo che chi scrive su blog come questo dovrebbe fare uno sforzo per proiettarsi idealmente nella fase 3, presentando soluzioni fattibili che ribaltino come un calzino lo stile di vita pre-pandemia. Non parlo di studi scientifici e dettagliati, che pure occorreranno, ma della messa in evidenza di soluzioni sostanzialmente rivoluzionarie per il lavoro, la mobilità, la localizzazione delle risorse, l’impiego del tempo libero, lo sharing delle risorse quotidiane, dalle auto, ai macchinari, alla cultura, alla produzione artistica. Un’occasione più ghiotta di questa per trovare orecchie interessate non ci sarà mai, quindi non sprechiamola. Su questo blog ho letto in passato cose stimolanti scritte da un nutrito gruppo di collaboratori. Ora constato con amarezza che i contributi si sono ridotti e che si è fatto strada il rischio di cantarcela e suonarcela tra quattro gatti. Non conosco i motivi di questa rarefazione di contributi, ma mi piacerebbe davvero un’inversione di tendenza !

    • Ciao Danilo, piacerebbe anche a me tornare ad avere più collaboratori: alcuni si sono ritirati schifati dal pubblico del Web (in particolare quello dei social network), più in generale però è in corso da qualche anno lo stesso fenomeno che per certi versi ha sconvolto il movimento no global quindici anni fa. In quel caso, il movimento ebbe un crollo verticale proprio nel momento in cui i suoi principali rivali – FMI, Banca Mondiale, imperialismo americano – cominciarono a declinare prima del previsto e in maniera diversa da come ci si aspettava; con il risultato che il movimento di fatto si estinse e oggi le sue istanze sono state riprese in gran parte da soggetti molto diversi (che all’epoca dei fatti magari erano addirittura pro global). Con la decrescita felice succede forse qualcosa del genere: la società della crescita sta collassando per lasciare posto alla decrescita infelice, lasciando tutti spiazzati.
      Per il resto hai ragione, poi esistono purtroppo limiti miei personali che potrebbero non rendermi la persona più adatta allo scopo. Cerco di fare del mio meglio.

  2. Mi auguro che il blog vada avanti perché la sua caratteristica e’ la lucidità’ invece della tifoseria politica e ideologica.
    Quanto all’articolo, credo invece che questo stato di cose durera’ ben poco: presto il contenimento diventerà impossibile non solo per ragioni economiche del paese che non possono più aspettare, ma prima ancora per motivi di ordine pubblico. Quando i risparmi saranno finiti (presto) , la gente comincera’ ad uscire o per protestare o per aprire la saracinesca nonostante i divieti, favorendo il contagio e i morti a casa. E’ una malattia che molti credono di poter rischiare, a torto o ragione, mentre la povertà sara’ presto una certezza per mezzo paese. Speriamo che trovino un vaccino presto e un sistema per far circolare e lavorare chi e’ negativo al test.

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