Se non ora quando?

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Restano solo 11 anni: la lezione di Greta e il limite da non oltrepassare.

Di Max Strata

Iniziamo dai numeri. Secondo i recenti calcoli effettuati dagli scienziati delle Nazioni Unite, la quantità di gas serra che possiamo ancora immettere in atmosfera per rispettare l’obiettivo degli accordi internazionali di Parigi, ovvero restare entro i 2°c di riscaldamento globale rispetto all’inizio dell’era industriale, verrà superata tra 11 anni.

Agli attuali ritmi di emissione di 50 Gigatonnellate (50 miliardi di tonnellate) all’anno, questo è il tempo che ci resta prima che il raggiungimento di un punto di non ritorno climatico inizi a provocare conseguenze molto serie sull’intero pianeta.

Attenzione, questo non significa che nel 2030 avremo a che fare con l’Apocalisse anche se i processi di evoluzione della chimico-fisica dell’atmosfera possono subire rapide modificazioni a causa di retroazioni che amplificano le deviazioni da uno stato di equilibrio originario.

Quello che è certo, se per l’appunto non avverrà una massiccia riduzione delle emissioni climalteranti, è che da quel momento il processo di riscaldamento e il conseguente caos climatico, subiranno una notevole accelerazione provocando danni estremamente seri in particolar modo sulla produzione agricola e sulla disponibilità di acqua dolce.

I numeri, a cui affidiamo quotidianamente la nostra esistenza di cittadini del XXI secolo, in questo caso rappresentano un limite fisico che nell’interesse generale non va superato. Ma, mentre per curare un raffreddore facciamo estrema attenzione nel rispettare con scrupolo il dosaggio del farmaco acquistato in farmacia, non altrettanto facciamo con la terapia che ci è stata prescritta per la ben più grave patologia planetaria che si chiama riscaldamento globale.

Questo dimostra almeno due cose:

La prima, che i nostri modelli e meccanismi mentali non sono sufficientemente reattivi di fronte ad una minaccia che non sentiamo come veramente incombente. Si tratta di un riflesso che è stato definito come “l’immagine del ragno” e che si evidenzia con la nostra risposta istintuale quando un grosso aracnide salta sulla teca del vetro in cui stiamo guardando e a cui reagiamo con un salto indietro. Il salto difensivo all’indietro è una acquisizione comportamentale determinata dal nostro percorso evolutivo che però, sfortunatamente, non comprende la percezione di un pericolo che arriva da un futuro non immediatamente prossimo come nel caso del progressivo innalzamento della temperatura del pianeta.

La seconda, che l’attaccamento al presente e quindi ai nostri ritmi e stili di vita (anche se non ottimali) costituiscono una sorta di barriera emotiva che si oppone a qualcosa che può metterli in discussione o addirittura mandarli in frantumi.

Questo dimostra che la nostra percezione della realtà è in larga parte ingannevole, non coerente, in una parola, errata. Nel nostro caso, il risultato è che quando i numeri del global warming (che rappresentano la correttezza dell’informazione scientifica) si incontrano con le difese della nostra psiche, la nostra capacità di elaborazione razionale subisce una battuta d’arresto impedendo la risposta proattiva e/o adattativa che dovremmo dare.

La realtà oggettiva e il funzionamento dei sistemi ecologici ci impongono dei limiti che non sappiamo/vogliamo accettare e questo ci rende particolarmente vulnerabili.

Ecco dunque perchè il messaggio di Greta è così importante.

Ricordandoci continuamente quanto poco tempo rimane per uscire dalla gigantesca criticità in cui ci siamo messi, la giovane attivista svedese opera una costante azione di consapevolezza finalizzata a rimuovere gli ostacoli psicologici profondi che ci impediscono di prendere veramente sul serio il disastro annunciato che abbiamo messo in moto.

Undici anni dunque, un tempo esiguo nel quale una volta destati dal sonno in cui siamo caduti è necessario intraprendere tutte le azioni utili a non superare il limite che ci è stato indicato, incamminandoci su un percorso di responsabilità universale, razionale e compassionevole in cui riconoscere che la nostra specie è semplicemente parte di un tutto, nodo di una rete, tessera di un mosaico e non quella che imporrà l’estinzione di massa che ha avviato.

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