Rischio alimentare o nutrizionale?

4
2505

OLYMPUS DIGITAL CAMERAMio padre racconta che alla fine della seconda guerra mondiale le case delle famiglie dei soldati americani e inglesi di stanza in Germania erano iper sterilizzate, ma i loro bambini soffrivano molto spesso di diarrea, i bambini tedeschi invece, le cui case erano molto meno igienizzate, avevano, con duplice soddisfazione dei genitori, molto più raramente questo problema.
In questo articolo propongo una distinzione tra un rischio alimentare acuto, che deriva dall’assunzione tramite gli alimenti di tossine o agenti infettivi e un rischio nutrizionale di lungo periodo, che deriva dalla qualità degli alimenti assunti, nella fattispecie dalla mancata “contaminazione” dei cibi stessi con l’ambiente. I due rischi sono in linea di principio opposti, cioè tanto più ci cauteliamo dal primo tanto più incappiamo nel secondo.
Cercherò di chiarire il concetto portando l’esempio del latte crudo.
Il Centers for Desease Control and Prevention del Governo degli USA scrive nel suo sito:
“Prima dell’invenzione e dell’affermazione della pastorizzazione il latte crudo era una fonte frequente di infezioni batteriche che causavano tubercolosi, difterite, pesanti sindromi da streptococchi, febbre tifoide e altre malattie di origine alimentare. Queste malattie uccidevano molte persone ogni anno, specialmente giovani. Nel corso del XX secolo molte madri riconobbero questo rischio e presero l’abitudine di bollire il latte (portandolo a una temperatura di 100°C) prima di darlo ai propri figli neonati e giovani. Molti studi hanno mostrato che la pastorizzazione non modifica significativamente il valore nutrizionale del latte – il latte pastorizzato è ricco in proteine, carboidrati e altri nutrienti. Il calore degrada leggermente solo poche vitamine del latte – tiamine, vitamina B12 e vitamina C – ma il latte è solo una fonte secondaria di tali vitamine.” [1]
Ciò è in sostanza vero, ma non tiene conto di un fattore importante.
Riporto da Wikipedia: [2]
“Il microbiota umano è l’insieme di microorganismi simbiontici che si trovano nel tubo digerente dell’uomo.
Il desueto termine flora intestinale non è del tutto corretto in quanto si tratta prevalentemente di batteri mentre il termine flora evoca piuttosto il regno vegetale nel quale, nei tempi passati, erano classificati i batteri; aggiungendo che non si tratta soltanto di microbiota intestinali, ma egualmente anche gastrici, ed altri (bocca, gola, etc..), anche il termine umano è preferibile a intestinale per descrivere più fedelmente la natura simbiontica del microbiota.
Alla nascita il tratto digerente dei neonati è completamente sterile e viene colonizzato immediatamente, a partire dal parto, dai microorganismi con cui viene in contatto provenienti dal tratto riproduttivo e fecale della madre; successivamente i batteri provengono dall’allattamento, dall’ambiente, ed in fine dai cibi che nel tempo ingerirà.”
Ecco dunque che il latte pastorizzato essendo privato del suo contenuto batterico, nel quale possono annidarsi certo pericolosi patogeni, è privato però anche di una serie di potenziali alleati del nostro metabolismo: infatti se tali m.o. vivono nel latte, vivono anche del latte, cioè lo degradano parzialmente a favore anche del nostro metabolismo digestivo.
E’ risaputo che “la flora batterica intestinale è direttamente coinvolta in un gran numero di importanti funzioni che possono essere riassunte in metabolica, nutritiva, protettiva e immunologica: il sistema, infatti, favorisce l’assimilazione degli alimenti e la digestione, assicura la regolarità intestinale, produce vitamine e altre sostanze importanti per il buono stato di salute dell’intestino, regola la funzione del sistema immunitario. La relazione tra la flora batterica intestinale e l’organismo umano è infatti di tipo mutualistico: ciascuno trae vantaggio dall’altro e, al contempo, procura un beneficio.” [3]
Pertanto la crescente incidenza di intolleranze alimentari verso latte e latticini potrebbero derivare dal consumo di latti pastorizzati che non permettono più l’ingresso di microorganismi che vivono demolendo il latte e continuano ad assolvere a tale funzione anche nel nostro apparato digerente.
Diversi studi scientifici dimostrano la forte correlazione negativa tra asma, allergia e intolleranze alimentari e consumo di latte crudo. [4]
Ciò a rigor di logica se vale per il latte, vale anche per molti altri alimenti dai succhi, alla frutta, alla verdura e probabilmente per altri ancora.
L’eccesso di prevenzione ci priva dunque di preziosi alleati del nostro metabolismo e favorisce i problemi digestivi e nutrizionali.
Si pone dunque la questione: è possibile evitare i trattamenti preventivi e garantire la sicurezza alimentare senza rinunciare a quella nutrizionale?
Sì, promuovendo la filiera corta e al contempo dotando anche le piccole strutture degli strumenti o dei servizi di controllo necessari.
Nei distributori automatici di latte crudo vi è l’avvertenza “prodotto da consumarsi dopo bollitura”, che certo non aiuta il consumatore a decidere per l’acquisto. Ma la sicurezza del prodotto può essere promossa alla stalla cominciando con un’alimentazione sana, con un ambiente pulito e tendenzialmente vicino a quello naturale (stabulazione libera) e arrivando obbligatoriamente ad accurati controlli sul prodotto finale. Il brevissimo tempo tra la mungitura e il consumo, che si realizza nei distributori di latte crudo, è un altro elemento essenziale per il contenimento della carica microbica. Non potrà mai esserci una garanzia al 100% (nemmeno per il latte pastorizzato del resto c’è), ma abbassando significativamente il livello di rischio sarà possibile consigliare la bollitura solo per i bambini più piccoli o per soggetti con specifici problemi di salute permettendo così l’ingresso dei m.o. naturali e benefici nei nostri apparati digerenti.
Così per tutti gli altri prodotti l’autoproduzione, il fresco, i trasformati artigianali garantiscono, rispetto a quelli industriali, una qualità del cibo superiore non solo organoletticamente e in termini di valore nutritivo, ma anche di apporto al microbiota, il che aumenta ulteriormente il valore nutritivo e può evitare molti disturbi alimentari.

[1] testo originale “Before the invention and acceptance of pasteurization, raw milk was a common source of the bacteria that cause tuberculosis, diphtheria, severe streptococcal infections, typhoid fever, and other foodborne illnesses.  These illnesses killed many people each year, especially young children.  In the 1900s many mothers recognized this risk and would boil milk (bringing it to a temperature of 212°F) before giving it to their infants and young children.
Many studies have shown that pasteurization does not significantly change the nutritional value of milk – pasteurized milk is rich in proteins, carbohydrates, and other nutrients. Heat slightly affects a few of the vitamins found in milk–  thiamine, vitamin B12, and vitamin C– but milk is only a minor source of these vitamins.”
Fonte: http://www.cdc.gov/

[2] alla voce “microbiota umano”.

[3] http://magazine.paginemediche.it

[4] http://www.slowfood.com/slowcheese/eng/17/Benefits

CONDIVIDI
Articolo precedenteCHE FARE ? Visibilità mediatica della decrescita e azione politica
Articolo successivoCosì parlò Pasolini…
Laurea in scienze agrarie, dottorato di ricerca in economia del sistema agroalimentare, sta avviando un'attività agricola autonoma. Scrittore dilettante pubblica racconti e poesie nel suo blog (http://debolisegnali.blogspot.it/). Fortemente orientato a decrescere felicemente.

4 Commenti

  1. Non sono in grado di entrare nel merito degli aspetti biochimici del latte.
    Personalmente, ogni sabato mattina, vado in un caseificio vicino a casa mia ed acquisto cinque litri di latte.
    Il latte, proviene dalla stalla soprastante il caseificio.
    Appena munto viene refrigerato per impedire che il lattosio aumenti.
    Poi viene spillato dall’autoclave, posto in appositi recipienti di rame a intercapedine; all’interno della quale scorre vapore.
    Con due stazionamenti: a 17 gradi e a 48 gradi, avviene la distruzione della carica batterica e , per via dell’aggiunta del caglio, il fenomeno della coaugulazione.
    Dopo rottura della cagliata, nel volgere di qualche minuto, si ha una dissociazione in “latticello” e parti solide che precipitano.
    Con quest’ultime, una volta raccolte con un canovaccio, si confeziona il Parmigiano Reggiano DOP di montagna.

    Prima che il latte venga lavorato, io prelevo i miei cinque litri.
    A casa scaldo il latte a 80 gradi e raffreddo rapidamente, prima di mettere in frigo per la conservazione.
    Con una parte del latte , utilizzando i batteri conservati, preparo lo yougurt e, col latticello del parmigiano, associato a mezzo litro di latte, preparo la ricotta.

    Le mucche sono stallate libere di muoversi. Vengono nutrite con fieno del posto. In caso di malattia, vengono curate con omeopatia e senza farmaci chimici ( il titolare dell’azienda è veterinario).
    Quand’anche succedesse, la vacca ammalata viene tolta dal ciclo di produzione del latte fino a guarigione.

    Purtroppo, ed ha perfettamente ragione Gerhard, nei processi industriali si eccede in sterilizzazioni.
    Per esempio, il miele industriale viene portato a 85 gradi per impedire la cristallizzazione.
    Si pone molto l’accento sui metodi di conservazione ma non si bada affatto alla filiera da cui il miele proviene: per lo piu’ di importazione ( quello industriale). Tutto è standardizzato.
    Naturalmente a scapito delle qualità organolettiche e del valore nutrizionale.

    Eppure, nell’immaginario collettivo, i prodotti industriali, spesso pieni di grassi idrogenati e conservanti, sono preferiti a quelli artigianali del contadino; presupponendo il fatto che siano piu’ “igienici”.

  2. io lo latte non lo voglio più neanche vedere. mi sono accorto che levando il latte e derivati dalla mia dieta sto meglio. in più c’è il dibattito del china study e alcune evidenze scientifiche che vanno a discapito del latte. quale altra specie animale si nutre di latte di un’altra specie animale dopo lo svezzamento? il latte materno ha uno scopo nel periodo neonatale per favorire la crescita e poi basta. dobbiamo ancora crescere ad una certa età? quello che aumenta è la moltiplicazione cellulare con rischio di insorgenza di tumore, senza contare che è grasso, acidifica ed è legato allo sfruttamento di un animale. il latte della mucca è per il vitello, no vitello- no latte. noi ci sentiamo il diritto di farne di loro quello che ci pare, non mi sembra una cosa giustissima. poi VOI fate come vi pare

    • personalmente, condivido. Tutta la mia famiglia ha eliminato latte e derivati e consumiamo invece piccole quantità di bevande di soia, farro, riso e di tofu. Non è detto però che a tutti latte e latticini in modica quantità facciano male, dipende molto dal patrimonio genetico e un po’ dal microbiota. Per quanto riguarda il discorso dello sfruttamento poi le vacche da latte che abbiamo oggi sono animali che non esistono in natura: consumano quantità di energia che solo diete a base di mangimi possono fornire e producono quantità di latte che nessun vitello riuscerebbe a bere. Se smettiamo di utilizzare il loro latte che ne facciamo di questi animali?

  3. I pareri sulla “pericolosità” del consumo del latte sono quanto mai controversi.
    Ho letto anch’io studi dai quali si evince un aumento della probabilità di tumori alla prostata per chi consuma latte e derivati.
    Come statistico sono piuttosto scettico e molto cauto su questi studi.
    Prima di tutto il test dell’ipotesi fornisce risultati condizionati dal disegno sperimentale.
    Se le variabili considerate sono poche o poco significative è probabile che alcune, tra le quali il consumo di latte, assumano un’importanza eccessiva che, in un corretto modello multivariato, non avrebbero.

    Banalizzando: io consumo latte, non fumo, non bevo alcoolici, conduco una vita sobria, molto movimento, vivo in campagna dove gli inquinanti sono molto bassi, sono di piu’ o a meno rischio di un soggetto che non beve latte, fuma, consuma alcolici, fa vita sedentaria e abita in centro a Milano ?
    Vero, consumo latte e derivati ( che mi faccio in casa) ma consumo anche tanti pomodori del mio orto, ricchi di licopene (notoriamente antitumorale e protettore della prostata) come consumo moltissima verdura ( in modo particolare crucifere)che autoproduco.
    I detrattori del latte sono così sicuri di ciò che acquistano al supermercato, a cominciare dai germogli di soia?

    Dunque, a mio avviso, bisogna evitare allarmismi e generalizzazioni.

    A Gerhard dico, pure trovando correttissima la sua analisi, che non tutte le vacche sono allevate allo stesso modo.
    La stalla da cui vado io è proprietà di un veterinario. Le vacche, pure essendo frisone, hanno un peso corporeo che è pressochè la metà di quelle di stalla di pianura. Sono stallate libere perchè ciò fa parte del disciplinare della produzione di Parmigiano Reggiano DOP di montagna.
    Le bestie vengono nutrite coi soli prodotti dell’azienda agricola, curate con medicine omeopatiche, in caso di bisogno.
    Per giunta le mucche ammalate vengono tolte dal ciclo di mungitura fino a guarigione.

    Poi, chi è contrario al latte lo può essere per molti motivi ma, per altrettanti, si può ritenere che un consumo ragionevole apporti benefici all’organismo.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.