OGM: il re è nudo? – Terza parte

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OLTRE GLI STATI UNITI E RIFLESSIONE CONCLUSIVA

L’80% dei prodotti OGM commercializzati nel mondo proviene da tre nazioni: USA, Argentina e Brasile. Si sono sprecati innumerevoli peana sui recenti exploit produttivi  dei due colossi sudamericani, inneggianti a presunti miracoli che – pari pari a quanto avviene analizzando i risultati statunitensi – perdono qualsiasi aura di prodigio non appena si scopre come sono stati realizzati. E’ sufficiente esporre qualche dato significativo.

argentina-1994-2015brasile-1994-2014Fonti: FAOSTAT e IFADATA

Queste cifre testimoniano, oltre a una massiccia deforestazione, di un’agricoltura dove, in perfetto stile Rivoluzione Verde, la produttività cresce parallelamente al consumo di fertilizzanti e pesticidi. Come se non bastasse, nel mix di fertilizzanti è considerevole la quota di fosforo (42,8% in Argentina e 33,3% in Brasile; fonte: Assessment of Fertilizer Use by Crop at the Global Level 2010-2010/11), elemento prossimo al picco di produzione. In queste condizioni, parlare di sostenibilità è semplicemente una barzelletta di cattivo gusto.

OGM: un giudizio complessivo

Gli OGM non sono stati progettati con intenti ecologici, bensì per massimizzare la produzione ottimizzando l’uso di risorse il cui impiego è forse inferiore rispetto alle sementi convenzionali, ma sicuramente più vincolante. Trattandosi per lo di più di elementi non rinnovabili, essendo sintetizzati da idrocarburi o estratti da minerali, l’agricoltura industriale 2.0 si rivela un enorme gigante dai piedi di argilla che oggi può anche decantare primati senza precedenti, ma dal destino inesorabilmente segnato. Ecco quindi la totale insensatezza dei refrain “senza OGM sarebbe peggio”; per riprendere un paragone già espresso nella premessa, anche se un SUV presenta un rapporto consumo/potenza decisamente più vantaggioso di un’utilitaria degli anni Cinquanta, nessuno ne decanta le virtù ambientali, perché tale constatazione non cambia di una virgola le problematiche legate allo sfruttamento del petrolio e all’inquinamento atmosferico.

Tirando le somme, da questa breve disamina a puntate è emerso come l’attuale dibattito mediatico sulle prestazioni degli OGM sia totalmente falsato, perché prescinde dal contesto agricolo in cui le sementi vengono impiegate, dal suo sviluppo tecnologico e agronomico. Dall’analisi comparata tra USA e Francia, la maggior produttività statunitense viene ridimensionata confrontando il trend del consumo di fertilizzanti degli ultimi trent’anni nei rispettivi paesi; nelle agricolture emergenti, numeri alla mano, l’impiego di input aumenta esponenzialmente con l’introduzione delle sementi transgeniche. Collocandosi il nuovo corso agricolo sulla strada già segnata dalla Rivoluzione Verde, se ne accentuano i pregi in termine di rese ma se ne aggravano i difetti, vedi anche il fenomeno della resistenza agli erbicidi, che ha raggiunto proporzioni incontestabilmente preoccupanti.

E allora che cosa proponi?

“Non vuoi gli OGM e l’agricoltura industriale? Allora come pensi di sfamare un pianeta che raggiungerà a breve i nove miliardi di abitanti? Fai una proposta costruttiva invece di dire sempre no!”

Questo tipo di critica è semplicemente insopportabile, specialmente quando proviene da persone che hanno sostenuto a spada tratta tutta una serie di false soluzioni che hanno tamponato l’emergenza senza risolverla, procrastinandola solo nel tempo. Più di quarant’anni fa, alcuni scienziati misero in guardia contro la totale insostenibilità della civiltà industriale ammaliata dalla chimera della crescita infinita, il Rapporto sui limiti dello sviluppo (1972) rappresenta probabilmente l’opera più compiuta in questo senso. All’epoca la popolazione globale era di quattro miliardi di persone e il degrado ambientale del pianeta decisamente inferiore a oggi, ragion per cui, con interventi tempestivi e opportuni, sarebbe stato possibile un ‘rientro dolce’ all’interno dei vincoli ecologici. Se ciò non è accaduto, una grossa fetta di responsabilità è da attribuire a chi ha spacciato la Rivoluzione Verde come  soluzione universale contro gli ‘incubi malthusiani’, deridendo qualsiasi preoccupazione volta a limitare demografia e consumi. Tale atteggiamento scellerato ci ha trascinato in un vicolo cieco dove qualsiasi ‘soluzione del problema’, cioé un rimedio a buon mercato e sostanzialmente indolore, è oramai una pia illusione.

Premesso ciò, è fuor di dubbio che qualsiasi ipotesi seriamente interessata a coniugare contenimento del danno ecologico ed esigenze umane non può provenire da persone il cui unico interesse è spremere più produttività possibile dalla terra, con o senza manipolazione genetica. L’unica forma mentis capace di azioni concrete deve superare l’ottica strettamente agronomica per abbracciare l’intera filiera del sistema alimentare, verificandone le criticità ecologiche e sociali. Produrre di più per sprecare di più, intensificare le resa per ettaro risparmiando terreno ma aumentando complessivamente l’emissione di CO2 del settore agricolo, trasformare realtà contadine a bassa produttività ma resilienti in sistemi agricoli fortemente dipendenti da input esterni, ecc. sono solo alcuni dei comportamenti radicati e abituali che bisognerebbe rigettare senza se e senza ma.

Lo sviluppo della tecnica di ingegneria genetica  CRISPR, detta anche ‘taglia e incolla’ o ‘fai da te’, che tra l’altro impedisce di riconoscere la manipolazione, sicuramente non favorirà alcun cambiamento di approccio e anzi rafforzerà l’idea di poter proseguire imperterriti con il business as usual. Che fare allora?

I progetti riguardanti permacultura, agricoltura biologica, filiera corta e riduzione dello spreco alimentare, nonostante innumerevoli difficoltà, stanno assurgenedo a realtà solide e concrete. Nel momento in cui il gigante agroindustriale dovesse collassare su se stesso, probabilmente non si dimostreranno un ‘piano B’ totalmente idoneo ma potrebbero rappresentare una seria alternativa al disastro, un po’ come un paracadute aperto a un’altezza più bassa di quella ideale: non ti risparmia una brutta caduta e un bel po’ di danni, ma se non altro ti salva da una fine certa e ti dà la possibilità, una volta superati i traumi più gravi, di ricominciare da capo su nuove basi.

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