Critica della ragione agroindustriale #1: introduzione

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L’estate scorsa, dopo la pubblicazione di uno dei soliti interventi della biologa/senatrice a vita Elena Cattaneo contro l’agricoltura biologica su di un inserto di Repubblica, mi sono deciso a scrivere un contributo sul quale meditavo da tempo, descrivente la condizione del sistema alimentare, i danni e i limiti dell’agricoltura industriale, le potenzialità del biologico e delle alternative all’agroindustria.

Ultimata la bozza verso la fine di ottobre, l’ho sottoposta alla revisione di Jacopo Simonetta, amico ecologo con cui condivido, insieme ad altri, il blog Apocalottimismo. Lui, pur riconoscendo diversi meriti, ha evidenziato la presenza di toni talvolta troppo apodittici per farne un vero e proprio testo di divulgazione scientifica; si è proposto di rielaborarne con me alcune sezioni per renderle più adeguate. Siccome si lavora insieme su svariati progetti  in contemporanea e spuntano sempre nuove priorità, ho paura che accantonandolo possa fare la fine di altre intuizioni del passato che, ahimé, abbiamo dovuto sacrificare sull’altare delle urgenze e della mancanza di sufficiente tempo libero, rimandando alle proverbiali calende greche.

Siccome mi spiacerebbe che mesi di lavoro andassero perduti, ho perciò deciso di pubblicare Critica della ragione agroindustriale (questo il titolo) a puntate qui su DFSN (in linea di massima intendo farne uscire una a settimana), che dei blog a cui collaboro è senza dubbio quello dal carattere più ‘militante’ e pertanto il più adatto a ospitarlo. In ogni caso, i lettori troveranno sicuramente materiale informativo interessante e utile per approfondire e perfezionare quanto da me svolto, un contributo sicuramente ‘di parte’ ma abbondantemente argomentato.

(Qui i link alle altre nove puntate: (Critica della ragione agroindustriale #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8#9)

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INTRODUZIONE

Ad ogni modo, quando un argomento è molto controverso… non si può sperare di dire la verità. Si può soltanto dimostrare come si è giunti ad avere la propria opinione, qualunque essa sia. Si può solo offrire al pubblico la possibilità di trarre le proprie conclusioni mentre prende nota delle limitazioni, i pregiudizi e le peculiarità dell’oratore. (Virginia Woolf, Una stanza per sé)
Per chi non vanta titoli di studio legati all’agronomia e non può quindi rivendicare alcun tipo di auctoritas, il consiglio di Virginia Woolf rimane l’unica maniera valida per discutere sensatamente di agricoltura – come di qualsiasi altro argomento – senza ovviamente alcuna garanzia di persuasione, malgrado abilità argomentative e qualità delle informazioni fornite alla discussione. Tanto vale allora defilarsi lasciando ogni onere agli esperti?
In realtà, se un curriculum agronomico fosse una condizione indispensabile, si troverebbero a mal partito molti dei più noti e apprezzati opinion maker del settore, di qualsiasi ‘tendenza’: rimanendo nel panorama italiano, si pensi al chimico Dario Bressanini o al fondatore di Slow Food Carlo Petrini, interessatosi in gioventù agli studi sociologici prima di dedicarsi all’enogastronomia e da qui alle questioni agricole. Inoltre, esternazioni di esimi esponenti delle scienze naturali non collegate direttamente all’agricoltura (in particolare fisici e biologi) ottengono grande visibilità, dando per scontato che una prestigiosa reputazione accademica testimoni sufficientemente la capacità di poter discernere con avvedutezza dell’argomento, pur non possedendo qualifiche ad hoc.
Elena Cattaneo incarna perfettamente questo tipo di figura. Biologa molecolare e farmacologa di fama – a suo nome più di 100 pubblicazioni indicizzate su autorevoli riviste specializzate, quali Science, Nature, Nature Genetics, Nature Neuroscience, Journal of Neuroscience, Journal of Biological Chemistry – nel 2013 è stata nominata senatrice a vita per meriti scientifici dal presidente Napolitano (a oggi, la più giovane ad aver ricevuto l’onorificenza). Nella sua attività parlamentare, si è segnalata per proposte finalizzate a rilanciare la ricerca sugli OGM, conducendo parallelamente tramite i mass media una campagna aggressiva contro l’agricoltura biologica, in difesa delle tecniche convenzionali e in favore della transgenesi. Un carneade qualsiasi, prima di esporre le proprie osservazioni, non dovrebbe trovare l’umiltà di ascoltare e (forse) imparare da lei?
Accantoniamo allora momentaneamente le velleità di divulgatori ed esaminiamo uno dei tanti interventi della senatrice sulla stampa generalista, ad esempio l’articolo apparso il 21 luglio del 2018 sull’inserto D del quotidiano Repubblica, intitolato ‘Il biologico? Sì, fa bene. Ma solo a chi lo produce’ (figura 1) e leggiamolo sospendendo completamente l’incredulità, alla maniera di persone totalmente a digiuno di nozioni sull’agricoltura che si informino per la prima volta tramite questo contributo, fidandosi ciecamente di quanto scritto (gli inserti dei quotidiani, del resto, sembrano pensati proprio per lettori con simile forma mentis). Che cosa apprendiamo allora dalla sua dissertazione?
Figura 1
Sintetizzando, nel mondo descritto dalla Cattaneo il panorama agricolo è suddiviso in due categorie, una sovvenzionata che ricorre a pratiche arcaiche sotto l’etichetta di ‘biologico’ e una in regime di libera concorrenza impiegante le tecniche intensive, capaci di offrire un prodotto più economico e rispettoso dell’ambiente, aspetto ulteriormente migliorabile diffondendo l’uso di sementi geneticamente modificate per resistere ai pesticidi.
Adesso, pur nel massimo rispetto dell’autrice, riprendiamo almeno parzialmente possesso dello spirito critico, analizzando il testo con riferimento a ‘limitazioni, pregiudizi e peculiarità’ a cui accenna la Woolf. Senza nulla togliere alla brillantezza espositiva, nella verve polemica della Cattaneo non si ritrova granché del rigore e dell’obiettività caratteristici della letteratura scientifica, pare piuttosto di leggere un’aggressiva pubblicità comparativa in stile americano, dove si confrontano due prodotti incensando l’uno e mettendo alla berlina l’altro, con tanto di testimonial famoso per accaparrarsi la fiducia del pubblico.1In molti, pur non essendo candidati al Nobel o particolarmente integrati nel settore agricolo, avranno ad esempio sentito puzza di bruciato sul modo di presentare il tema degli incentivi. Tutta l’agricoltura si regge di su di una vasta (e dispendiosa) rete di sovvenzioni su cui gravano non poche opacità, a partire dalla principale forma di sostegno economico, ossia la PAC (Politica Agricola Comunitaria). Innanzitutto, a causa dei complessi oneri burocratici le piccole imprese faticano ad accedere ai fondi, che talvolta invece finiscono nelle casse della criminalità organizzata;2 per di più, secondo l’economista Alan Matthews, essa funziona alla stregua di un ‘welfare per ricchi’: infatti, rielaborando dati della Dg Agri della Commissione europea, ha calcolato che circa il 55% dei pagamenti diretti della PAC è riservato ai 750.000 agricoltori con il reddito più elevato.3
Il pascolo incolto sussidiato non è certo edificante, ma lo stesso dicasi per i quintali di frutta e verdura lasciati periodicamente a marcire (insieme ai soldi dei contribuenti) quando i prezzi subiscono eccessivi ribassi, situazione a cui forse si potrebbe ovviare tramite una gestione più equa e oculata della PAC. Insomma, il rilievo critico sui sussidi ricorda un po’ troppo quello proverbiale del bue che si permette di dare del cornuto all’asino.
Tuttavia, fossilizzarsi su tale insinuazione significherebbe mostrarsi altrettanto o più faziosi della senatrice, essendo un chiaro tentativo di sviare dal punto focale della sua esposizione. Se il quadro descritto dalla Cattaneo, al di là delle esagerazioni retoriche, corrispondesse sostanzialmente alla verità, non esisterebbero infatti ragioni valide per opporsi all’agricoltura industriale,4per cui, non volendo rimanere prigionieri di ideologismi, bisognerebbe semplicemente prenderne atto e adeguarsi. Riassumendo i ragionamenti avanzati da chi condivide la posizione della senatrice a vita, possiamo delineare, facendo il verso a Kant, una ragione agroindustriale fondata sui seguenti capisaldi:
  • necessità di incrementare la produzione agricola per fronteggiare l’attuale problema della denutrizione e il prossimo aumento demografico;
  • esaltazione del carattere sostenibile delle tecniche intensive;
  • utilizzo delle sementi transgeniche per migliorare prestazioni produttive e difendere l’ambiente;
  • denuncia dell’inefficienza dell’agricoltura biologica e delle alternative al modello industriale.
Ecco quindi la ragion d’essere degli articoli che seguono: verificare – riprendendo pieno possesso delle facoltà critiche e argomentando nel modo corretto – l’aderenza di tale narrazione alla realtà. A cominciare dalla questione più spinosa, rimasta finora sullo sfondo: perché, a sessantanni di distanza dalla Rivoluzione Verde celebrata nell’articolo, la denutrizione rappresenta ancora un dramma concreto per centinaia di milioni di esseri umani? (continua)

 

1La Cattaneo non è certo il primo esponente mondo della ricerca che, quando prende posizione su qualche causa controversa attraverso la stampa generalista (transgenesi o energia nucleare, ad esempio), assume posizioni semplicistiche e manichee totalmente contrastanti con la ponderazione mostrata nella produzione scientifica.

2www.repubblica.it/economia/2017/10/01/news/il_paradosso_dei_fondi_per_l_agricoltura_che_rischiano_di_andare_alla_mafia_e_non_agli_agricoltori-176658036/

3www.olioofficina.it/societa/incursioni/la-grave-stortura-della-pac.htm

4In questa sede con ‘agricoltura industriale’, ‘intensiva’ o ‘convenzionale’ si intende, sulla scorta delle indicazioni di Gliessman (2007), un paradigma agricolo basato su aratura intensiva, monocultura, fertilizzazione sintetica, irrigazione, pesticidi chimici, manipolazione del genoma.

(fonte immagine in evidenza: The Money Tree, di Winston Smith)

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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