TAV Valsusa: vecchie verità e nuove bugie

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Si sperava che la divulgazione del Rapporto di verifica dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione finalmente facesse piazza pulita delle polemiche strumentali verso chi da anni avanza critiche argomentate contro la linea TAV Torino-Lione, con particolare riferimento al mega tunnel con cantiere a Chiomonte, in Valsusa. Vana illusione purtroppo, si rimane comunque sconcertati di fronte a commenti come i seguenti, pensando anche a dove sono stati pubblicati (gruppo Facebook del Movimento per la decrescita felice):

 

Eccoci quindi a fronteggiare nuove speculazioni.

TAV amica dell’ambiente e traffici stellari

La difesa di questa grande opera si è sempre basata sull’assunto, apparentemente ispirato al buon senso ambientalista, “treno buono/camion cattivo”. Perforare una montagna per 57 chilometri comporta però importanti oneri ecologici (in parte testimoniati dalla costruzione delle più contenute gallerie appenniniche della TAV), giustificabili (anche in termini economici) solo prospettando un aumento degli scambi ben oltre la capacità della linea ferroviaria storica del Frejus e quindi destinati inevitabilmente al trasporto su gomma; sono più di quindici anni che, per avvalorare l’opera, sono state diffuse previsioni di crescita esponenziale. Finalmente l’Osservatorio prende atto che quelle ipotesi, da sempre contestate dai No TAV, si sono rivelate del tutto irrealistiche.

Fonte: Osservatorio governativo per il collegamento ferroviario Torino-Lione – Quaderno 2 “Scenari di traffico – Arco Alpino”

Come spiegare tanta discrepanza? A pag.58 del Rapporto si legge:

Le previsioni fatte e i parametri utilizzati rientrano nel campo di valutazioni tecniche che, essendo legate alla previsione di fenomeni incerti e di lungo periodo, non possono non avere un elevato margine di aleatorietà.
Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica di questi anni, che ha portato anche a nuovi obiettivi per la società, nei trasporti declinabili nel perseguimento di sicurezza, qualità, efficienza.

Buona fede o meno, le giustificazioni suonano decisamente deboli, così come è assai discutibile l’affermazione secondo cui

La vera ragione della costante diminuzione del traffico sulla Linea Storica è quindi la sua obsolescenza e non la riduzione dei traffici attraverso l’arco alpino occidentale. (pag.28)

Il traforo ferroviario, dopo un apice di 10 milioni di merci di tonnellate annue nel 1996-97, si è assestato su di un traffico inferiore (prima della crisi), poi ulteriormente ridotto anche a causa dei lavori di adeguamento del 2003-2011 (a cui il rapporto non fa cenno): nello stesso periodo, anche il traffico autostradale per la Francia attraverso il traforo piemontese e il tunnel del Monte Bianco si mostrava stagnante e molto al di sotto dei limiti operativi, smentendo quindi la teoria del surplus di merci non soddisfatto dalla ferrovia e costretto a viaggiare su camion.

L’Osservatorio attualmente enfatizza gli effetti della mini-ripresa economica in atto dal 2015, che però non sembra aver smosso più di tanto gli scambi Italia-Francia:  esaminando ad esempio i dati della SITAF sulla circolazione in entrambi i sensi del traforo del Frejus relativi all’ultimo triennio, il numero totale di autoveicoli si è attestato intorno a 1.7 milioni, ostanzialmente in linea con le punte massime dell’ultime decennio, ben lontano dalle cifre di inizio Duemila, quando si superavano abbondantemente i due milioni.

Per tornare alle previsioni di dieci anni fa, qualunque cosa sostenesse l’Unione Europea (sempre ottimo capro espiatorio!), gli analisti avevano sotto il naso un caso eclatante che avrebbe dovuto consigliare estrema prudenza nelle stime. Nel novembre del 2006, mentre in Italia si immaginavano scambi commerciali stellari, al di là delle Alpi la società Eurotunnel – proprietaria della galleria ferroviaria situata sotto il fondale del Canale della Manica  – si era salvata a stento dalla bancarotta, a causa di costi superiori ai preventivati e di riscontri di traffico inferiori alle aspettative, in particolare per l’insuccesso del movimento merci (la salvezza della compagnia è infatti arrivata dal trasporto passeggeri).

Andamento storico traffico Eurotunnel (fonte: parlamento britannico)

L’Eurotunnel, ricordiamolo, afferisce alla linea Parigi-Londra, con tutto il rispetto due metropoli strategicamente ben più importanti di Lione e Torino.

No TAV? Allora vuoi il raddoppio dell’autostrada!

L’autore del commento di Facebook riportato a inizio articolo non è stato l’unico a insinuare una correlazione tra il raddoppio del tratto autostradale del traforo del Frejus e le contestazioni al programma alta velocità. In realtà, il cantiere per i lavori è stato aperto nel 2009, grazie a finanziamenti speciali erogati in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006; insomma, una colata di cemento coeva al programma TAV e complementare a essa, rivelatrice di quanto importasse realmente ai committenti di queste opere disincentivare il trasporto su gomma. Pertanto, chi associa il raddoppio dell’autostrada del Frejus alle lotte dei comitato No TAV è ignorante o in malafede.

Brennero, altro che Val Susa!

A titolo informativo, esiste un comitato No TAV Brennero che si oppone alla costruzione di un altro mega tunnel di una sessantina di chilometri all’interno di un percorso che prevede di congiungere Verona e Innsbruck. Sul sito Web del movimento si possono leggere tutte le ragioni della contrarietà al progetto.

In questa sede segnaliamo soltanto l’insensatezza di paragonare Brennero e Frejus, in quanto il traffico di merci sul valico sudtirolese è oramai doppio rispetto a quello piemontese, avendo subito solo recentemente una lieve flessione, questa sì spiegabile con la crisi.

Fonte: DATEC (dipartimento elvetico per l’ambiente e i trasporti)

Ovviamente, siccome tutti e tre i principali valichi alpini italiani paiono aver raggiunto il picco di traffico all’inizio del 2000, è doveroso interrogarsi seriamente sull’opportunità di impegnarsi in opere esigenti pesanti oneri sul piano economico, sociale e ambientale.

TAV bocciata: bufala!

BUTAC, un sito di debunking molto valido ma che talvolta sembra troppo preoccupato a gettare acqua sul fuoco e a ‘normalizzare’ le controversie, in un articolo ritiene che le valutazioni dell’Osservatorio non vadano intese quale bocciatura del progetto bensì come semplice invito ad accantonare la costruzione di infrastrutture complementari all’opera, ritenute non necessarie.

E’ bene partire dal presupposto che non è possibile affrontare l’argomento del mega tunnel di Chiomonte con lo stesso spirito con cui si analizza la costruzione di un viadotto di una cittadina di provincia. Parliamo infatti di un progetto dove sono in ballo investimenti complessivi per miliardi di euro, nel quale sono coinvolti gruppi industriali che fanno riferimento alle principali forze politiche di destra e sinistra – vedi Impregilo e CMC – a cui si lega una fittissima rete di appalti e subappalti (circa 460 aziende coinvolte nel cantiere); senza contare il possibile effetto domino di un eventuale dietrofront su altre grandi opere contestate, quali il Terzo Valico e la TAV Brescia-Verona. Sarebbe vigliacco chiedere a un organismo tecnico di assumersi una responsabilità che oramai trascende la logistica dei trasporti ma assume un carattere squisitamente politico, dopo oltre dieci anni di retorica bipartisan all’insegna del mantra “la TAV va fatta perché si deve fare”.

Una politica che, si badi bene, ha sempre ostentato un atteggiamento oltranzista ma che nei fatti ha mostrato qualche (tardiva) titubanza. Non si spiega altrimenti la svolta annunciato dal ministro Del Rio nel luglio del 2016, in base alla quale le opere di adduzione al tunnel passano da 84 a 25 chilometri, grazie al recupero della linea già esistente, secondo modalità consigliate molto tempo prima da alcuni oppositori.

Che cosa resta della TAV?

Alla luce di tutto, che cosa resta della TAV in Valsusa dopo i dibattiti infuocati, gli errori previsionali, i ridimensionamenti, i milioni di euro spesi, i procedimento giudiziari, la militarizzazione di un intero territorio?

L’Osservatorio ritiene che, per giustificare il progetto, occorre che nel 2038 riesca a convogliare il 50% di tutto il traffico merci attualmente in transito nei valichi alpini al confine francese, cioé 20 milioni di tonnellate: molto emblematicamente, la portata massima gestibile dalla linea ferroviaria storica.

Non sorprende quindi che il Rapporto, nella sezione conclusiva, si produca in un difficile esercizio di stile tentando di conciliare obiettività e toni apologetici:

Le previsioni di traffico oggi sono inevitabilmente diverse; la capacità della linea storica, in
termini di capacità di competere con la strada e le altre direttrici ferroviarie è l’opposto a
quanto inizialmente ipotizzato; anche altri parametri utilizzati, come il valore della CO2, in
questi anni sono stati oggetto di studi e di valutazioni con esiti differenti da quanto
inizialmente ipotizzato.
Le verifiche fatte in seno all’Osservatorio, e riportate in sintesi in questo documento, hanno
consentito di prendere atto di questo mutato contesto e hanno mostrato che l’infrastruttura
ha la sua dimostrata ed oggettiva validità, soprattutto se inserita nel contesto delle reti
europee: non si tratta più di un tratto di ferrovia che deve sostituire la strada per
l’attraversamento delle Alpi, sostituendo 300 km di viaggio su strada, ma la costruzione di un anello mancante che permette alla catena ferroviaria di operare senza interruzione anche sulle lunghe distanze (1.000 km e oltre) [grassetto mio, ndr], pur salvaguardano anche le tratte più brevi con una gestione moderna dei traffici rotaia-rotaia e strada-rotaia e materiale rotabile nonché terminali al passo con i tempi, con benefici che vanno ben oltre quelli relativi al contesto locale.

In sostanza, l’unico pregio rimasto a questa grande opera è di costituire un segmento del cosidetto Corridio Mediterraneo, che rimpiazza il Corridoio 5 Lisbona-Kiev, defunto prima ancora di nascere (per un’idea sulla fattibilità della nuova iniziativa, leggere questo documento redatto da Assolombarda, Unione industriali di Torino e Confindustria Genova al capitolo ‘criticità’), nella speranza che i volumi di merci invertano la tendenza declinante. Facendo il verso a Foscolo, “questo di tante polemiche oggi mi resta!”.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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