Referendum, analisi BP e colpi di Testa

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Referendum e taglio della speranza. Il dibattito precedente al referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari mi ha entusiasmato molto poco, per le ragioni che ho spiegato in post su Apocalottimismo. Ho constatato come la grande maggioranza dei militanti della variegata galassia dell’ecologismo radicale abbia sostenuto convintamente le ragioni del NO e ora lasci trasparire amarezza e sfiducia per l’esito della consultazione, spingendosi addirittura a parlare di fine della democrazia o di dittatura conclamata.

Se da una parte concordo sul fatto che la vittoria del SI possa favorire derive poco piacevoli, dall’altra ho però la netta impressione che tanta delusione riveli un inopportuno feticcio del parlamentarismo. Intendiamoci: pur denunciando spesso i limiti della democrazia rappresentativa/liberale, non ho mai condiviso l’opinione di chi la condanna quale ‘inganno per le classi subalterne’ (le quali storicamente hanno sempre lottato per l’allargamento del suffragio) e, al pari di Malcolm X – non certo sospettabile di simpatie verso le élite – ritengo il voto una delle tanti armi (sebbene non la più importante) a disposizione dei cittadini contro i poteri oppressivi.

Tuttavia, la vera democrazia consiste in una cultura che agisca principalmente fuori dalle istituzioni statali e dalla prassi dei partiti, laddove esistano persone pubbliche che si sentano parte di una cittadinanza attiva impegnata a estendere il più possibile il metodo assembleare contro la deliberazione verticistica: da questo punto di vista, che i parlamentari passino da 915 a 600 cambia relativamente poco, mentre è fondamentale mantenere la pressione dal basso. Ad esempio, se finora in Europa non sono state sdoganate le sementi OGM non è certo per la presenza di qualche sparuto gruppo di parlamentari incorruttibile di fronte alla massiccia influenza lobbystica, bensì per timore di reazioni negative dell’opinione pubblica del vecchio continente, molto sensibile su questo tema.

Inoltre, dissento profondamente dall’idea che il referendum abbia tarpato per sempre le ali alla possibilità di creare un partito verde di massa in Italia, trattandosi di questione avulsa da qualsiasi alchimia elettorale o istituzionale.

Quando BP fa la Cassandra. Dopo decenni all’insegna del negazionismo più totale, fa  un certo effetto vedere gli analisti delle corporation petrolifere ammettere l’esistenza del picco del petrolio, pur non riferendosi al catastrofico ‘picco dell’offerta’ bensì al più rassicurante ‘picco della domanda’

Commentando per ASPO Italia l’Energy Outlook 2020 della BP, che osa appunto illustrare concetti da sempre tabù, Luca Pardi spiega come domanda e offerta siano in realtà due facce complementari del Picco. Personalmente, sono rimasto incuriosito da un altro documento della compagnia britannica, Peak oil demand and long-run prices, dove il chief economist Spencer Dale e il direttore dell’Oxford Institute for Energy Studies Bassam Fattouh, pur ricorrendo a una prosa improntata alla massima cautela, descrivono il cul de sac in cui si è ficcata l’industria petrolifera a causa della perdurante deflazione nel settore idrocarburi.

 

 

                                  Punto di pareggio per le diverse tipologie di petrolio

 

Infatti, per sfruttare le risorse non convenzionali (shale oil, sabbie bituminose) e di difficile estrazione (giacimenti da acque profonde e simili) occorrerebbero alti prezzi al barile (almeno intorno $70-80), che però infliggerebbero il colpo di grazia a un’economia mondiale già semi-agonizzante; i paesi dell’area araba-mediorientale, grazie ai costi di produzione ancora relativamente contenuti, sembrerebbero avvantaggiati ma, in un regime di bassi prezzi, a causa degli scarsi guadagni si troverebbero privati di introiti fondamentali per tamponare le gravi problematiche socio-politiche che li affliggono (le primavere arabe e la crisi istituzionale venezuelana sono state un preludio di quanto potrebbe accadere su scala ancora più vasta).

Se per caso siete rimasti scioccati dalle previsioni produttive disincantate di un soggetto interessato come pochi al business dell’oro nero, allora lo stupore aumenterà scoprendo le ipotesi relative alla crescita economica globale, che si presume fortemente danneggiata dagli effetti del riscaldamento globale:

 

Fonte: BP Energy Outlook 2020

 

Una corporation delle fonti fossili propone un’analisi che sembra uscita dal Post Carbon Institute!

Tutto ciò mi ispira una breve riflessione: ho notato che i rapporti redatti da multinazionali, banche, enti sovranazionali ecc, per lo più all’insegna della propaganda e della fuffa nei periodi di prosperità (per loro), diventano improvvisamente più obiettivi e realistici quando le cose vanno male (sembra la ripetizione di quanto accaduto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, allorché il mainstream favorì l’ascesa di analisi scomode per il business as usual come I limiti dello sviluppo). Pertanto, un consiglio spassionato: lasciate perdere Qanon (ma anche Repubblica) e tuffatevi in prima persona nel mare magnum del Web alla ricerca di documenti partoriti dai poteri forti globali, potreste fare scoperte decisamente interessanti.

Un nuovo colpo di Testa. Facendo un giro in libreria, ho scoperto che il buon Chicco Testa è ritornato “massiccio e incazzato”, per citare il Tenente Fili del film 365 giorni all’alba interpretato da Massimo Dapporto. Già deputato di PCI e PDS e poi ex presidente di Legambiente, ACEA, Enel, Kyoto Club, Assoelettrica e Roma Metropolitane, nonché ex membro del cda di Wind e Riello, ex European Advisory Board di The Carlyle Group, ex Managing Director di Rothschild Italia, Testa – testimonianza vivente del detto romagnolo per cui i politici a fine mandato non rischiano di finire alla carriola – attualmente presiede Sorgenia spa e E.VA Energie Valsabbia (vi risparmio altre cariche minori); ciò nonostante, ha trovato il tempo e la voglia di sfornare un nuovo pamphlet anti-ambientalista da affiancare a Contro (la) natura (2014) e Troppo facile dire di no (2017): mi riferisco a Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico, pubblicato il 17 settembre scorso da Marsilio Editore.

Lo sfottò dichiarato alla decrescita, implicito nell’uso della parola ‘felice’ nel titolo, ha sicuramente gettato benzina sul fuoco dello spirito ecopunk ch’entro mi rugge, il quale mi obbligherebbe a un debunking impietoso del libro di Testa, così come già accaduto con L’ambientalista ragionevole di Patrick Moore: ammetto di provare un’insana soddisfazione blastando chi voleva blastare l’ecologismo accampando pseudocredenziali di scientificità (mi è bastato sfogliare qualche pagina e le parti del testo disponibili on line per capire di che pasta è fatta l’opera).

Confesso, però, che mi imbarcherei volentieri in un lavoraccio simile con la certezza di un minimo di viralità dei contenuti, il non plus ultra sarebbe ovviamente riuscire a far saltare la mosca al naso a Testa, persona non esattamente dalla calma olimpica (indimenticabile quando, in diretta televisiva, minacciò letteralmente di spaccare la testa a Mario Tozzi per le sue prese di posizione contro il nucleare). Mi piacerebbe un riscontro dei lettori: nel caso mi ‘aizzassero’ al debunking, conoscendomi sono abbastanza sicuro che non mi sottrarrei all’invito.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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