Hai fatto davvero un affarone?

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Quando andiamo in un negozio e troviamo un pantalone a 10€, pensiamo di aver fatto un buon affare. Lì per lì potrebbe essere vero, ma abbiamo mai pensato come mai costa così poco?
Proviamo a togliere il margine di guadagno del negozio al dettaglio, poi quello del grossista, e nel caso i cui grossista e produttore non siano la stessa ditta occorre logicamente decurtare anche il margine del produttore. Se questo poi (com’è probabile) si trova in un paese straniero, magari asiatico, occorre anche calcolare le spese per il trasporto della merce fino da noi in Italia. Tenete conto che in normali condizioni (cioè in assenza di saldi, sconti eccezionali, stock di merce da fallimenti eccetera) un ricarico ragionevole per ogni passaggio della filiera commerciale si aggira intorno al 30/40% a stare bassi.
Capirete voi tutti che dai 10€ iniziali rimane molto poco (letteralmente spiccioli), e quel poco è la paga di coloro che hanno materialmente lavorato e cucito quel pantalone. E’ quindi logico dedurre che il prodotto è stato confezionato in un paese dove gli operai vengono pagati una frazione di quello che guadagnano i nostri. Lasciamo da parte considerazioni del tipo sfruttamento, lavoro di bambini, schiavismo e simili, perché comunque almeno in parte lo stipendio di operai di paesi lontani è minore anche per motivi diversi e di origine socio-politica. La questione è un’altra: quando paghiamo così poco per un capo, dobbiamo per forza comprendere che in verità non si alimenta l’economia nazionale (o perlomeno non quella regolare e più tutelata).
Chi di voi lavorerebbe dodici ore al giorno per guadagnare un euro all’ora? Siamo tutti liberi di comprare quello che ci pare – sia ben chiaro – ma quando lo facciamo rendiamoci conto delle conseguenze che comporta. Non lamentiamoci del fatto che il “made in Italy” non è ben tutelato se poi compriamo cose evidentemente prodotte chissà dove, tutto qui.
Cosa c’entra questo con la decrescita? C’entra, eccome se c’entra: è meglio comprare poche cose ma buone: hai una maggiore qualità, stai più tranquillo e sei meno schiavo delle continue mode che impongono di cambiare continuamente e di far durare le cose sempre meno. Magari fai crescere meno il PIL ma almeno ti godi di più la vita.
Hai speso solo 10 euro, ma “Hai fatto davvero un affarone”?

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Nato nel 1969 a Pesaro, nel 1988 mi sono diplomato come Perito Turistico e nel ’93 ho completato un corso di Operatore di Marketing per PMI. Dopo quarant’anni vissuti sulla riviera romagnola a Cattolica, mi sono sposato e trasferito nelle Marche a Fermignano, vicino ad Urbino. Entrato molto presto nel mondo del lavoro (più per necessità che per scelta), ho avuto modo di notare con dispiacere che alla medesima domanda, ovvero: “Cosa serve per vivere?” una volta avremmo risposto “Un tetto, cibo ,acqua e la salute”, mentre ora semplicemente “Servono i soldi”. Questa triste constatazione mi ha fatto capire di essere decrescentista già prima di aver conosciuto il termine.

6 Commenti

  1. Quello che a miei occhi risulta incomprensibile, è la radicale contraddizione fra la società occidentale, razionale per eccellenza, e i comportamenti che produce, assolutamente irrazionali. L’articolo di Mirko sottolinea la schizzofrenia comportamentale, ormai di massa, di chi agisce privato completamente della consapevolezza critica e non della volontà che rimane comunque.

    • Ciao Claudio, interessante la sintesi che fai della situazione, e il concetto che porti alla luce, ovvero quello della schizzofrenia comportamentale. come dire – in parole terra-terra – che predichiamo bene ma alla fine razzoliamo male…

  2. Interessante il post ma il discorso potrebbe filare anche al rovescio!!
    Proviamoci!
    “Quando andiamo in un negozio e troviamo un pantalone a 200 €, pensiamo di aver acquistato un capo di qualità che ci durerà per molto tempo. Anche la firma è una garanzia è un segnale di attenzione a come ci vestiamo. Ne siamo orgogliosi!!
    Lì per lì potrebbe essere vero, ma abbiamo mai pensato come mai costa così tanto?
    Proviamo a togliere il margine di guadagno del negozio al dettaglio, poi quello del grossista, e nel caso i cui grossista e produttore non siano la stessa ditta occorre logicamente decurtare anche il margine del produttore. Se questo poi (com’è probabile) si trova in un paese straniero, magari asiatico, occorre anche calcolare le spese per il trasporto della merce fino da noi in Italia.
    ….
    Sappiamo comunque che la maggior parte delle grandi firme delocalizza nei paesi “in via di sviluppo”e che solo qualche punto percentuale del prezzo di vendita, al massimo qualche € (letteralmente spiccioli), costituisce il costo del prodotto vero e proprio. Da quel poco, tolto il costo dei materiali, rimane la paga di coloro che hanno materialmente lavorato e cucito quel pantalone. A prescindere dal prezzo di partenza spesso risulta che il prodotto è stato confezionato in un paese dove gli operai vengono pagati una frazione di quello che guadagnano i nostri. Il prezzo finale non è minimamente legato al costo di produzione perchè la maggior parte valore aggiunto è costituito da fattori immateriali. Lasciamo da parte considerazioni del tipo sfruttamento, lavoro di bambini, schiavismo e simili, perché comunque almeno in parte lo stipendio di operai di paesi lontani è minore anche per motivi diversi e di origine socio-politica. La questione è un’altra: quando paghiamo così tanto per un capo, dobbiamo per forza comprendere che in verità non si instaura un ciclo virtuoso per l’economia nazionale (o perlomeno non quella che ci piacerebbe fosse incentivata ovvero la manifattura, il saper fare, l’artigianato etc) ma quasi sempre i grandi margini e i grandi costi servono per pagare e generare profitti (quanto leciti o meglio quanto etici?) derivanti da rendite specifiche. Una rendita è quella del brand ad esempio ovvero della firma che pervade il ns immaginario a suon di pubblicità, un altra e quella della “presentazione”, il bel negozio nel centro storico della grande città o in una posizione strategica del nuovo centro commerciale completamente condizionato e illuminato ad hoc, entrambi scontano affitti stratosferici o investimenti stellari, le ragazze ti accolgono gentilmente e il servizio è di qualità (sempre giovani e carine le commesse), l’atmosfera è di lusso, almeno per un momento ti sentirai soddisfatto, non devi nemmeno toccare nulla basta indicare e sarai servito. Anche la borsa che ti daranno per trasportare i tuoi pantaloni, accuratamente ripiegati, non sarà un semplice sacchetto ma almeno una bella borsa di cartoncino con i manici in spago e colori eleganti. Quasi sicuramente ti daranno un catalogo o un qualche depliant illustrato, la carta è sempre spessa e la grafica è molto curata.
    La confezione per trasportare i pantaloni sarà parte dell’acquisto , parte di quella esperienza ed emozione tanto da gioirne nell’attraversare la città o la scala mobile del centro commerciale.
    Siamo tutti liberi di comprare quello che ci pare – sia ben chiaro – ma quando lo facciamo rendiamoci conto delle conseguenze che comporta. Non lamentiamoci del fatto che il “made in Italy” non è ben tutelato se poi compriamo cose sulla base del prezzo o di una qualità percepita che spesso non c’entra nulla con il prodotto acquistato.
    Cosa c’entra questo con la decrescita? C’entra, eccome se c’entra: è meglio comprare prodotti di cui conosciamo direttamente l’origine, fuori dai grandi circuiti commerciali, spesso il prezzo è anche contenuto e la qualità è maggiore , stai più tranquillo e sei meno schiavo delle continue mode che impongono di cambiare continuamente. Magari fai crescere meno il PIL ma almeno ti godi di più la vita e quello che hai risparmiato lo puoi impiegare per alimentare una economia più sana che da più occupazione ad esempio comprando cibi biologici a filiera corta anche se possono costare un pò di più.
    Hai speso 200 euro, ma “Hai fatto davvero un acquisto di qualità”?
    PS nel frattempo la borsa e il depliant che ti hanno dato in negozio sono già diventati rifiuto!!

    • ciao Walter, il tuo commento (che potrebbe essere postato come un articolo a sè stante, tant’è articolato), indica in effetti l’altro lato della medaglia. Gli esempi di Made in Italy perlomeno “discutibili” sono innumerevoli, e in effetti molte sono le volte che ci troviamo a spendere ingenti somme per articoli che non valgono certo quello che l’abbiamo pagato. Si tratta di una questione che presenta due lati della medaglia: uno l’ho tirato fuori io ed uno tu. Dovremmo perlomeno diventare dei consumatori più attenti, anzi dei “consumaTTori”, e cominciare a fare le pulci a chi se ne approfitta.
      Mirko

  3. Il punto è che ormai viviamo in un mondo di cineserie dove non è più possibile fare distinzioni quindi l’unica discriminante è la nostra valutazione che stabilisce se i soldi spesi sono adeguati al prodotto acquistato. Se il Made in italy fosse tutelato le nostre scelte sarebbero quantomeno consapevoli. E per Made in italy non intendo la fabbricazione all’estero e le finiture in Italia!!!

  4. Assolutamente condivisibile, ma se il gap tra la merce a basso costo e quella di qualità è enorme, non sempre è facile poterselo permettere…..e poi: prezzi più alti nn sempre significa maggiore qualità o filiere garantite, no?

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